Esistono ancora i riformisti in Iran?
Esistono e si stanno organizzando per votare il meno peggio per loro – i moderati del presidente Rouhani – perché quasi tutti i loro candidati sono stati esclusi dalle liste elettorali
Oggi in Iran si vota per rinnovare il Parlamento (il Majlis) e l’Assemblea degli esperti, l’organo incaricato tra le altre cose di eleggere e rimuovere la “Guida suprema”, la più importante figura politica e religiosa del paese. Negli ultimi giorni si è parlato molto dello scontro politico tra la fazione dei “moderati”, che fa riferimento al presidente Hassan Rouhani, e quella degli ultraconservatori, che fa riferimento all’ayatollah Ali Khamenei, cioè l’attuale Guida suprema: saranno loro a giocarsi la vittoria, anche perché tra le liste dei candidati ammessi alle elezioni mancano quasi del tutto i riformisti. I riformisti hanno avuto una parte importante nella storia recente dell’Iran, ma sono considerati da anni una seria minaccia dai conservatori e sono sistematicamente esclusi dai posti di potere. E così, a questo giro, i riformisti hanno deciso di cambiare strategia: “turarsi il naso” e votare per il meno peggio, pur di continuare a contare qualcosa.
In Europa, dove le notizie sull’Iran suscitano di solito poco interesse, in molti si ricordano la cosiddetta “Onda Verde”, le proteste post-elettorali del 2009 e 2010 che furono organizzate dopo la rielezione del presidente conservatore Mahmud Ahmadinejad. L’Onda Verde coinvolse molti giovani e le immagini delle proteste e della dura repressione che ne seguì fecero il giro del mondo, anche grazie all’ampio uso che gli iraniani fecero di Internet. Poi però si smise di parlarne. Era successo che alle elezioni si era presentato tra gli altri il riformista Hossein Mousavi, un architetto laureato all’Università di Teheran, un luogo in quegli anni molto attivo e dove gli oppositori trovavano un appoggio significativo alle loro idee. I sostenitori di Mousavi accusarono Ahmadinejad di avere vinto imbrogliando. Solo quattro anni prima era finita la presidenza di Mohammad Khatami, l’unico presidente riformista della storia dell’Iran, che aveva dato grandi speranze a tutti quelli che credevano che fosse possibile riformare il sistema dall’interno, cambiando gli aspetti più autoritari del regime.
Mahmoud Sadri, docente di sociologia alla Texas Woman’s University, ha scritto sul Guardian che la presidenza di Khatami convinse i conservatori che «anche una democrazia limitata potesse essere una minaccia a un regime teocratico» come quello iraniano. Da dopo le proteste dell’Onda Verde, il regime iraniano cominciò a squalificare i candidati riformisti da qualsiasi elezione. In molti parlarono del fallimento e della fine della corrente riformista; i riformisti cominciarono a boicottare le elezioni, lasciando però così campo aperto ai conservatori e ai moderati, il cui esponente oggi più conosciuto è l’attuale presidente Hassan Rouhani.
La strategia del boicottaggio è stata rivista negli ultimi anni: quella nuova si può riassumere nel votiamo-il-meno-peggio, cioè i candidati del fronte moderato. Il primo segno di questo cambiamento si era visto alle ultime elezioni presidenziali, nel 2013, dopo che il principale esponente della corrente riformista, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani (ex leader della rivoluzione del 1979 che nel corso degli anni ha moderato molto le sue posizioni politiche), era stato escluso dalle liste elettorali. I riformisti decisero allora di appoggiare la candidatura di Rouhani, che superò in maniera piuttosto inaspettata i suoi avversari conservatori. Una cosa simile si è verificata poco prima delle elezioni di oggi, dopo l’esclusione dalle liste elettorali del riformista Hassan Khomeini, nipote del fondatore della Repubblica Islamica, Ruhollah Khomeini. Il sito Al Monitor ha scritto che Khomeini faceva parte della lista di Rafsanjani: nonostante l’esclusione della sua candidatura i sostenitori di Rafsanjani hanno continuato a usare i poster elettorali che mostrano gli stessi Rafsanjani e Khomeini pregare insieme.
La strategia dei riformisti e moderati ha fatto preoccupare e arrabbiare molto i conservatori iraniani, che hanno accusato i loro avversari politici di essere pilotati dalle potenze esterne: in particolare se la sono presa con BBC Persian, come era già successo in passato diverse volte, accusata di condizionare l’opinione pubblica iraniana spostandola su posizioni filo-britanniche. Intanto venerdì Rafsanjani ha detto a Reuters che un fallimento dei riformisti alle elezioni di oggi «sarebbe un grande fallimento per la nazione iraniana».