Il dibattito in Canada sul suicidio assistito
Entro il 6 giugno il governo di Justin Trudeau dovrà approvare una nuova legge e una commissione parlamentare ha presentato le sue linee guida, molto liberali e discusse
Il 6 febbraio del 2015, la Corte Suprema del Canada ha dichiarato incostituzionale la legge che vietava la possibilità di ricorrere al suicidio medicalmente assistito (chiamandolo “aiuto medico a morire”) dando un anno di tempo al governo per modificare la norma. La stessa Corte aveva poi deciso di prorogare di altri quattro mesi la scadenza. Entro il 6 giugno il governo del Canada, guidato dallo scorso ottobre da Justin Trudeau del Partito Liberale, dovrà quindi approvare una nuova legge e qualche giorno fa, una speciale commissione parlamentare ha presentato la relazione con le linee guida della futura norma. Sono molto liberali e sono state molto criticate.
Cosa dice la relazione
La commissione parlamentare che ha lavorato dall’11 dicembre del 2015 alle nuove linee guida sul suicidio medicalmente assistito era composta da diciassette deputati e cinque senatori di vari partiti. Si è riunita sedici volte, ha ascoltato le testimonianze di 61 persone e ha studiato più di un centinaio di documenti medici sull’argomento. Da questo lavoro sono uscite due diverse relazioni. Quella della maggioranza si intitola «L’aiuto medico a morire: un approccio incentrato sul paziente» e contiene 21 raccomandazioni che recepiscono le indicazioni della Corte Suprema e aggiungono la possibilità di includere i minori nell’accesso all’aiuto medico a morire. C’è poi una relazione di minoranza firmata da quattro deputati conservatori che contesta in diversi punti la prima.
La relazione di maggioranza sostiene che il suicidio medicalmente assistito dovrebbe essere un diritto a cui, a certe condizioni, è possibile accedere senza troppi ostacoli. È necessario innanzitutto che alla persona che ne fa richiesta siano stati diagnosticati gravi problemi di salute: le patologie possono essere terminali o non terminali, non dovrebbero essere solamente di natura fisica, ma anche psicologica. Tra i «gravi problemi di salute» si citano anche gli handicap. È necessario, inoltre, che siano in atto delle «sofferenze intollerabili» e si prevede il consenso informato della persona. Si aggiunge inoltre che alle persone a cui viene diagnosticata una malattia che porterà prima o poi alla perdita di alcune competenze mentali, come la demenza, dovrebbe essere data la possibilità di decidere e richiedere in modo anticipato l’accesso a questa pratica.
Il comitato dice che tutte le strutture sanitarie pubbliche del Canada dovrebbero offrire la possibilità di accedere a questa pratica e che tutti i professionisti del settore sanitario, anche gli obiettori di coscienza, dovrebbero essere obbligati ad orientare correttamente i pazienti che ne fanno richiesta (indirizzarli cioè ad un medico non obiettore). Dal punto di vista delle procedure si parla del parere di due medici indipendenti che dovranno determinare l’ammissibilità di chi inoltra la richiesta, di una domanda scritta che deve essere presentata alla presenza di due testimoni imparziali e di un periodo di attesa che dipende in parte dalla velocità di progressione della patologia.
Una delle raccomandazioni della commissione più criticata è la sesta contenuta nella relazione: dice che il governo del Canada dovrebbe affrontare la questione della nuova legge sull’aiuto a morire in due fasi. La prima porterebbe alla possibilità di applicarla immediatamente agli adulti, dunque alle persone che hanno più di 18 anni. La seconda dovrebbe entrare in vigore entro tre anni dalla prima fase e dovrebbe riguarderebbe le «persone minori mature». Il governo del Canada si dovrebbe impegnare fin da subito a studiare gli aspetti etici, medici e legali del concetto di «minore maturo», così come i criteri relativi a questa categoria coinvolgendo esperti di salute, associazioni che si occupano di diritti di minori, accademici, ricercatori, famiglie e esperti di etica.
Come si è arrivati fino a qui
Il 6 febbraio 2015 la Corte Suprema del Canada aveva dichiarato incostituzionale la legge che vietava la possibilità di ricorrere al suicidio medicalmente assistito, che pure nel 1993 era stata confermata da una sentenza della stessa Corte. La decisione era stata presa all’unanimità dai nove giudici del collegio. La Corte si era espressa su un ricorso presentato nel 2009 dalla British Columbia Civil Liberties Association – un’associazione per i diritti civili – per conto di due donne, Kay Carter e Gloria Taylor, che avevano contratto due diverse malattie neurodegenerative (e che nel frattempo sono morte).
