Titoli provvisori di libri famosi
Da "1984" a "Moby Dick", dal "Grande Gatsby" a "50 sfumature di grigio": i nomi con cui non sono passati alla storia
di Giacomo Papi – @giacomopapi
Ci sono libri che nascono intorno a un titolo – come Gli sdraiati di Michele Serra – e libri che trovano il titolo giusto poco prima di essere stampati – come Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo, che si sarebbe dovuto intitolare Storiaccia. È questo il caso più frequente. La storia della letteratura è piena di libri famosi che si sarebbero dovuti chiamare in un modo diverso da quello con cui sarebbero passati alla storia. Gli esempi sono moltissimi e abbastanza clamorosi. Per citarne solo alcuni: 1984 di Orwell, Lolita di Nabokov, Finnegan’s wake di Joyce, Orgoglio e pregiudizio di Austen, Il lamento di Portnoy di Philip Roth, L’amante di Chatterley di D.H. Lawrence, Via col vento di Margaret Mitchell, Il deserto dei tartari di Buzzati, Il nome della rosa di Eco o – caso recente e titolo molto bello, La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano.
Di norma la scelta del titolo è una prerogativa dell’editore, ma è molto raro che la decisione venga presa in contrasto con l’autore, che anzi, di solito, si danna a proporre e convincere. Quando il titolo che mette tutti d’accordo non arriva, si organizzano riunioni editoriali in cui ognuno dice la propria. Alla fine, necessariamente, ne rimarrà solo uno. Ci sono scrittori per cui il titolo è quasi indifferente, come Dashiell Hammett a cui l’editore Alfred Knopf scrisse: «Dovresti occuparti e preoccuparti di più dei tuoi titoli. Quando una persona non riesce a pronunciare il titolo o il nome dell’autore, si intimidisce e non osa più entrare in libreria per chiedere quel libro. Capita più spesso di quanto tu non creda».
Per altri scrittori come Milan Kundera un titolo valeva l’altro, bastava che fosse bello e intonato alle sue personali ossessioni: «Qualunque mio libro potrebbe intitolarsi L’insostenibile leggerezza dell’essere oppure Lo scherzo o Amori ridicoli, i titoli sono intercambiabili, riflettono il piccolo numero di temi che mi ossessionano, mi definiscono e, sfortunatamente, mi limitano». Ernest Hemingway, invece, procedeva in modo metodico, ma solo dopo avere finito di scrivere: «Faccio un elenco di titoli dopo aver finito il racconto o il romanzo – a volte addirittura cento. Poi inizio a cancellarli, e a volte li cancello tutti».
33 copertine definitive con i titoli che avrebbero avuto