Cambiare direttore creativo conviene?
Le case di moda lo fanno sempre più spesso, nonostante i rischi economici: comporta spesso l'assunzione dei suoi collaboratori e il rinnovo delle boutique
di Enrico Matzeu – @enricomatzeu
Negli ultimi mesi nel mondo della moda si è discusso molto della frequenza con cui le aziende cambiano i propri direttori creativi e di come gli stilisti spesso non riescano a lavorare con serenità a causa dei ritmi troppo veloci che richiedono di disegnare troppe collezioni in poco tempo. Nel 2015 molti stilisti si sono dimessi o sono stati licenziati: Alexander Wang da Balenciaga, Raf Simons da Dior, Alber Elbaz da Lanvin, Stefano Pilati da Zegna e Alessandro Sartori da Berluti. Dall’altra parte c’è una spinta per rendere il mondo della moda ancora più rapido: le persone – abituate ai ritmi più veloci delle catene low cost e all’immediatezza dei social network – vogliono poter comprare da subito i vestiti che vedono sfilare in passerella, senza dover attendere sei mesi prima che arrivino nei negozi. Aziende come Burberry e Tom Ford hanno deciso di assecondare queste spinte verso una maggiore integrazione tra vendite e sfilate, e da settembre 2016 presenteranno direttamente le collezioni di quella stagione.
Cambiare direttore creativo spesso è utile per rinnovare e rilanciare un’azienda, anche se bisogna attendere qualche anno per vedere le conseguenze. L’arrivo dello stilista Hedi Slimane da Saint Laurent nel 2012, ad esempio, ha cambiato molto l’immagine della casa di moda e ha aumentato del 27 per cento il fatturato del 2014 di Kering, la holding del lusso che controlla il marchio. La stessa cosa è accaduta con l’arrivo della stilista Phoebe Philo da Céline, che ha aumentato le vendite di 750 milioni di euro. Come spiega il sito di moda Business of Fashion però cambiare direttore creativo può comportare anche rischi economici, soprattutto se la collaborazione dura troppo poco e l’azienda non ha abbastanza tempo per recuperare i soldi investiti.
Quando va a dirigere un’azienda, uno stilista porta solitamente con sé i collaboratori più stretti, che devono venire quindi assunti: i direttori creativi delle aziende di lusso sono pagati molti milioni di euro l’anno e anche le loro persone di fiducia ricevono stipendi molto alti. Se poi lo stilista non vive nella stessa città in cui ha sede la casa di moda, gli verranno pagati i viaggi e la casa; spesso viene anche riarredato lo studio in cui lavora. Nel 2012 per esempio Dior ha assunto insieme al nuovo direttore creativo Raf Simons il suo braccio destro Pieter Mulier e arredato l’ufficio nel modo in cui preferiva. Saint Laurent, che ha sede a Parigi, ha messo in piedi per Hedi Slimane uno studio con quindici persone a Los Angeles, dove vive lo stilista. Anche Phoebe Philo non si è trasferita a Parigi e Céline le ha fornito una sede a Londra: il personale deve fare la spola tra Londra, Parigi – sede dell’azienda – e Firenze, dove vengono prodotti i pellami.
Un nuovo stilista significa spesso una nuova immagine per l’azienda e quindi un nuovo stile per i negozi. Le maison investono milioni di euro per adattarli alla nuova estetica e spesso ci vogliono anni per completarla: per questo è importante che lo stilista resti almeno il tempo necessario per recuperare i soldi dell’investimento. Dopo l’arrivo di Simon, Dior ha deciso per esempio di non rinnovare i negozi secondo le sue richieste: uno dei motivi, secondo gli esperti, che ha contribuito alle sue dimissioni, dato che non si sentiva in pieno controllo dell’immagine dell’azienda. A volte però rifare i negozi è necessario perché lo stile del nuovo direttore è molto diverso da quello del suo predecessore, come nel caso di Alessandro Michele per Gucci: il suo gusto piuttosto vintage è molto lontano da quello provocante di Frida Giannini, licenziata da Gucci a fine 2014. Secondo Mario Ortelli, analista dell’agenzia di consulenza Sanford C. Bernstein, per rinnovare i 512 negozi di Gucci saranno necessari tra i 650 e gli 850 milioni di euro.
Con l’arrivo di un nuovo direttore creativo l’azienda deve anche decidere come occuparsi delle linee di accessori in produzione, in particolare borse e scarpe, solitamente i prodotti più venduti. Gucci, per esempio, ha mantenuto i modelli di borse Soho e Swing (gli accessori in pelle coprono il 57 per cento del fatturato) mentre Saint Laurent e Céline hanno sospeso la produzione di tutti i prodotti realizzati dai direttori creativi precedenti, dato che incidevano meno sulle vendite.
C’è bisogno di almeno un anno per capire se la scelta di un nuovo direttore creativo è stata proficua per l’azienda. È per esempio il tempo trascorso dall’assunzione di Slimane da Saint Laurent, che nel 2014 ha fatturato il 20 per cento in più degli anni precedenti. Secondo BoF una collaborazione a lungo termine è comunque la soluzione migliore per avere risultati sia stilistici che economici: gli esempi sono quelli di Riccardo Tisci che lavora per Givenchy da 11 anni, Tomas Maier che è a capo di Bottega Veneta da 15, e Phoebe Philo, a Céline da otto.