“Un rischio che non correrò”
Il testo con cui Michael Bloomberg ha annunciato che non si candiderà alla presidenza degli Stati Uniti (perché altrimenti farebbe vincere Trump o Cruz)
Michael Bloomberg, ex sindaco di New York e noto imprenditore tra le persone più ricche del mondo, ha annunciato che non intende candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti. Lo stesso Bloomberg aveva detto mesi fa che stava valutando una candidatura indipendente dai partiti e centrista, vista l’ascesa in entrambi i partiti di candidati estremisti come Donald Trump, Ted Cruz e Bernie Sanders. Già nel 2008 e nel 2012 Michael Bloomberg aveva valutato l’ipotesi di una candidatura, poi scartandola: anche questa volta fin dall’inizio le sue intenzioni erano sembrate tardive e poco concrete. Quello che segue è il testo con cui Bloomberg ha spiegato la sua decisione.
Gli americani hanno oggi davanti una grande sfida, per preservare i nostri valori comuni e la promessa della nostra nazione. La stagnazione degli stipendi sul fronte interno e il declino della nostra influenza sul fronte esterno hanno reso gli americani arrabbiati e frustrati. Nonostante questo, i politici di Washington continuano a offrire solo muro-contro-muro e scaricabarile. Peggio ancora, gli attuali candidati alla presidenza stanno offrendo capri espiatori invece che soluzioni, e promettono risultati che non potranno mai ottenere. Invece che spiegare agli americani come intendono rompere questo clima di partigianeria che sta distruggendo Washington, lo stanno alimentando.
Nel corso della storia americana, entrambi i partiti hanno tendenzialmente scelto candidati di centro alla presidenza, e che dal centro hanno costruito le loro riforme. Questa tradizione sembra sul punto di finire. L’estremismo avanza e se non lo fermeremo i nostri problemi – a casa e all’estero – continueranno a peggiorare. Molti americani sono giustamente costernati da questa situazione, e io condivido le loro preoccupazioni. I candidati Democratici si sono schierati contro le politiche che hanno innescato crescita economica e opportunità durante la presidenza di Bill Clinton: sul commercio internazionale, sulle scuole parificate, sulla riduzione del deficit e sul settore finanziario. Dall’altro lato, i principali candidati Repubblicani si sono schierati contro le politiche che hanno innescato crescita economica e opportunità durante la presidenza di Ronald Reagan: per esempio la riforma dell’immigrazione, la necessità di trovare un compromesso sul fisco, sul welfare e sul bilancio dello stato. Clinton e Reagan non erano puristi ideologici: risolvevano i problemi. Ed entrambi hanno fatto andare avanti il nostro paese in modi molto importanti.
Negli ultimi mesi molti americani mi hanno chiesto di candidarmi alla presidenza come indipendente, e alcuni di quelli a cui gli attuali candidati non piacciono mi hanno detto che candidarmi è un mio dovere, una cosa da fare nell’interesse della patria. Apprezzo la loro fiducia, e ho pensato seriamente a quello che mi hanno detto. La scadenza per prendere una decisione è ora, per via dei termini entro i quali presentare formalmente la propria candidatura.
I miei genitori mi hanno insegnato quanto sia importante dare qualcosa quando hai ricevuto molto, e per questo il servizio alla comunità è stata una parte importante della mia vita. Dopo aver fatto per 12 anni il sindaco di New York, conosco i sacrifici richiesti dalle campagne elettorali e dagli incarichi politici elettivi, e sarei lieto di farli ancora per aiutare il paese che amo.
Sono anche sempre stato attratto dalla sfide impossibili, e nessuna di queste oggi è più grande e importante di chiudere le guerre faziose di Washington e far sì che il governo lavori per il popolo: non per i lobbisti, né per i ricchi finanziatori delle campagne elettorali. Questi cambiamenti richiedono l’elezione di leader che siano più concentrati sull’ottenere risultati che nell’ottenere la rielezione, che abbiano una consolidata esperienza imprenditoriale e nella creazione di posti di lavoro, che sappiano come mettere in ordine un bilancio e gestire grandi organizzazioni, che non siano ricattabili né legati a interessi di certi settori economici – e soprattutto che siano sempre onesti con l’opinione pubblica. Sono lusingato dal fatto che secondo alcuni io avrei potuto offrire questo tipo di leadership.
