Dipende solo da Israele
Un esperto di Medioriente sostiene che il contesto attuale gli sia favorevolissimo: deve fare una cosa sola per diventare davvero una potenza regionale
Paul Scham, ricercatore ed esperto del conflitto israelo-palestinese, ha pubblicato sul magazine online Real Clear World un articolo in cui spiega che Israele – nonostante le moltissime difficoltà interne e un generale problema di prospettiva di uno stato sia democratico sia “etnico-religioso” – stia attraversando un periodo potenzialmente molto favorevole dal punto di vista geopolitico: e che se riuscisse a risolvere i suoi molti problemi interni potrebbe «accettare il suo posto all’interno della regione» del Medio Oriente, e cioè diventare davvero una potenza della zona.
Scham parte dal fatto che – al contrario di quanto si poteva dire per diversi anni dopo la sua fondazione avvenuta nel 1948 – la presenza di Israele in Medio Oriente è ormai un dato di fatto. Non è rimasta in piedi nessuna delle coalizioni di paesi arabi che negli anni passati hanno cercato di distruggere Israele: in seguito alla Guerra dei Sei Giorni del 1967, che fu combattuta da una coalizione di paesi arabi e fu stravinta da Israele, nessun paese ha più concretamente messo in dubbio la presenza di uno stato ebraico e democratico compreso fra Siria, Libano, Giordania ed Egitto. Negli anni successivi i rapporti fra Israele e i vicini paesi arabi si sono via via “normalizzati”, per quanto possibile, specialmente dopo gli accordi di Oslo del 1993 (considerati il primo passo per la formazione di uno stato palestinese, anche se dalla loro sottoscrizione la situazione si è cristallizzata attorno a quel primo passo). Scham fa notare che negli anni Israele ha sviluppato «relazioni diplomatiche semi-segrete» con i paesi arabi più stabili che non l’hanno mai riconosciuto ufficialmente come Marocco, Tunisia, e le monarchie del Golfo Persico, e che in generale «l’unica cosa che trattiene i governi della maggior parte dei paesi arabi a instaurare normali relazioni diplomatiche con Israele è il bisogno assoluto di ottenere uno stato palestinese per poter mostrare alla propria gente di non aver concesso proprio tutto a Israele».
Stabilito questo, Scham espone quattro punti che a suo dire chiariscono il buon momento di Israele nella geopolitica del Medio Oriente:
– secondo la logica per cui “il nemico del mio nemico è un mio amico”, spiega Scham, «i paesi sunniti più importanti nella regione sono oggi alleati de facto di Israele: parliamo di Arabia Saudita, Egitto, i ricchi stati del Golfo e della Giordania. Questo in larga parte per via del timore condiviso nei confronti dell’Iran, ma anche per ragioni di stabilità e di lotta al terrorismo rappresentato dall’ISIS o al Qaida». Secondo Scham, in pratica, i paesi arabi più stabili – e quindi più potenti – del Medio Oriente non hanno interesse a inimicarsi Israele, anzi.
– È poco probabile che i rapporti con l’Iran, nonostante l’atteggiamento storicamente ostile del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, peggioreranno ulteriormente: in seguito all’accordo su un programma nucleare pacifico fra l’Iran e i paesi del cosiddetto “5+1” e la fine delle pesanti sanzioni economiche, l’Iran tornerà ad avere un importante sviluppo economico, che però sarebbe compromesso da un eventuale atteggiamento bellicoso verso i paesi vicini. Se anche l’Iran decidesse di violare i patti, poi, Scham spiega che i rischi per Israele sarebbero «minori rispetto agli scorsi anni»:
«Il mondo è ben consapevole di un pericolo del genere, e gli interessi di Israele e del resto del mondo sul tema sono più allineati rispetto al passato. Israele, oltre a rientrare da sempre sotto la protezione “nucleare” degli Stati Uniti, è probabilmente in possesso di un proprio arsenale nucleare, e le autorità iraniane non hanno mai mostrato interesse a situazioni certamente dannose per il proprio paese»
– Israele è semplicemente passato in secondo piano anche per i suoi nemici storici. Scham fa l’esempio di Hezbollah – un partito e gruppo terroristico di ispirazione sciita contro cui Israele ha combattuto la cosiddetta Guerra del Libano del 2006 – che dall’inizio della guerra civile in Siria è impegnato a lottare al fianco del governo sciita di Bashar al Assad. In generale l’attenzione dei paesi del Medio Oriente negli ultimi anni si è concentrata sempre di più sui paesi meno stabili della zona come Siria e Iraq.
– Scrive Scham che «l’attuale potenza economica di Israele non ha precedenti»: nonostante negli ultimi mesi stia rallentando un po’ – le ultime previsioni stimavano che nel 2015 il PIL sarebbe cresciuto “solo” del 2,5 per cento, in calo rispetto agli anni scorsi – fra il 2008 e il 2015 il suo rapporto fra debito e PIL si è addirittura ridotto, in controtendenza rispetto al trend mondiale, e dispone di alcuni settori particolarmente in espansione come quello tecnologico. Jewish Press fa notare che nel 2015 le aziende israeliane che si occupano di tecnologia hanno raccolto 4,43 miliardi di dollari di investimenti, una cifra superiore al 30 per cento di quanto raccolto nel 2014. Solamente nelle prime tre settimane del 2016, inoltre, 20 start-up tecnologiche israeliane hanno raccolto in tutto quasi 500 milioni di dollari di investimenti da paesi europei, americani e asiatici.
Il PIL di Israele dalla sua fondazione: oggi è paragonabile a quello dell’Egitto, un paese che ha 10 volte i suoi abitanti
Secondo Scham, in conclusione, è Israele ad avere il coltello dalla parte del manico nell’auspicabile miglioramento dei rapporti nell’area: ma deve darsi una mossa e risolvere i suoi complicati problemi interni, se vuole approfittarne davvero.
«Solamente l’insistenza di Israele a rimanere in alcuni dei territori che ha occupato nel 1967 impedisce che queste cose siano innegabili e ammesse pubblicamente. A causa della sua storia e di quello che ha passato il popolo ebraico, Israele è ancora prigioniero di una mentalità formata negli anni Quaranta, che ora è fuori posto. Certo, è circondata da nemici, ma la maggior parte di loro aspira a diventare un alleato. Per quanto ancora Israele si rifiuterà di prenderne atto e di accettare il posto che le spetta all’interno del Medio Oriente?»