Il sorprendente endorsement di Chris Christie a Donald Trump
Il più moderato fra i candidati Repubblicani alla presidenza, che si è ritirato due settimane fa, ha annunciato a sorpresa che appoggerà uno dei candidati più radicali
Chris Christie, 53enne governatore Repubblicano del New Jersey ed ex candidato “moderato” alla presidenza degli Stati Uniti, ha annunciato che appoggerà la candidatura di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. Quasi nessuno si aspettava un annuncio del genere da parte di Christie, che negli ultimi anni si è fatto notare fra i Repubblicani per il suo approccio pragmatico, la sua tendenza al compromesso e le sue posizioni piuttosto moderate su alcuni temi centrali per i Repubblicani conservatori, fra cui il controllo sulla vendita delle armi e l’immigrazione. Alle ultime elezioni presidenziali, per capirci, Christie aveva appoggiato Mitt Romney, uno dei candidati più moderati di allora.
Parlando a un comizio di Donald Trump in Texas, Christie è intervenuto sul palco ricordando di essere amico di Trump da diversi anni e ha annunciato il suo endorsement spiegando che «non c’è nessuno più preparato di Donald Trump per dare all’America una leadership forte di cui ha bisogno sia nel suo territorio sia in giro per il mondo». Trump è attualmente il candidato favorito per ottenere la nomination: ha vinto le primarie in New Hampshire, ha stravinto quelle in Nevada e South Carolina ed è il favorito in tutti gli stati che voteranno a breve.
Quello di Christie è il primo endorsement di un certo peso per Trump, la cui sostenitrice politica più nota finora era stata l’ex candidata vicepresidente Sarah Palin, famosa per le sue posizioni molto di destra. Secondo gli esperti di politica americana, l’endorsement di Christie avrà l’effetto di dare una notevole spinta alla candidatura di Trump durante il cosiddetto Super Tuesday – cioè la giornata in cui votano contemporaneamente una dozzina di stati, che quest’anno si tiene l’1 marzo – e a lungo termine potrebbe legittimare Trump agli occhi dell’elettorato moderato dei Repubblicani.
Chi è Christie
Christie è nato a Newark, nel New Jersey, nel 1962. Dopo essersi laureato in Giurisprudenza e aver lavorato da avvocato, dal 2002 al 2008 è stato il procuratore generale del New Jersey. Nel 2009 ha vinto le elezioni a governatore dello stesso stato ed è stato rieletto nel 2013. Dal 2013 Christie è anche il capo dell’associazione dei governatori Repubblicani. Christie è noto per essere un politico pragmatico e non ideologico: appoggia le unioni civili fra omosessuali ma è contrario al matrimonio; è molto attento ai temi sociali; è personalmente contrario all’aborto ma contrario anche alla completa eliminazione della libertà di scelta; è a favore dei sussidi pubblici alle scuole private, ma in maniera mirata (negli anni scorsi ha progettato un mega-piano di sviluppo delle scuole di Newark con il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg e il senatore Democratico Cory Booker); è critico verso le agenzie governative per la difesa dell’ambiente che multano le aziende, ma volenteroso e concreto negli investimenti nelle energie rinnovabili.
Christie è anche un formidabile oratore: nel penultimo dibattito televisivo dei Repubblicani, appena prima delle primarie in New Hampshire, ha fatto fare una gran brutta figura a un altro candidato moderato, il senatore della Florida Marco Rubio, prendendo in giro le sue difficoltà oratorie e dando la colpa all’aver passato troppo tempo a Washington vicino all’establishment politico nazionale.
Queste doti, riconosciute e apprezzate anche dai Democratici (nel 2012 Christie parlò molto bene di Obama in occasione della loro stretta collaborazione per gestire l’emergenza dell’uragano Sandy), hanno di fatto reso possibile la sua elezione a governatore del New Jersey, uno stato in cui i Democratici sono molto forti. Proprio per il suo approccio “moderato” e una carriera politica di successo, si parlava da anni di una candidatura di Christie a presidente degli Stati Uniti, che però è arrivata nel suo momento peggiore da quando è in politica: cioè un anno dopo un brutto scandalo locale in cui è stato accusato di aver fatto chiudere al traffico un ponte per danneggiare un suo avversario politico. Della storia del ponte se ne è parlato per mesi – è persino finita dentro a una copertina del New Yorker – e secondo molti ha compromesso parecchio la sua candidatura: dopo essere rimasto inchiodato per mesi agli ultimi posti dei sondaggi – ed essere arrivato sesto nelle primarie in New Hampshire, uno stato dove aveva investito molti soldi ed energie – Christie ha annunciato il suo ritiro, il 10 febbraio.
Perché lo ha fatto?
In tutta la campagna elettorale, Christie si è tenuto molto distante da Donald Trump, attaccandolo duramente diverse volte – spiegando ad esempio che “non è adatto a fare il presidente” e che “non abbiamo bisogno di un reality show, alla Casa Bianca” – e mantenendo posizioni molto meno radicali. Trump, a ben vedere, non aveva ricambiato gli attacchi: la pagina del New York Times che tiene conto di tutti gli insulti rivolti da Trump a persone o cose durante la campagna elettorale in corso, ha registrato un solo attacco contro Christie, peraltro piuttosto benevolo («ha passato tutto il suo tempo in New Hampshire»).
Nelle ore successive all’endorsement, diversi esperti di politica americana hanno suggerito che Christie abbia appoggiato Trump per assicurarsi un eventuale posto da vicepresidente in caso di vittoria di Trump. Lo stesso Trump, commentando l’ipotesi, ha spiegato che i due non ne hanno ancora parlato ma che «certamente [Christie] avrebbe il talento per farlo». Il New York Times, in un articolo che spiega quello che hanno guadagnato entrambi dall’endorsement, ha scritto che Christie ha ottenuto sostanzialmente nuovo interesse nei suoi confronti e una parte rilevante nell’ambito della politica nazionale, mentre Trump una certa legittimazione trasversale fra i Repubblicani. Chris Cillizza, un bravo giornalista politico del Washington Post, ha elencato quattro ragioni che spiegano l’endorsement di Christie: un certo pragmatismo nel cercare di stare dalla parte di chi vince, cioè Trump, la sua antipatia verso Rubio e Ted Cruz, la volontà di rimanere in ballo per la vicepresidenza e la sua personale amicizia con Trump.