Il paese dei complotti
Breve storia di cos'è diventata la Polonia e del suo politico più potente: e di come la sua politica sia condizionata da un clima di perenne sospetto
Alle 7:27 del 10 aprile 2010 un aereo con a bordo il presidente polacco, Lech Kaczyński, decollò da Varsavia, la capitale della Polonia, con 27 minuti di ritardo. L’aereo era diretto a Smolensk, una città di oltre 300mila abitanti a qualche centinaio di chilometri da Mosca, in Russia. Kaczyński stava andando a Smolensk per partecipare a una cerimonia per il 70esimo anniversario del massacro di Katyń della Seconda guerra mondiale, quando migliaia di soldati polacchi furono uccisi dagli uomini della polizia segreta sovietica. Sullo stesso aereo di Kaczyński c’erano altre 95 persone, tra cui l’ex presidente polacco in esilio Ryszard Zaczorowski, il presidente della Banca nazionale polacca, 18 parlamentari e diversi funzionari del governo e dell’esercito.
L’aereo non atterrò mai all’aeroporto di Smolensk. Il pilota tentò un atterraggio di emergenza a causa di una nebbia molto fitta che aveva ridotto la visibilità, ma la manovra fallì: si schiantò non lontano dall’aeroporto e tutte le 96 persone a bordo morirono. Fu la più grande tragedia nazionale nella storia recente della Polonia. Quel pomeriggio diversi luoghi pubblici di Varsavia, dove Lech Kaczyński era stato sindaco dal 2002 al 2005, si riempirono di candele e fiori; decine di migliaia di persone parteciparono al lutto collettivo per la sua morte.
Fuori dal palazzo presidenziale a Varsavia, in Polonia, il 10 aprile 2010 (Sean Gallup/Getty Images)
Le indagini successive dimostrarono che si era trattato di un incidente, un errore del pilota causato dalle pessime condizioni di visibilità. Non tutti però la pensavano così: il fratello gemello di Lech, l’ex primo ministro Jarosław Kaczyński e uno dei personaggi politici più importanti della Polonia post-comunista, disse che era stato un omicidio. Il suo partito, Diritto e Giustizia (di cui faceva parte anche Lech), accusò i liberali e i comunisti di essere i responsabili dello schianto dell’aereo. Sostenne – senza alcuna vera prova – che i liberali di Piattaforma Civica avevano poi cospirato con i russi per prevenire ulteriori indagini sulla morte del presidente. Un grande complotto che i nemici della Polonia avevano messo in piedi con l’aiuto delle potenze straniere. Erano accuse che ripetevano uno schema già visto e che dominano il dibattito politico in Polonia dalla fine del comunismo, ma le cui radici si possono far risalire al Diciottesimo secolo.
Le accuse che seguirono l’incidente aereo dell’aprile del 2010 aiutano a spiegare molto di quello che sta succedendo oggi in Polonia, un paese che si sente continuamente sotto assedio – del multiculturalismo, dell’omosessualità, del consumismo occidentale, degli ebrei, dei migranti e dei comunisti – e in cui Jarosław Kaczyński rimane ancora la figura più rilevante di tutta la politica nazionale; dove il ministro degli Esteri definisce «un mondo fatto da ciclisti e vegetariani» come una malattia che il suo governo cerca di curare; e nel quale, ha scritto il giornalista del Guardian Christian Davies, le attuali agitazioni sono il risultato «di come la rabbia nei confronti dei liberali polacchi sia diventata una guerra contro la democrazia liberale di per sé». È una storia che va capita a partire da quello che successe a Solidarność, il sindacato che contribuì ad arrivare alla fine del comunismo in Polonia dopo il 1989. I protagonisti di questa storia sono i fratelli Kaczyński e il primo leader di Solidarność, il premio Nobel per la pace Lech Wałęsa, oggi accusato di essere stato un informatore dei servizi segreti sovietici durante gli anni Settanta.