Nella sentenza, i giudici avevano scritto di non essere d’accordo sul fatto che «la formulazione del “diritto alla vita” implichi che esista un divieto assoluto di ricevere assistenza durante la propria morte, o che un individuo non possa decidere di poter “dire addio” alla propria vita». La sentenza limitava i suoi effetti agli adulti consenzienti che soffrono di un dolore «prolungato e intollerabile» (e non necessariamente di patologie terminali).
L’eutanasia legale senza limiti di età
Il suicidio medicalmente assistito è oggi legale in alcuni stati americani e paesi europei, fra cui Lussemburgo, Svizzera, Paesi Bassi e Belgio. Nel febbraio del 2014 il Belgio è diventato il primo al mondo ad aver eliminato tutte le restrizioni d’età per l’eutanasia legale.
La legge belga prevede che sia possibile l’eutanasia solo a determinate condizioni: il minore deve trovarsi in «una situazione medica senza uscita che prevede un prossimo decesso» (la diagnosi e la prognosi, come per gli adulti, deve essere verificata da un secondo medico esterno) e provare «una sofferenza fisica costante e insopportabile che non può essere placata e che è il risultato di una condizione patologica grave e incurabile». I minori devono anche mostrare una «capacità di discernimento» che permetta loro di dimostrare la comprensione delle conseguenze irreversibili della scelta dell’eutanasia: questa capacità deve essere valutata caso per caso dai medici insieme a uno psichiatra o a uno psicologo indipendente. Infine è necessario il consenso scritto di un genitore.
Le reazioni alle linee guida
La relazione di minoranza pubblicata dopo il lavoro della commissione parlamentare contesta soprattutto due punti: l’accessibilità al suicidio assistito ai minori e l’obiezione di coscienza. I medici obiettori non dovrebbero cioè essere obbligati a indirizzare i pazienti che fanno loro richiesta di aiuto a morire a un collega non obiettore. Per ora, diversi partiti conservatori hanno dichiarato che lasceranno libertà di coscienza al momento del voto, mentre il partito attualmente al governo, quello di Justin Trudeau, non ha ancora chiarito la propria posizione facendo sapere attraverso uno dei suoi portavoce che è prematuro parlarne: potrebbe essere decisa una linea di partito o potrebbe essere lasciata libertà di voto ai vari deputati.
Le contestazioni maggiori arrivano dalla Chiesa cattolica: Douglas Crosby, presidente della Conferenza episcopale del Canada, ha detto che la posizione della Chiesa «è chiara: il suicidio non è una cura medica». Quindi «uccidere le persone affette da patologie psichiche o mentali, giovani o anziane che siano, è contrario alla sollecitudine e all’amore dovuti ai nostri fratelli e sorelle». Crosby ha spiegato che le raccomandazioni della commissione «non sono affatto incentrate sul paziente né sostengono o aiutano in alcun modo i moribondi e le persone vulnerabili». Al contrario «hanno l’approccio di una “società dello scarto”, come dice Papa Francesco, e non mostrano affatto il volto della misericordia di Dio. La Chiesa cattolica canadese, dunque, insieme ai rappresentanti “ortodossi, protestanti, ebrei musulmani, ed insieme anche ai non credenti, ribadisce che l’eutanasia, il suicidio assistito e le indicazioni fornite nel rapporto sono completamente inaccettabili».
Sui principali giornali canadesi c’è un grande dibattito sulla possibilità di accesso al suicidio assistito ai minori. Chi non è favorevole, oltre a porre motivazioni religiose, sostiene che si rischia di infliggere un’ulteriore sofferenza emotiva ai genitori, che potrebbero trovarsi in una situazione di conflitto con il figlio proprio negli ultimi giorni della sua vita. Chi è critico propone inoltre un’estensione delle cure palliative, che secondo i favorevoli alla legge, però, non sono un’alternativa e non sono in contraddizione con la norma che permette l’estensione dell’eutanasia. Andrew Coyne sul National Post dice di avere molti dubbi: scrive che una volta approvata la legge sarebbe «logicamente incoerente e moralmente intollerabile limitare i suoi benefici solo ad alcuni e condannare invece altri a continuare a soffrire», ma dice anche di non poter fare a meno di pensare che «una società che contempla di mettere a morte dei bambini in qualche modo ha perso la sua strada».