Cosa deve succedere perché Clinton perda?
Ok, Bernie Sanders ha vinto a sorpresa in Michigan. E adesso? Una guida, in ordine
di Francesco Costa – @francescocosta
Martedì 8 marzo Bernie Sanders, senatore del Vermont, ha battuto Hillary Clinton nelle primarie del Partito Democratico statunitense in Michigan: è stata una vittoria molto significativa perché arrivata in uno stato diverso da quelli in cui Sanders era andato molto bene fin qui – soprattutto piccoli e abitati in larga maggioranza da bianchi – ma soprattutto perché ha contraddetto clamorosamente le previsioni dei sondaggi, che avevano attribuito a Clinton un vantaggio di almeno 20 punti. Capita che i sondaggi sbaglino, naturalmente, ma capita molto di rado che sbaglino di così tanto: bisogna andare indietro fino al 1984 per trovare un simile capovolgimento tra sondaggi e risultati alle primarie.
Questo errore è reso ancora più curioso dal fatto che gli stessi sondaggi, effettuati dagli stessi istituti, si sono rivelati invece molto precisi nel prevedere chi avrebbe vinto le primarie in Michigan tra i Repubblicani; nel cercare di ricostruire le ragioni dello scarto tra i Democratici, i giornali americani stanno ipotizzando che c’entri la strana e magra composizione dell’elettorato alle ultime importanti primarie Democratiche in Michigan, che si tennero nel 2008 tra molte polemiche e alle quali non partecipò Barack Obama, che poi vinse la nomination. Affidarsi a quel precedente per costruire il campione statistico ha prodotto un campione sbagliato. Rimane però un punto su cui molti si stanno interrogando ora: la sorprendente vittoria di Bernie Sanders in Michigan può davvero mettere in discussione la vittoria di Hillary Clinton alle primarie? Cosa deve succedere perché Hillary Clinton perda le primarie?
Cose minime da sapere
Serve innanzitutto qualche informazione di contesto. Le primarie non vengono vinte dal candidato che vince in più stati, e nemmeno da quello che ottiene più voti: ottiene la nomination chi ha più delegati, e i delegati si eleggono con le primarie.
Alla convention estiva del Partito Democratico una platea composta da 4.765 delegati sceglierà formalmente con un voto il vincitore delle primarie: per ottenere la nomination, quindi, bisogna avere il sostegno di almeno 2.383 delegati, la metà più uno. Dei 4.765 delegati che votano alla convention, 4.051 sono eletti con le primarie stato per stato mentre 712 partecipano di diritto in quanto dirigenti del partito a vari livelli o portatori di cariche elettive: sono i cosiddetti “super-delegati”, possono votare chi vogliono. In questo momento la maggioranza dei superdelegati dice che sosterrà Hillary Clinton.
Il peso effettivo dei superdelegati viene spesso sopravvalutato: per quanto teoricamente possibile, è altamente improbabile che il voto dei superdelegati ribalti la volontà espressa dagli elettori alle primarie. I precedenti e il buon senso mostrano che alla maggioranza dei superdelegati interessa sostenere il vincitore nel voto popolare, e non affossarlo: nel 2008, per esempio, Hillary Clinton ebbe a lungo un grande vantaggio su Barack Obama tra i superdelegati, ma quando Obama ottenne la maggioranza dei delegati, anche la maggioranza dei superdelegati passò con lui. Quelli che contano davvero, quindi, sono i 4.051 delegati eletti con le primarie. Ne servono 2.026 per avere la maggioranza.
Questa è la distribuzione attuale dei delegati tra Clinton e Sanders, sulla base dei risultati negli stati in cui si è già votato:
Il conteggio qui sopra è del New York Times, ma a causa della complessità dei calcoli da fare contea per contea ne circolano di leggermente diversi: il Wall Street Journal ne attribuisce 760 a Clinton e 546 a Sanders, Vox dice 768-553, FiveThirtyEight dice 770-551. Non sono grandi differenze, per comodità facciamo riferimento alle cifre del New York Times.
I delegati ancora da assegnare – da qui al 14 giugno, quando finiranno le primarie – sono in tutto 2.746. Nel Partito Democratico i delegati si assegnano ovunque con metodo proporzionale: a volte sulla base del totale dei voti ricevuti in uno stato da ogni candidato, a volte invece sulla base dei voti ricevuti per ogni contea. Per questo motivo, per esempio, Bernie Sanders in Michigan ha ottenuto meno delegati di Hillary Clinton – 65 contro 68, nel conto di Politico – nonostante abbia avuto complessivamente più voti. Se si conta anche la contemporanea larghissima vittoria di Clinton in Mississippi, nella grande-serata-di-Sanders il suo distacco non si è ridotto ma è aumentato.