Ma se guardo ai dati e ai fatti, è chiaro che se dovessi candidarmi non potrei vincere. Credo che potrei ottenere la vittoria in molti e diversi stati, ma non abbastanza da ottenere i 270 grandi elettori necessari per vincere.
In una corsa a tre, è improbabile che uno dei tre candidati ottenga la maggioranza assoluta dei grandi elettori. A quel punto la legge stabilisce che il potere di scegliere il presidente sia tolto al popolo americano e vada invece al Congresso. Il punto è questo: anche se dovessi ottenere più voti di tutti la mia vittoria sarebbe molto improbabile, perché la grandissima parte dei deputati e dei senatori voterebbe per il candidato del suo partito. Sarebbero i fedelissimi di ogni partito a scegliere il prossimo presidente: non i grandi elettori né il popolo americano.
Per come stanno le cose adesso, con i Repubblicani che hanno la maggioranza in entrambe le camere del Congresso, è probabile che una mia candidatura porterebbe all’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump o del senatore Ted Cruz. Non è un rischio che la mia coscienza mi permette di correre.
Conosco superficialmente Trump da molti anni, e abbiamo sempre avuto un rapporto cordiale. Ho persino accettato di apparire per due volte sul suo programma tv, The Apprentice. Ma la sua campagna elettorale è la più demagogica e divisiva che io ricordi, tutta mirata sui pregiudizi e le paure delle persone. Abraham Lincoln, il padre del Partito Repubblicano, diceva di fare appello ai nostri “migliori angeli”. Trump fa appello ai nostri peggiori istinti.
Minacciare di impedire l’ingresso nel paese ai musulmani è un attacco diretto a due dei valori fondanti della nostra nazione: la tolleranza religiosa e la separazione tra Stato e chiesa. Attaccare milioni di messicani e promettere la loro deportazione, ostentare ignoranza davanti ai suprematisti bianchi, minacciare la Cina e il Giappone con una guerra commerciale, sono altre cose profondamente e pericolosamente sbagliate. Queste mosse dividerebbero gli americani e comprometterebbero la nostra leadership nel mondo. Il risultato finale sarebbe il rafforzamento dei nostri nemici, la minaccia alla sicurezza dei nostri alleati e rischi sempre maggiori per i nostri uomini e le nostre donne in uniforme.
Le posizioni di Cruz sull’immigrazione forse non hanno gli eccessi retorici di quelle di Trump, ma non sono meno estremiste. Il suo rifiuto di dissociarsi dalla proposta di respingere i migranti sulla base della loro religione fa meno effetto della posizione di Trump, ma non è meno controverso.
Non possiamo “rendere di nuovo grande l’America”, come propone Trump, voltando le spalle proprio ai valori che l’hanno resa la più grande nazione del mondo. Amo troppo il nostro paese per rischiare di contribuire a eleggere alla presidenza un candidato che indebolisca la nostra unità e metta a repentaglio il nostro futuro: e quindi non mi candiderò alla presidenza degli Stati Uniti.
Ovviamente non ho intenzione di tacere davanti alla minaccia posta alla nostra nazione dall’estremismo e dalla partigianeria: continuerò a chiedere agli elettori di rifiutare chi vuole dividerci e pretendere candidati che offrano idee intelligenti, concrete e realistiche per unire, per risolvere i problemi e darci il governo onesto e capace che meritiamo.
Per la maggior parte degli americani, essere cittadini richiede qualcosa in più del semplice pagare le tasse. Molti hanno dato le loro vite per difendere la nostra nazione. Tutti noi, in quanto elettori, abbiamo l’obbligo di prendere le nostre decisioni sulla base delle idee e dei principi che, come diceva Lincoln, rappresentano “la miglior speranza della Terra”. Spero e prego di averlo fatto.
© Bloomberg – 2016