Quanto conta essere belli in politica?
Un recente studio canadese ha dato solidità scientifica a una vecchia convinzione, con qualche esempio
Il Wall Street Journal ha sintetizzato i risultati di un recente studio di alcuni istituti canadesi sulla parte del cervello che si occupa di elaborare gli stimoli che arrivano dalle altre persone, e che contribuiscono alla formazione di un’opinione. L’obiettivo degli scienziati era capire il peso giocato dalla bellezza esteriore in un processo decisionale “a distanza”: per esempio durante una campagna elettorale, durante la quale abbiamo pochi dati a disposizione per farci un’idea precisa della personalità di un candidato. Il risultato dello studio, intitolato La corteccia laterale orbitofrontale lega la prima impressione alla scelta politica e realizzato da diversi dipartimenti della McGill University di Montreal, mostra in pratica che il cervello tiene parecchio in considerazione la bellezza esteriore quando si tratta di compiere scelte avendo pochi dati a disposizione, situazione in cui si trovano in moltissimi proprio nel caso di un’elezione.
Esistono già diversi studi che legano un certo tipo di bellezza fisica – per esempio le fattezze da adolescente, con gli zigomi bene in vista e sopracciglia arcuate: più o meno come il candidato Repubblicano alle presidenziali americane Marco Rubio – a una maggiore credibilità, o ancora che tendiamo a conservare l’impressione che ricaviamo da un personaggio politico nei primi secondi in cui lo osserviamo. Ora però gli scienziati hanno individuato una particolare area del cervello connessa con le decisioni di tipo politico: la corteccia orbitofrontale, situata proprio dietro agli occhi.
Semplificando molto, il compito della corteccia orbitofrontale è mettere insieme informazioni e stimoli diversi provenienti da una data persona e assemblarli fino a formare un’opinione, le cui conseguenze possono avere effetti notevoli su un’eventuale scelta politica. Per provare questo legame, i ricercatori della McGill University hanno contattato 7 persone che hanno subito danni alla corteccia orbitofrontale ma le cui funzioni cognitive sono intatte, 18 persone con problemi al sistema nervoso che però non riguardano la corteccia orbitofrontale, e 53 persone sane. Il Wall Street Journal descrive così la fase iniziale dello studio:
«I ricercatori hanno mostrato a ogni partecipante due foto, ciascuna delle quali mostrava un politico. I soggetti non conoscevano i candidati e non avevano nessuna informazione su di loro. In una prima fase veniva chiesto loro di scegliere uno dei due candidati. In una seconda fase ai partecipanti era chiesto di dare un voto a due qualità di ciascun candidato: bellezza e competenza (la seconda, praticamente solo in base alla prima)»
I voti delle 53 persone “sane” e delle 18 con parziali danni al cervello hanno tenuto conto sia del fattore “bellezza” sia del fattore “affidabilità”, di fatto scegliendo di votare per un candidato nonostante ritenessero l’altro candidato più bello. I voti delle 7 persone con danni alla corteccia orbitofrontale, invece, coincidevano con i loro giudizi sulla bellezza: insomma, sintetizza il Wall Street Journal, «erano più portati a votare per la persona che ritenevano più attraente». In altre parole, in mancanza di un meccanismo che combini stimoli diversi – e che quindi tenga presenti anche considerazioni secondarie come l’affidabilità basata sull’aspetto fisico – il cervello tende a “fidarsi” della bellezza esteriore.
Secondo il Wall Street Journal lo studio può essere utile per capire perché a volte apprezziamo un candidato su una base “istintiva” più che razionale, senza sapercelo spiegare. Come ha osservato la dottoressa Lesley Fellows, che ha condotto lo studio per la McGill University, a volte può succedere semplicemente che «il cervello viene travolto da un numero altissimo di stimoli: quando diventano troppi, le persone semplificano fino all’osso».