Scrittori americani contro Google Libri, ancora
La battaglia legale va avanti dal 2005, ora gli autori hanno fatto appello alla Corte suprema: tra loro ci sono, tra gli altri, Margaret Atwood e J.M. Coetzee
La Authors Guild – la più antica e grande associazione di autori americani – ha chiesto alla Corte Suprema degli Stati Uniti di esaminare la sentenza con cui, il 16 ottobre scorso, la seconda Corte d’Appello di New York ha assolto Google dall’accusa di aver violato il diritto d’autore scannerizzando milioni di libri nell’ambito del progetto Google Libri. La richiesta della Authors Guild ha ricevuto l’appoggio di alcuni scrittori famosi tra cui J.M. Coetzee, Margaret Atwood, Malcolm Gladwell e Peter Carey. La decisione della Corte Suprema se prendere o meno in considerazione il caso, è prevista per questa primavera. Per il momento è stata solo depositata la richiesta e, la settimana scorsa, i memoriali degli amicus curiae – cioè delle persone non parte in causa che hanno offerto volontariamente alla Corte informazioni sulla legge e sul caso – firmati da scrittori e case editrici tra cui Hachette ed Elsevier, e dalla American Society of Journalists and Authors, un’altra associazione di scrittori.
Google Libri – che fino a oggi ha scannerizzato più di 20 milioni di libri – è un progetto iniziato nel 2004 con l’obiettivo di rendere disponibili in rete tutti i libri in tutte le lingue, grazie alla collaborazione tra Google e molte biblioteche statunitensi. Oltre che trovare i titoli su determinati argomenti, Google Libri permette di cercare le singole parole all’interno di ogni testo, offrendo uno strumento di ricerca che la carta non può dare. Su Google Libri i libri non protetti da copyright possono essere scaricati e visualizzati in versione completa, mentre per quelli protetti da copyright sono disponibili estratti di lunghezza variabile a seconda della volontà dell’autore (il minimo è due o tre righe per contestualizzare la parola ricercata).
Nel 2005 Google fu citata in giudizio per violazione del copyright sia dalla Authors Guild che dall’Association of American Publishers, la più importante associazione di editori americana. Le due cause erano distinte: quella con gli editori era una semplice causa civile e fu risolta nel 2012 con un accordo, mentre la Authors Guild era una class action, cioè l’azione collettiva di una categoria nei confronti di una sola controparte, accusata in questo caso di violare il copyright per scopi commerciali. Secondo il Guardian, in caso di sconfitta Google aveva calcolato un danno di 3 miliardi di dollari. Nei primi due gradi di giudizio – nel 2013 e nell’ottobre 2015 – i giudici hanno dato sempre ragione a Google: il progetto Google Libri costituisce un fair use (un uso lecito) delle opere protette da copyright poiché «la fabbricazione di Google di una copia digitale per fornire una funzione di ricerca rappresenta un uso trasformativo» da cui deriva un «beneficio pubblico» per tutta la società. (Motivazione che potrebbe valere per qualsiasi merce distribuita gratuitamente).
Nella richiesta d’appello alla Corte suprema, la Authors Guild obietta le sentenze di primo e secondo grado appellandosi al fatto che il diritto d’autore è protetto dalla Costituzione americana «per fornire agli incentivi a continuare a scrivere», inoltre la dottrina del fair use non era originariamente destinata a «consentire a un ente ricco e a scopo di lucro di digitalizzare milioni di opere stracciando i contratti degli autori per la riproduzione, distribuzione, e visione pubblica». Ieri Fortune ha pubblicato un articolo in cui ha riassunto la vicenda e le posizioni della Authors Guild, spiegando che probabilmente Google vincerà un’altra volta poiché l’uso trasformativo è palese e segue l’uso tradizionale della dottrina, ovvero uno scopo promozionale.
In un articolo pubblicato sul Washington Post, Roxana Robinson – presidente della Authors Guild –ha riepilogato gli argomenti principali per rigettare la sentenza: il primo è che la dottrina del fair use è stata distorta perché in giurisprudenza il fair use era considerato tale solo se l’autore non subiva un danno economico e se chi infrangeva il diritto d’autore non aveva scopi commerciali, mentre Google Libri – che pure è gratuito – fa guadagnare a Google attraverso le pubblicità; il secondo punto riguarda il diritto delle biblioteche di concedere i libri per la scannerizzazione delle opere sotto copyright: «Non hanno nessun diritto ad autorizzare riproduzioni di copie fisiche presenti nelle loro collezioni, a meno che non posseggano loro stesse il copyright»; l’ultimo argomento si basa sul fatto che i legislatori che scrissero le leggi sul diritto d’autore non potevano certo immaginare l’avvento di Internet e l’utilizzo delle opere da parte di grandi società come Google.