Le “marche” di marijuana
Negli stati americani dove è legale ci sono quelle dedicate a Snoop Dogg, a Willie Nelson e ora anche a Bob Marley: è un mercato ancora poco regolato e in gran crescita
La società di analisi di mercato ArcView Market Research ha diffuso lo scorso primo febbraio un’anteprima della quarta edizione del suo annuale e autorevole report sullo stato del mercato della cannabis legale negli Stati Uniti. Secondo il report, nel 2015 le vendite legali di marijuana negli Stati Uniti sono aumentate di quasi un quinto, da 4,6 a 5,4 miliardi di dollari: ma a essere stata notevole è stata soprattutto la crescita del mercato della marijuana per scopi ricreativi, le cui vendite sono aumentate del 184 per cento, passando da 351 a 991 milioni di dollari. Negli ultimi anni è aumentata anche la percentuale di americani favorevoli alla legalizzazione della marijuana, passati dal 36 per cento al 58 per cento tra il 2005 e il 2015. Secondo ArcView il mercato complessivo della marijuana è destinato a crescere a un ritmo medio del 30 per cento ogni anno fino al 2020: a quel punto potrebbe avere superato l’attuale fatturato della NFL, il più importante campionato americano di football.
In alcuni stati degli Stati Uniti la marijuana è venduta in negozi specializzati, per scopi ricreativi: il primo posto dove sono stati aperti è stato il Colorado, il primo gennaio 2014. Nei due anni successivi hanno approvato una legislazione simile anche lo stato di Washington, l’Alaska e l’Oregon. Esistono poi leggi municipali che consentono la vendita di marijuana per scopi ricreativi anche in alcune città, come a Portland, in Maine, e da qualche mese ne è consentito l’uso (ma non ancora la vendita) a Washington, D.C. Il consumo di marijuana per scopi terapeutici è invece legale in 23 stati degli Stati Uniti. Dopo le prime legalizzazioni della marijuana per scopi terapeutici, negli Stati Uniti le case farmaceutiche hanno iniziato a investire molti soldi nella coltivazione di sviluppo di farmaci a base di cannabis. Ma negli ultimi due anni, dopo le legalizzazioni della marijuana per scopi ricreativi in Colorado, Washington, Alaska e Oregon, sono comparse le prime “marche” di marijuana, e in particolare alcune società hanno introdotto sul mercato varietà di cannabis che portano il nome di cantanti o artisti famosi comunemente associati al consumo di marijuana.
Uno dei primi a creare la propria linea di marijuana è stato il cantante country Willie Nelson, in collaborazione con il fondo di investimento Tuatara Capital. Ma negli ultimi mesi del 2015 anche i rapper americani Snoop Dogg e Wiz Khalifa hanno lanciato le proprie marche di marijuana, e giovedì 5 febbraio sono state annunciate le prime linee della “Marley Natural”, il marchio dedicato al famoso cantante reggae giamaicano Bob Marley.
Marley Natural è stata inventata da una startup newyorkese finanziata da Privateer Holdings, un fondo di investimenti di Seattle specializzato nel mercato della marijuana che nel 2015 ha ricevuto un finanziamento di 75 milioni di dollari da Peter Thiel, imprenditore americano cofondatore di PayPal. Privateer ha stretto un accordo trentennale con la famiglia di Marley. Esistono quattro versioni della Marley Natural, associate a quattro colori e a quattro effetti diversi. Alcuni osservatori hanno però sottolineato come l’utilizzo del nome di Bob Marley per la promozione di un prodotto commerciale sia poco coerente con le idee anticapitaliste e anti-establishment del cantante. Mike Alleyne, professore della Middle Tennessee State University specializzato nell’industria discografica e nella storia del reggae, ha anche notato che il logo e il nome di Privateer (che significa nave pirata) richiami la dominazione britannica dell’isola giamaicana e «mandi molti messaggi negativi». Bunny Wailer, storico percussionista dei Wailers, la band di Bob Marley, nel 2014 aveva detto che bisognava «opporsi pubblicamente» alla Marley Natural, sostenendo tra l’altro che Marley non era impegnato per la legalizzazione della marijuana come lui o Peter Tosh, il chitarrista dei Wailers. Privateer è stata accusata di essersi appropriata della cultura rastafariana, e di voler trasformare Bob Marley nel ‘“Marlboro Man della marijuana”: la società si è difesa dicendo di aver lavorato per ricreare esattamente la marijuana preferita da Marley, e di aver investito in iniziative di beneficenza per aiutare l’economia giamaicana.
Nonostante le marche di marijuana stiano aumentando sempre di più, le società hanno ancora un grosso problema: è molto difficile registrare i nomi dei propri prodotti. I brevetti negli Stati Uniti sono di competenza del Patent and Trademark Office, un’agenzia che risponde alle leggi federali, secondo le quali la marijuana è illegale. Le aziende produttrici perciò sono costrette a ricorrere a diversi “trucchi” perché venga loro riconosciuta la proprietà legale dei loghi e dei nomi, per esempio brevettando i marchi commerciali solo a livello statale negli stati in cui la marijuana è legale: in Colorado in due anni ne sono stati depositati circa 200. Altri produttori hanno brevettato i propri nomi e loghi in riferimento a prodotti diversi dalla marijuana, per esempio le confezioni o i capi di abbigliamento: in questo modo se qualche altra società mette sul mercato articoli copiando il logo del produttore di marijuana, questo può farle causa.
La nascita di un mercato legale per la marijuana ha anche sollevato il problema di come presentare il prodotto: la tendenza principale tra i produttori è vendere la cannabis in confezioni «che ricordano quelle che si trovano in negozi di prodotti alimentari di lusso, in quelli di prodotti di bellezza o in farmacie», come ha scritto il sito Fast Company. Ci sono anche aziende che hanno scelto invece grafiche e font che richiamano le culture alternative tra le quali era popolare la marijuana prima della sua legalizzazione, ma la maggior parte delle società sta cercando di destinare i propri prodotti a una clientela più adulta ed economicamente redditizia, promuovendo la cannabis come un prodotto praticamente “salutare”. In Colorado i produttori hanno cominciato anche a confezionare i dolci alla marijuana “monodose”, in modo che sia intuitivo per i clienti capire quale sia la quantità consigliata da mangiare, e alcune aziende vendono i propri prodotti in confezioni difficili da aprire per i bambini.