A chi conviene una vittoria di Trump?
Al primo ministro indiano e al dittatore della Corea del Nord, tra gli altri: ci ragiona l'Atlantic, mettendo in fila le posizioni poco chiare di Trump su diversi temi di politica estera
Moltissimi politici ed esperti di politica estera di tutto il mondo sono preoccupati che Donald Trump, l’eccentrico miliardario favorito per la vittoria alle primarie del partito Repubblicano, possa vincere le elezioni presidenziali americane che si svolgeranno il prossimo novembre. Persino i “neocon”, un gruppo di esperti di politica estera repubblicani che sostennero e consigliarono George W. Bush durante la sua amministrazione, hanno scritto di recente una lettera aperta per mettere in guardia dalle conseguenze di una vittoria di Trump. Le accuse che vengono mosse a Trump sono tutte molto simili: è imprevedibile, non ha le idee chiare, continua a fare gaffe e rischia di trascinare gli Stati Uniti in situazioni pericolose. Secondo l’Atlantic, però, ci sono almeno cinque leader internazionali che avrebbero molto da guadagnare da una sua eventuale vittoria. Si tratta di ragionamenti ipotetici e non per forza le cose suggerite dall’Atlantic succederanno: ma sono riflessioni interessanti per capire qualcosa di più dei rapporti degli Stati Uniti con altri paesi del mondo, e per ragionare sul modo in cui questi rapporti potrebbero modificarsi nel caso di un cambio radicale nell’amministrazione americana.
Narendra Modi
L’Atlantic racconta che Trump ama l’India e il suo primo ministro, il nazionalista Narendra Modi – che è apprezzato anche da chi ha visioni più ortodosse, come il settimanale Economist. In occasione di un viaggio in India, un paese dove ha concluso molti affari, Trump ha detto che Modi ha fatto “un ottimo lavoro”. Ma a parte gli affari, ci sono molte altre cose che i due hanno in comune.
Trump non perde occasione per mettere in guardia gli americani dal pericolo rappresentato dalla Cina, di cui l’India di Modi è il principale avversario geopolitico in Asia orientale. Trump è famoso per la sua retorica anti-musulmana, e anche Modi, capo del partito induista e nazionalista BJP, non è estraneo alle accuse di essere anti-musulmano. Trump ha definito il Pakistan «il paese più pericoloso al mondo dopo l’Iran» e il Pakistan è anche il nemico principale della repubblica indiana. Al di là di eventuali simpatie personali, secondo l’Atlantic, Modi è il nemico dei nemici di Trump e per questo potrebbe guadagnare molto da una sua vittoria a novembre.
Abdel Fattah al Sisi
Il presidente egiziano è probabilmente uno dei pochi leader arabi che sarebbero felici di assistere a una vittoria di Trump, scrive l’Atlantic. L’atteggiamento spietato di al Sisi nella repressione di movimenti islamici come i Fratelli Musulmani fa di lui un probabile alleato di Trump, che ha promesso di combattere contro questi gruppi con tattiche piuttosto feroci, suggerendo ad esempio di uccidere le loro famiglie e lasciando intendere che sarebbe una buona tattica sparare ai prigionieri musulmani con proiettili imbevuti nel sangue di maiale. Nel 2012 Trump criticò inoltre la scelta del governo americano di abbandonare l’allora dittatore egiziano Hosni Mubarak – un leader autoritario all’epoca sostenuto dall’esercito, come lo è oggi al Sisi.
Benjamin Netanyahu
Secondo l’Atlantic, il primo ministro israeliano potrebbe guadagnare da una vittoria di Trump soprattutto perché sarebbe una sconfitta della candidata democratica Hillary Clinton. Le relazioni tra Stati Uniti e Israele non sono mai state a un livello così basso come durante l’amministrazione Obama, di cui Clinton è stata segretario di Stato per quattro anni. In realtà, Netanyahu in passato ha criticato Trump per le sue posizioni anti-musulmane, ma più di recente si è rifiutato di cancellare un incontro che aveva in programma con lui (Trump ha poi rimandato l’incontro). Inoltre, entrambi condividono una forte ostilità nei confronti dell’Iran e dell’accordo sul nucleare firmato lo scorso luglio. Secondo l’Atlantic, il punto è che per quanto possa essere difficile prevedere come evolveranno i rapporti tra i due, difficilmente potranno essere peggiori di quelli tra Netanyahu e Obama.
Rafael Correa
L’Atlantic nota come difficilmente al mondo ci sia qualcuno più lontano da Trump dei leader della sinistra sudamericana, di cui il presidente dell’Ecuador è uno dei principali esponenti. Correa, però, vedrebbe qualcosa di positivo nella vittoria di Trump. Lui stesso ha detto che con Trump gli Stati Uniti si sposteranno verso destra e questo, per una sorte di reazione uguale e contraria, potrebbero portare a uno spostamento a sinistra dell’opinione pubblica in molto paesi sudamericani, invertendo una tendenza in corso da diversi anni e che sembra sfavorire molto i leader progressisti e populisti come Correa.
Kim Jong-un
Il più inaspettato dei leader politici che avrebbero qualcosa da guadagnare dalla vittoria di Trump è il leader supremo della Corea del Nord, Kim Jong-un. Trump lo ha definito un maniaco e un pazzo, ma ha anche apprezzato i modi brutali con cui il dittatore nordcoreano ha consolidato il suo potere, arrivando a eliminare persino alcuni membri della sua famiglia. È improbabile che Trump adotti un atteggiamento amichevole nei confronti di un leader politico che regolarmente minaccia di distruggere gli Stati Uniti, ma i suoi piani per rivedere gli accordi di sicurezza americani in Asia orientale rischiano di favorire indirettamente il dittatore della Corea del Nord.
Trump, ad esempio, ha accusato il Giappone di rubare posti di lavoro agli Stati Uniti e ha definito ingiusta l’alleanza che obbliga gli Stati Uniti a intervenire per proteggere il Giappone in caso di attacco, ma non obbliga il Giappone a fare altrettanto (le cose in realtà sono un po’ più complicate di così). Trump ha anche accusato la Corea del Sud di ricevere la protezione degli Stati Uniti senza offrire nulla in cambio (in realtà la Corea paga ogni anno per le numerose truppe americane che aiutano a proteggerne i confini). Se Trump dovesse mettere in pratica i suoi slogan, i principali nemici di Kim si ritroverebbero senza più protezione da parte degli Stati Uniti e questo renderebbe molto più facile la vita del dittatore nordcoreano.