Le indagini su Giulio Regeni vanno a rilento
Secondo i giornali italiani ci sono nuovi indizi sulle responsabilità dei servizi segreti nella morte del ricercatore italiano al Cairo, ma l'Egitto non collabora
Da più di due settimane le autorità italiane indagano sulla morte di Giulio Regeni, il ragazzo italiano scomparso al Cairo il 25 gennaio scorso e trovato morto, in una strada della periferia della capitale dell’Egitto, il 3 febbraio. Le indagini procedono a rilento e con poche novità e, secondo i giornali di oggi, le responsabilità di queste lentezze sono da attribuire all’Egitto, accusato più o meno esplicitamente di aggiungere confusione e di non avere interesse ad affrontare le questioni che potrebbero portare a qualche elemento utile per ricostruire gli spostamenti e incontri di Regeni prima della sua morte.
Su Repubblica Carlo Bonini e Giuliano Foschini scrivono che l’indagine egiziana “continua a girare al largo dai luoghi, dalle circostanze e dai testimoni che potrebbero aiutare a rispondere alla domanda chiave di questa vicenda e dunque dare un nome agli assassini”, e la domanda è sempre la stessa da giorni: “Perché Giulio Regeni era diventato un obiettivo del Mukhabarat [i servizi segreti, ndr]?”. La procura di Roma, che sta indagando sul caso, ha iniziato a sentire le persone che erano in contatto con Regeni al Cairo, dove stava lavorando alla sua tesi di dottorato presso l’American University come studente della Cambridge University (Regno Unito).
Maha Abdelrahman, la docente di Cambridge tutor di Regeni, ha detto alla procura che a partire da metà dicembre lo studio di Regeni sull’attività sindacale in Egitto dopo la rivoluzione del 2011 era cambiato, diventando meno di ricerca sulle “fonti aperte” e più di ricerca interna, con contatti tra sindacalisti e attivisti. Nell’ultimo anno e mezzo – quindi dall’inizio della presidenza autoritaria di Abd al Fattah al Sisi – il controllo sull’attività sindacale da parte del governo è diventato molto più stretto e severo, perché si ritiene che nei sindacati si siano concentrati gli oppositori al regime dopo la messa al bando di diverse organizzazioni politiche, a partire da quella dei Fratelli Musulmani. Regeni, scrive Repubblica, aveva quindi iniziato a partecipare in modo più diretto “alla vita e alle dinamiche interne delle organizzazioni”, forse esponendosi di più ai controlli da parte delle autorità egiziane, già molto diffidenti su quanto accade nei sindacati.
Al controllo sui sindacati si affianca quello sulle università, ritenute dai servizi segreti un luogo in cui circolano molte informazioni sul paese. Un’ipotesi è che quindi Regeni avesse attirato l’attenzione di qualche agente, circostanza che ha trovato qualche altra conferma in quanto accadde l’11 dicembre 2015, quando Regeni partecipò a un’assemblea sindacale e si accorse di essere stato fotografato da qualcuno, forse della sicurezza. Non è comunque ancora possibile ricostruire con certezza che cosa abbia portato alla sua scomparsa e in seguito alla sua morte.
Sul Corriere della Sera di oggi Fiorenza Sarzanini aggiunge altri elementi sulle indagini, spiegando che le autorità italiane sono entrate in possesso della corrispondenza di Giulio Regeni nelle ultime ore prima della sua scomparsa. Sono stati esaminati per lo più SMS e alcuni messaggi inviati tramite Messenger, il sistema di chat di Facebook. Da queste analisi è stato possibile escludere l’attendibilità della testimonianza di un ragazzo egiziano, che ha sostenuto di avere visto Regeni mentre veniva portato via “da due agenti della polizia in borghese” nei pressi di Bohooth, una delle fermate della metropolitana, intorno alle 17:30 del 25 gennaio. Non è però chiaro perché sia stata resa questa testimonianza, considerato che nessuno aveva cercato il ragazzo egiziano, e l’ora indicata non coincide comunque con quella degli ultimi messaggi inviati da Regeni.
Alle 19:41 del 25 gennaio, per esempio, Giulio Regeni scrisse un messaggio alla sua ragazza, nel quale diceva di essere in viaggio per incontrare un intellettuale, una delle sue fonti per lo studio dei sindacati. Inviò anche uno “Sto arrivando” a Gennaro Gervasio, il docente di Scienze Politiche che vive al Cairo e che era diventato un contatto piuttosto assiduo di Regeni. Fu lo stesso Gervasio ad avere avvisato le autorità circa la scomparsa dopo un paio d’ore in cui non era più riuscito a mettersi in contatto con il dottorando. Queste circostanze rendono poco attendibile la testimonianza del ragazzo egiziano che dice di avere visto l’arresto di Regeni.