Le due Hollywood degli Oscar
I premi di quest'anno riconoscono che ci sono spazi - di pubblico, di marketing e di qualità - per le grandi produzioni rumorose e spettacolari come per i film d'autore
di Ann Hornaday – Washington Post
Il baccano e l’eccesso sono divertenti, ma conta anche la moderazione: è questo il messaggio che arriva dall’88esima edizione dei premi Oscar, dove produzioni grandi e chiassose come The Revenant e Mad Max: Fury Road hanno sì vinto la maggior parte dei premi, ma è stato un film teso e contenuto sul giornalismo – Il caso Spotlight – a prendersi i riconoscimenti per Miglior film e Miglior sceneggiatura originale.
In una stagione in cui i candidati erano stati ben spartiti tra grandi successi di incasso e film più piccoli e creativi, la cerimonia degli Oscar ha rispecchiato questa separazione. Un road movie molto movimentato come Mad Max ha fatto incetta di premi in apertura di cerimonia, vincendo l’Oscar per il Miglior sonoro, Miglior scenografia, Miglior montaggio e Miglior trucco e acconciatura, ma è stato raggiunto presto da The Revenant, un’ambiziosa storia di sopravvivenza che racconta il ritorno di un uomo alla vita tra mille difficoltà, e la sua vendetta dopo l’attacco da parte di un orso. The Revenant ha ricevuto anche il premio per la Miglior fotografia di Emmanuel Lubezki, e Alejandro G. Iñárritu ha vinto per il secondo anno di fila il premio come Miglior regista, per il film che ha anche dato a DiCaprio il suo primo Oscar.
Come ogni anno gli Oscar sono un parametro per capire come Hollywood vede se stessa e a che pubblico si rivolge. Il film più popolare dell’anno, Star Wars: Il risveglio della Forza, era stato nominato per la solita serie di premi tecnici riservati ai film con molti effetti speciali, quelli che formano la spina dorsale del modello di business di Hollywood: senza vincerne nessuno. Ma i film da popcorn sono arrivati a competere anche in categorie più prestigiose: Mad Max, The Martian e Il ponte delle spie erano tutti candidati all’Oscar per la Miglior Regia, insieme a Brooklyn, Spotlight, La grande scommessa e Room, film più modesti e orientati a un pubblico adulto e che agli Oscar hanno riscosso più successo dei film più “popolari”. Brooklyn, La grande scommessa e Spotlight hanno registrato ottimi incassi nel periodo degli Oscar: è un segnale positivo, che dimostra che i film profondi e indipendenti hanno ancora uno spazio nell’ecosistema di Hollywood.
Spotlight, che racconta l’inchiesta del Boston Globe del 2001 sugli abusi sessuali sui minori da parte di esponenti della Chiesa cattolica, era diventato il favorito per vittoria dell’Oscar come Miglior film da quando era stato mostrato in anteprima al festival del cinema di Venezia l’anno scorso. Nelle ultime settimane però The Revenant aveva guadagnato maggior credito, grazie all’instancabile campagna di marketing di DiCaprio e del gruppo di creativi del film che hanno raccontato come la produzione del film sia stata difficile tanto quanto gli eventi che racconta. The Revenant ha fatto incassi enormi, sfruttando alla perfezione i due modelli di business che definiscono il marketing cinematografico: da una parte il tipo di produzione di successo che Hollywood è specializzata nel promuovere, e dall’altra il genere di film d’autore e ambizioso dal punto di vista artistico che ottiene visibilità durante il periodo degli Oscar.
Mentre The Revenant diventava un candidato sempre più solido, c’era ancora più attesa per capire come il presentatore della cerimonia, il comico afroamericano Chris Rock, avrebbe affrontato la polemica che ha dominato il dibattito sugli Oscar: ovvero che ancora una volta non fossero stati candidati attori di colore, e che i film Creed and Straight Outta Compton – entrambi con registi e attori afroamericani – siano stati nominati per il contributo di membri del cast e sceneggiatori bianchi, senza poi vincere. Insieme ai monologhi di Chris Rock, il momento più significativo della serata sul tema dell’emarginazione è stato quando alcune vittime di abusi sessuali hanno raggiunto sul palco Lady Gaga dopo la sua interpretazione della canzone che ha scritto per Hunting Ground (Terreno di caccia), un documentario sugli stupri nei campus universitari americani.
Indipendentemente dal fatto che la discussione girasse intorno al tema della discriminazione razziale o all’uguaglianza di genere, gli Oscar di quest’anno hanno mostrato con chiarezza un settore nel mezzo degli stessi timori e cambiamenti culturali che stanno agitando gran parte della società e della politica americane. L’anno scorso Patricia Arquette, vincitrice dell’Oscar come Miglior attrice non protagonista, aveva fatto un appello accorato per la pari retribuzione di attrici e attori durante il suo discorso di ringraziamento; l’anno seguente diversi studi cinematografici si sono occupati del tema del basso numero di donne che lavorano davanti e dietro la telecamera e delle poche storie in cui sono rappresentate come soggetti e non oggetti, o sono relegate a ruoli marginali. La Equal Employment Opportunity Commission, un ente governativo americano che si occupa di discriminazione sul posto di lavoro, ha addirittura ritenuto opportuno avviare un’indagine sulla discriminazione di genere all’interno dell’industria cinematografica americana.
Per certi versi l’Oscar per il Miglior film sembra avere premiato il film con più attori maschi e bianchi tra i candidati, Il caso Spotlight (l’unica attrice nel film, Rachel McAdams, era stata nominata come Miglior attrice non protagonista senza vincere). Il film però non sarebbe mai stato realizzato senza l’incredibile impegno delle due produttrici, Blye Pagan Faust e Nicole Rocklin. La vittoria di Spotlight, annunciata poco dopo l’emozionante performance di Lady Gaga, ha avuto il sapore di una rivincita per tutti i film brillanti, umili e socialmente impegnati, ma anche per le persone che usano la loro posizione privilegiata per fare la cosa giusta. Distribuendo gli Oscar tra film con argomenti e approcci estetici così diversi, l’Academy si è dimostrata capace di esercitare il suo potere in modo inaspettato. Poi vedremo se avrà fatto davvero sue queste lezioni.
©2016 The Washington Post