Perché l’Italia di rugby “quasi vince”
Capita spesso che l'Italia perda ma "bene", "con onore", e la cosa è diventata uno dei simboli della retorica del rugby italiano: ma ha le sue ragioni
Le frequenti sconfitte della nazionale italiana di rugby spesso vengono accolte pacatamente dalla stampa e da molti appassionati: sconfitte come quella nella partita del Sei Nazioni con la Francia, persa per 23 a 21 per un calcio di punizione negli ultimi dieci minuti, vengono definite “incoraggianti” o delle “quasi vittorie”. Altri invece, soprattutto negli ultimi anni, hanno iniziato a criticare l’esaltazione della sportività del rugby, giudicandola come parte della retorica legata a questo sport e una delle cause della scarsità di buoni risultati della nazionale: credono che critiche più severe farebbero nascere delle riflessioni sul rugby italiano e aiuterebbero la nazionale a crescere. Spesso poi si fanno paragoni con la nazionale di calcio, frequentemente criticata a volte anche per pareggi o vittorie ottenute giocando male.
Per alcune delle nazionali più forti del mondo, in grado di lottare per qualsiasi competizione internazionale, come Nuova Zelanda, Inghilterra, Australia o Sudafrica, una sconfitta nella maggior parte dei casi porta a conseguenze simili a quelle che si verificano nel calcio. Dopo la partita persa contro l’Australia all’ultima Coppa del Mondo, per esempio, l’Inghilterra fu eliminata ai gironi nel torneo di rugby più importante al mondo, per giunta organizzato in casa. La squadra venne fischiata dal pubblico (ma non più di tanto) e molto criticata dai tifosi; la federazione poche settimane dopo decise di terminare il contratto dell’allenatore Stuart Lancaster, che si dichiarò il maggior responsabile della sconfitta. La “quasi vittoria” non è un termine inventato dai tifosi italiani né una cosa sconosciuta all’estero; ma rispetto al calcio e a molti altri sport, è indubbio che nel rugby il risultato non sia così indispensabile, per diversi motivi.
La comprensione delle sconfitte deriva in parte dalla cultura del rugby, uno sport generalmente molto corretto. Quando il rispetto tra giocatori viene a mancare, nel caso di risse prolungate o comportamenti scorretti, viene severamente sanzionato. Il concetto di “rispetto” a volte può sembrare esagerato ma è fondamentale in uno sport di contatto in cui i giocatori passano tutta la partita a placcarsi e contendersi il pallone nelle mischie: già così durante le partite non è raro assistere a delle risse che nascono proprio dal contatto fisico prolungato. Le risse più contenute vengono tollerate dall’arbitro (le stesse che nel calcio comporterebbero almeno un’espulsione), che al massimo assegna un calcio di punizione. Il direttore di gara interviene solo quando la violenza supera il limite tollerato. È anche il rispetto della sconfitta (quando i vincitori applaudono gli avversari sconfitti davanti all’ingresso degli spogliatoi) a non esasperare la delusione, le critiche e le contestazioni dei tifosi al termine di una partita in cui la loro squadra ha perso, anche nettamente.
L’altra ragione principale è costituita dalle regole del rugby e dal modo in cui vengono assegnati i punti. Nel rugby si possono fare punti con una meta, con le trasformazioni delle mete, con i calci di punizione e con i drop. Una meta vale 5 punti, una trasformazione 2, un calcio di punizione e un drop 3. Per questo c’è una differenza fondamentale tra sconfitte nette e meno nette: una meta fa guadagnare più punti ma è più difficile e faticosa da ottenere; un calcio o un drop sono relativamente più facili da realizzare, grazie ai falli degli avversari o a marcature troppo larghe. Capita spesso che i tifosi fischino la propria squadra perché ricorre troppo ai calci di punizione o ai drop, giudicati come una “scorciatoia” verso la vittoria. I vari modi di ottenere dei punti poi fanno sì che le partite di rugby raramente terminino in parità e conseguentemente il confine tra vittoria e sconfitta è più sottile rispetto ad altri sport.
Infine c’è una delle caratteristiche fondamentali del rugby: vince quasi sempre o la squadra più forte o quella che ha meritato di più. Non si verificano quasi mai vittorie fortunose di squadre più deboli: se una squadra è inferiore alle avversarie, come nel caso dell’Italia al Sei Nazioni, una lunga serie di sconfitte è da mettere in conto. Quattro delle sei nazionali che partecipano al Sei Nazioni hanno dovuto aspettare anche molto tempo tra una vittoria e l’altra: la Francia ha giocato per 43 anni prima di vincere un Sei Nazioni, l’Irlanda non ha vinto il torneo per 24 anni, la Scozia per 26 e l’Inghilterra per 18 anni e 16 edizioni. Considerando che la tradizione rugbistica italiana è molto più giovane e debole rispetto a questi paesi, è normale che la nazionale italiana faccia molta fatica a vincere.