Poi c’è la realtà
L’altra premessa, forse scontata, è che le elezioni si vincono o si perdono in base a questioni politiche: in questo articolo ci concentriamo su cosa deve succedere dal punto di vista numerico perché Sanders vinca le primarie – dove deve andare bene, dove deve andare molto bene, dove deve limitare i danni – ma naturalmente questo dipenderà in ultima istanza dalle opinioni degli elettori su Clinton e Sanders, sulle loro proposte, sulle loro qualità, sui loro errori e su quello che gli capiterà. Molte di queste cose non si possono prevedere.
Veniamo a noi, quindi
Per arrivare ai famosi 2.026 delegati che gli darebbero la vittoria, Sanders deve ottenerne 1.480 dei 2.746 ancora in palio. Il modo più breve per dirlo, quindi, è che Sanders ha bisogno di vincere in media il 53,9 per cento dei delegati nei posti in cui si deve ancora votare (cioè 35 su 57 totali: li chiamiamo “stati” per brevità, ma si vota anche in posti che non sono ufficialmente stati americani, come Guam, Porto Rico o le Samoa Americane). È alquanto improbabile però che Sanders vinca tutte le primarie da qui in avanti: quindi bisogna capire dove ha bisogno di vincere, dove di stravincere e dove di contenere i danni.
Sulla base dei risultati delle primarie fin qui, possiamo dire che Sanders va meglio negli stati con un’alta maggioranza di elettori bianchi e una grossa partecipazione al voto di giovani e di elettori liberal, cioè la corrente di sinistra del Partito Democratico; Clinton, invece, va meglio negli stati con un’alta percentuale di abitanti non bianchi e una grossa partecipazione al voto di anziani e di Democratici moderati e centristi. Allo stesso modo, dato che ogni stato americano vota con un metodo diverso, sappiamo che Sanders va meglio dove si tengono i caucus (cos’è un caucus?) e le cosiddette open primaries, cioè primarie a cui possono votare anche persone che non sono iscritte alle liste elettorali come Democratiche; Clinton va meglio invece nelle closed e semi-closed primary, cioè primarie a cui possono votare solo le persone iscritte alle liste elettorali come Democratiche.
Questa mappa mostra chi ha vinto dove fin qui: gli stati vinti da Clinton in giallo, quelli vinti da Sanders in verde.
Cosa dice il calendario
Le prossime primarie dei Democratici si terranno il 15 marzo in Florida (closed primary, 214 delegati), Illinois (open primary, 156 delegati), Missouri (open primary, 71 delegati), North Carolina (semi-closed primary, 107 delegati) e Ohio (semi-open primary, 143 delegati). Non è un contesto ideale per Sanders: sono stati relativamente grandi ed etnicamente variegati, e non ci sono caucus. I sondaggi dicono che Clinton è avanti di 30 punti in Florida, di 30 in Illinois, di 20 in Ohio e di 20 in North Carolina, mentre non ci sono dati recenti affidabili sul Missouri. La sorprendente vittoria di Sanders in Michigan però non permette di dare Clinton sicura vincitrice negli stati dove sembra in grande vantaggio. Il peggio che può succedere a Clinton il 15 marzo è perdere in Illinois, per esempio, uno stato simile al Michigan e che organizza primarie aperte. Più in generale – come mostra l’efficace “delegate tracker” di FiveThirtyEight – per Sanders sarebbe ottimo il 15 marzo ottenere almeno 326 delegati dei 691 in palio.
In breve – Il 15 marzo Sanders deve cercare di perdere meno terreno possibile sul fronte dei delegati. E magari vincere in uno stato o due, per confermare la vitalità della sua campagna elettorale.
Le primarie si spostano poi in stati più favorevoli a Sanders: il 22 marzo si vota in Arizona (closed primary, 75 delegati), Idaho (caucus, 23 delegati) e Utah (caucus, 33 delegati); il 26 marzo in Alaska (caucus, 16 delegati), alle Hawaii (caucus, 25 delegati) e a Washington (caucus, 101 delegati); il 5 aprile in Wisconsin (open primary, 86 delegati) e il 9 aprile in Wyoming (caucus, 14 delegati). Il peggio che realisticamente può succedere a Clinton è che Sanders vinca in tutti gli stati dove si tengono dei caucus, magari largamente, e in Wisconsin, uno stato che ha un vivace movimento sindacale e molti attivisti di sinistra. In ogni caso, dal 22 marzo al 5 aprile Sanders ha bisogno di ottenere molti più delegati di Clinton e ridurre il più possibile il suo attuale svantaggio.
