American Psycho è un selfie
«Farebbe il troll sui social media usando account falsi? Si vanterebbe su Twitter dei suoi successi? Userebbe Instagram per ostentare la sua ricchezza, i suoi addominali, le sue potenziali vittime? È possibile. Negli anni ’80, ai tempi di Patrick Bateman c’era una possibilità di nascondersi che ora non c’è, viviamo in una cultura completamente esibizionista. Per me non era tanto un personaggio quanto un’idea e anche ora lo avvicinerei nello stesso modo di allora per affrontare la sua paura più grande: qualcuno gli presterebbe attenzione? È una delle cose che lo manda più ai matti perché a causa del conformismo della vita aziendale, nessuno può davvero distinguere una persona dall’altra (e in fondo che differenza c’è, si chiede il romanzo). Le persone sono così perse nel loro narcisismo che non sono in grado di distinguere un individuo dall’altro (e per questo Patrick se la cava nonostante i suoi crimini): è un atteggiamento che mostra quant’è cambiata poco l’America dalla fine degli anni Ottanta: molte cose sono state semplicemente amplificate e accettate. L’ossessione che ha Patrick per sé stesso, con le sue antipatie e simpatie, con la sua attenzione dettagliata e ossessiva per tutto quello possiede, indossa, mangia, guarda, ha certamente raggiunto una nuova apoteosi. Per molti versi il testo di American Psycho è la più completa serie di selfie di un uomo».
Da un articolo scritto da Bret Easton Ellis, autore di American Psycho, per la rivista Town&Country. Il romanzo uscì a inizio marzo del 1991, 25 anni fa, e l’autore immagina come racconterebbe ora la storia del protagonista Patrick Bateman, spiegando che molte delle nevrosi e delle problematiche affrontate nel romanzo, ambientato negli anni Ottanta, oggi sono ancora più esasperate.