Giulio Regeni era una spia?
Se ne è riparlato oggi per via di una notizia che non lo era: comunque, non ci sono prove e probabilmente no
Da quando il 3 febbraio è stato trovato il corpo di un ricercatore italiano, Giulio Regeni, ai lati di una strada del Cairo, alcuni giornalisti hanno ipotizzato in maniera più o meno velata che Regeni potesse essere una “spia”. L’ipotesi – motivata anche dal fatto che Regeni avesse fonti e contatti nei sindacati egiziani – ha portato nei giorni scorsi diverse fonti vicini ai servizi segreti a smentire ai giornali che Regeni collaborasse con con l’AISE, il servizio d’intelligence esterno del governo italiano. Negli ultimi giorni l’ipotesi è tornata a circolare e oggi sulla stampa si cita come nuovo indizio il fatto che Regeni avesse lavorato per una società che si occupa di “intelligence”, la Oxford Analytica.
Il primo a parlare di questo “nuovo indizio” è stato il Fatto Quotidiano. In un articolo pubblicato ieri si parla della scoperta della collaborazione ottenuta grazie ad “alcune fonti” e poi confermata dal profilo Linkedin dello stesso Regeni (non il massimo della furbizia, per una spia). La Oxford Analytica, spiega il Fatto, «è considerata mondialmente tra le aziende di analisi e ricerca più accreditate. Fondata nel 1975 da David Young – ex assistente di Henry Kissinger ed ex membro del National Security Council statunitense – oggi annovera nel board giornalisti esperti di Oriente, investitori internazionali e analisti provenienti da governi di diversi paesi, tra i quali l’ex sottosegretario di Stato Usa John Negroponte e l’ex capo dei servizi segreti inglesi Colin McCole».
La Stampa ha aggiunto alcuni dettagli sul lavoro di Regeni per questa società: «Dal settembre 2013 al settembre 2014, Giulio ha lavorato alla produzione del “Daily Brief”, una decina di articoli pubblicati ogni giorno sugli eventi principali e mandata a una lista di clienti d’elite. È uno dei prodotti di punta del gruppo, modellato sui briefing che Kissinger preparava per Nixon». Tutti i giornali hanno titolato sul fatto che Regeni lavorasse per un’agenzia “privata di intelligence” e in molti sembrano voler suggerire che questo possa avere dei collegamenti con il suo omicidio, tanto che la famiglia oggi ha ripetuto ancora una volta che Giulio Regeni non lavorava per i servizi segreti.
Tutta la faccenda, in realtà, nasce da una non-notizia: “intelligence” di suo vuol dire semplicemente raccolta di informazioni sul campo – ovviamente cambia molto se è fatta per un governo, per una società privata o per un giornale – e che Regeni avesse collaborato con Oxford Analytica era già noto da più di una settimana. Lo scorso 7 febbraio, per esempio, proprio il Fatto Quotidiano aveva intervistato Neil Pyper, docente di strategia e leadership all’Università di Coventry, che aveva lavorato con Regeni proprio ad Oxford Analytica. All’epoca il Fatto la definì “azienda privata di consulenza nel campo della gestione del rischio e delle relazioni internazionali”, che poi è la definizione che la stessa agenzia si dà sul suo sito. Pochi giorni dopo, il 12 febbraio, Vice News aveva intervistato un altro collega di Regeni nella stessa società, Hannah Waddilove, senza trovare nulla di strano nella collaborazione di Regeni. In altre parole, la collaborazione di Regeni non è mai stata un segreto e fino a oggi non aveva mai fatto sospettare nessuno di possibili rapporti tra lui e i servizi segreti.
Mattia Toaldo, ricercatore presso l’ECFR che da anni vive a Londra, ha spiegato al Post: «Se la prova che Regeni era una spia è il suo lavoro per Oxford Analytica sono sorpreso. Questa è una società che fa intelligence come tanti soggetti che si occupano di political risk: procurano informazioni per i loro clienti che li aiutano a valutare il rischio di un investimento. Questa è sì intelligence, ma non vuol dire lavorare come spia per un governo. Altrimenti anche l’Economist è un covo di spie perché ha una “intelligence unit“».
Secondo altri, le voci sul fatto che Regeni fosse una spia arrivano in realtà proprio da ambienti vicini a quelli della sicurezza egiziana e sono una sorta di “giustificazione” per l’omicidio. Dice Toaldo: «É triste vedere che ci sia chi è cascato in questa trappola. Per questi regimi diverse categorie sono catalogati come “spie” semplicemente perché sono occhi del mondo puntati sulle loro malefatte: ricercatori ma soprattutto giornalisti stranieri o organizzazioni non-governative».