Lech (a sinistra) e Jaroslaw Kaczyński a Danzica il 31 agosto 2005 (LUDMILA MITREGA/AFP/Getty Images)
Le divisioni in Solidarność
Era il giugno 1989 quando nella Repubblica Popolare di Polonia – il nome ufficiale della Polonia durante il regime comunista – si tennero le prime elezioni semi-libere da 60 anni a quella parte. Le elezioni furono vinte da Solidarność, un sindacato conservatore fondato nel 1980 da Lech Wałęsa e il primo non controllato dai comunisti in un paese del Patto di Varsavia (l’alleanza militare tra i paesi del blocco sovietico). L’allora presidente polacco, il comunista Wojciech Jaruzelski, fu costretto a nominare un primo ministro di Solidarność anche se il suo partito mantenne di fatto il controllo dei ministeri più importanti, tra cui quello degli Interni e della Difesa: il principio su cui si basò la redistribuzione delle cariche politiche più importanti della Polonia fu “vostro presidente, nostro primo ministro”. Iniziò così un periodo di transizione verso l’economia di mercato. La Repubblica Popolare di Polonia fu abolita alla fine del 1989 e il Partito comunista fu sciolto. Emersero però nuovi problemi: la disoccupazione crebbe parecchio e molti esponenti del nuovo governo cominciarono a sfruttare le nuove opportunità date dalla privatizzazione dell’economia nazionale per arricchirsi, comprando gli asset statali e alimentando la corruzione.
Dopo le elezioni del 1989 cominciarono a emergere le divisioni dentro Solidarność: da una parte c’erano quelli che avevano raggiunto posizioni di potere, dall’altra quelli che ne erano rimasti esclusi, tra cui i due fratelli Kaczyński. Secondo loro – che facevano parte di Solidarność – la nuova Polonia non era stata ridisegnata secondo il principio “vostro presidente, nostro primo ministro”: si era scelto di scendere a patti coi comunisti e quindi anche il primo ministro di Solidarność era compromesso. Come ha scritto Davies sul Guardian, «era stata tracciata una linea, con i comunisti e i liberali da una parte e tutti gli altri dall’altra». I fratelli Kaczyński e i loro alleati cominciarono a vedere i liberali come dei traditori: la vera rivoluzione doveva ancora compiersi, dicevano loro. I rapporti tra Wałęsa e i due fratelli Kaczyński rimasero buoni durante tutti i primi mesi della transizione. Alla fine del 1990 Wałęsa fu eletto presidente e Jarosław Kaczyński fu nominato capo della cancelleria presidenziale. Dopo solo 11 mesi, però, Wałęsa licenziò Kaczyński, dando inizio a una delle rivalità che più hanno condizionato la politica polacca degli ultimi 20 anni.
Il sistema spiega tutto; quello che non spiega è spiegato dal sistema
In quel periodo ci fu un avvenimento particolare che dimostra come nella Polonia post-comunista si era sviluppato un sistema di sospetto e complottismo perenne. Dopo essere stato licenziato, Kaczyński accusò Wałęsa di lavorare per i comunisti – la stessa accusa che pochi mesi prima aveva rivolto contro i liberali – e disse che un suo alleato di governo era in possesso di alcuni documenti che potevano provarlo. Una commissione parlamentare indagò sulle accuse: disse che erano infondate e che facevano parte di un piano dell’alleato di Kaczyński per prendere il potere illegalmente. Kaczyński rispose che le conclusioni della commissione erano l’ulteriore prova che i comunisti erano ancora al potere in Polonia e che governavano con l’aiuto dei liberali. Era un sistema che giustificava la sua stessa esistenza (un cane che si morde la coda, diremmo in altre parole): se non si riusciva a dimostrare l’esistenza dei documenti che avrebbero dimostrato l’esistenza del sistema, era perché il sistema – di cui ancora non si era dimostrata l’esistenza – lo aveva impedito.
La rottura definitiva dentro Solidarność avvenne sulla questione della nuova Costituzione, che era stata negoziata dalle forze di sinistra (eredi dei comunisti polacchi) e dai liberali: la nuova Costituzione tra le altre cose rafforzava i diritti dei non credenti e rifiutava il concetto di primazia della Chiesa cattolica nella vita pubblica della Polonia. Quando fu messa ai voti molte regioni dove la Chiesa cattolica era molto influente, come quelle orientali, la bocciarono: i “dissidenti” di Solidarność, guidati dai fratelli Kaczyński, accusarono di nuovo comunisti e liberali di voler instaurare un regime autoritario e comunista e di voler imporre la volontà di una minoranza sulla maggioranza (la Polonia è uno stato a grande maggioranza cattolica). Nel 2001 i liberali di Solidarność, quelli che di fatto avevano guidato la Polonia dopo la fine del comunismo nel 1989, fondarono Piattaforma Civica, un partito favorevole all’economia di mercato e filo-europeista in politica estera. I “dissidenti” fondarono Diritto e Giustizia, un partito contrario alla democrazia liberale ed euroscettico. Dopo anni di governo di Piattaforma Civica, oggi il presidente e il primo ministro sono entrambi di Diritto e Giustizia. L’ultima volta era successo tra il 2006 e il 2007, quando i due fratelli gemelli Lech e Jarosław Kaczyński ricoprirono i ruoli rispettivamente di presidente e primo ministro: un caso unico al mondo.