In breve – In queste due settimane Sanders deve cercare di vincere dovunque o quasi, e rimontare il più possibile lo svantaggio che ha sul fronte dei delegati.
In aprile si vota in altri sei stati, ma tre sono quelli davvero importanti nella conta dei delegati: New York (closed primary, 247 delegati), Maryland (closed primary, 95 delegati) e Pennsylvania (closed primary, 189 delegati). È difficile prevedere l’esito di queste primarie con così tanto anticipo, e le cose che sappiamo sono contraddittorie: New York per esempio ha tantissimi elettori di sinistra, ma è anche lo stato in cui Clinton ha vissuto per anni e che nel 2000 l’ha eletta al Senato. Sanders deve cercare di ottenere almeno la metà dei delegati in palio: quindi deve cercare di vincere, naturalmente, o perdere di poco. Parentesi politica: se Clinton dovesse perdere a New York – dove oggi è data in vantaggio di 20 punti, per quel che vale – sarebbe un colpo molto complicato da gestire per la sua campagna elettorale.
In breve – Se Sanders otterrà almeno la metà dei delegati in palio e vincerà almeno in uno dei grandi stati in ballo, Clinton potrà iniziare a preoccuparsi davvero.
A maggio si vota soprattutto in stati che assegnano pochi delegati, e dove fin qui Clinton e Sanders non hanno fatto molta campagna elettorale. Se la competizione sarà ancora aperta e incerta, però, sarà importante andar bene anche lì: non solo per i delegati in palio – 235 in tutto il mese, pochini – ma soprattutto per utilizzare quelle primarie come trampolino in vista di giugno. Anzi: in vista del 7 giugno.
Il 7 giugno infatti, in un giorno solo, si vota in California (semi-closed primary, 475 delegati), Montana (open primary, 21 delegati), New Jersey (semi-closed primary, 126 delegati), New Mexico (closed primary, 34 delegati), North Dakota (open primary, 18 delegati), South Dakota (semi-open primary, 20 delegati). In totale 649 delegati, con la California evidente bersaglio grosso. A questo punto non c’è strada realistica che porti Sanders a vincere la nomination – e Clinton a perderla – che non passi per una vittoria di Sanders in California.
Il 7 giugno è anche l’ultimo vero giorno di primarie: si vota poi il 14 giugno nel District of Columbia, ma si assegnano solo 20 delegati che saranno a quel punto ininfluenti. Il peggio che può succedere a Clinton il 7 giugno è perdere la California, ovviamente: da un lato la grande presenza di elettori di sinistra dovrebbe favorire Sanders, dall’altro la forte presenza di minoranze etniche dovrebbe favorire Clinton.
In breve – Sanders deve vincere in California: magari anche stravincere.
Tutto questo è realistico?
Realistico sì, probabile no. David Plouffe, stratega della leggendaria campagna elettorale di Obama nel 2008, fa notare spesso che in una gara del genere – lunghissima, e coi delegati attribuiti su base proporzionale – chi finisce indietro nella conta dei delegati ha molte difficoltà a rimontare: non deve solo vincere il più possibile, ma deve farlo anche largamente. Oggi Sanders ha uno svantaggio di oltre 200 delegati: parecchio più largo di quello che Clinton ebbe in ogni momento delle primarie che perse nel 2008 proprio contro Obama. Nel 2008 Obama concluse le primarie con 1.828 delegati contro i 1.726 di Hillary Clinton (2.306 contro 1.972, contando anche i superdelegati).
Su un piano più generale, quindi, perché avvenga questa tempesta perfetta Sanders non deve sbagliare niente, e deve sperare invece che – come fece nel 2008 – Clinton sbagli strategia investendo male denaro, energie e risorse logistiche. Infine, Sanders deve cercare di scalfire il netto dominio di Clinton tra gli elettori afroamericani, che fin qui l’ha tenuta a galla anche nei momenti più complicati: secondo i sondaggi in molti stati Sanders ha avuto il sostegno solo del 10 per cento circa degli elettori neri, superando il 20 per cento solo in Nevada e Oklahoma.
In Michigan però ha già ottenuto il 30.