Soli contro tutti
Nel 2012 Jarosław Kaczyński prese la parola in Parlamento e disse, rivolgendosi all’allora primo ministro Donald Tusk, oggi presidente del Consiglio europeo: «Politicamente hai il 100 per cento delle responsabilità per la catastrofe» in cui era rimasto ucciso il fratello Lech. Secondo Jarosław, Tusk aveva complottato con i russi per evitare di indagare sulla morte di Lech. Ancora oggi, il 10 di ogni mese, Diritto e Giustizia organizza una manifestazione per chiedere “la verità” su quanto successo a Smolensk. Quello su cui continua a far leva Jarosław Kaczyński è il concetto negativo di “układ”, la collaborazione tra élite e potenze straniere che il Guardian fa risalire almeno al Diciottesimo secolo, quando i nobili polacchi tradirono il paese alleandosi con Caterina II di Russia.
L’ex presidente Lech Wałęsa, a sinistra, e l’ex primo ministro Donald Tusk, a Varsavia, il 3 novembre 2013 (AFP PHOTO/JANEK SKARZYNSKI)
La retorica del complotto, dell’assedio e della minaccia comunista è riassunta in una cosa che Jarosław Kaczyński scrisse sulla Germania e su Angela Merkel nel 2011: «Merkel appartiene a una generazione di politici tedeschi che vorrebbe reinstaurare il potere imperiale della Germania. Un asse strategico con Mosca è parte di questo piano. […] Non penso che l’assegnazione del cancellariato a Angela Merkel sia stata casuale». Kaczyński stava insinuando che Merkel fosse stata portata al potere dalla Stasi, la principale organizzazione di spionaggio della Germania Est (come scrisse lo Spiegel, tralasciando il fatto che Merkel divenne cancelliera nel 2005, quando la Stasi era stata smantellata da quindici anni). Quando un giornalista dell’edizione polacca di Newsweek chiese a Kaczyński di spiegare meglio cosa volesse dire con quella frase, Kaczyński rispose che Merkel sapeva quello di cui lui stava parlando. Messo sotto pressione dal giornalista, Kaczyński suggerì di “lasciar perdere”.
Nel 2015 Diritto e Giustizia vinse le elezioni parlamentari e presidenziali con la promessa di rimettere in piedi la Polonia dopo il governo delle élite liberali e corrotte che avevano trascurato i valori patriottici e cristiani della nazione. Da allora il governo polacco guidato dalla prima ministra Beata Szydło si è allontanato dagli altri paesi dell’Unione Europea, dopo gli anni positivi di Donald Tusk. Ha anche approvato una serie di misure molto controverse riguardanti, tra le altre cose, la Corte Costituzionale polacca e i mezzi di informazione. Le opposizioni e l’Unione Europea hanno accusato il nuovo governo di voler limitare l’indipendenza sia del sistema giudiziario che della stampa e di volere portare avanti diverse politiche contro i diritti delle donne e dei gay. Kaczyński oggi ha un seggio in Parlamento, è il presidente di Diritto e Giustizia e secondo diversi osservatori è l’uomo più potente della Polonia. I suoi nemici sono ancora i liberali e i comunisti, come venticinque anni fa, e lui dice di credere che il suo paese sia ancora assediato dalle minacce esterne, un insieme di forze che cospirano contro la Polonia. Una frase pronunciata di recente dal ministro degli Esteri polacco, Witold Waszczykowski, aiuta a capire un pezzo di visione politica del partito di Jarosław Kaczyński. Riferendosi al suo governo, Waszczykowski ha detto:
«Vuole solo curare alcune malattie che hanno colpito il nostro paese: un nuovo misto di culture e razze, un mondo fatto da ciclisti e vegetariani, che usa solo le energie rinnovabili e che combatte tutti i segni della religione… La maggior parte dei polacchi agisce sulla base della tradizione, della conoscenza storica, dell’amore per il proprio paese, della fede in Dio e della normale vita familiare tra un uomo e una donna»