Gli ultimi uomini sulla Terra
BBC risponde alla domanda posta dalla Bibbia e dalle moderne storie di fantascienza: due persone sarebbero in grado di ripopolare la terra da sole?
Secondo la Genesi, l’intera umanità discende da due esseri umani: Adamo ed Eva. L’idea che due esseri umani da soli abbiano popolato il mondo intero ha influenzato moltissimi scrittori e sceneggiatori soprattutto negli ultimi decenni. Decine di racconti, romanzi e film affrontano la storia della scomparsa quasi completa del genere umano e della sopravvivenza di un’unica coppia che si ritrova improvvisamente tra le mani il fardello della sopravvivenza dell’intera specie. In un articolo pubblicato su BBC questa settimana Zaria Gorvett, una giornalista scientifica freelance, spiega che questa storia affascina non solo gli autori di fiction, ma sempre di più anche gli scienziati. Per esperti della NASA che studiano come esplorare e colonizzare pianeti lontani secoli di viaggio e per gli ecobiologi che cercano di preservare specie importanti o in via d’estinzione, scoprire il numero minimo di esemplari necessari a perpetuare una specie sta diventando sempre più importante.
Ma la storia della Bibbia e i sogni degli scrittori di fantascienza si scontrano con la grossa difficoltà che gli scienziati impegnati in questo campo stanno cercando di superare. Con un certo garbo, la Bibbia evita di nominarlo direttamente; il libro della Genesi si limita a raccontare che Seth, il figlio di Adamo ed Eva nato dopo la morte di Abele, si sposò ed ebbe decine di figli. Non viene esplicitato il dettaglio più ovvio, ossia che la madre dei figli di Seth era necessariamente sua sorella, o al massimo la figlia di uno dei suoi fratelli (Seth, Caino e Abele non sono gli unici figli di Adamo ed Eva, ma solo gli unici a essere esplicitamente nominati tra la numerosa prole dei due progenitori della specie, composta sia di maschi che di femmine). Esistono teorie alternative, secondo le quali Dio avrebbe creato altri esseri umani oltre ad Adamo ed Eva, umani con cui si accoppiarono Seth e Caino. Ma nella versione più diffusa del mito, Adamo ed Eva e i loro figli erano gli unici esseri umani sulla Terra, quindi il genere umano ha conquistato il mondo partendo da una singola coppia e grazie a una serie di rapporti incestuosi.
Il tabù dell’incesto non è così diffuso e forte in tantissime culture per un capriccio della storia. I figli di consanguinei corrono grossi rischi di nascere con malattie genetiche o altre deformazioni e di non vivere a lungo. Le loro malattie, come bombe genetiche a scoppio ritardato, possono rimanere sepolte per generazioni nel DNA per poi riesplodere non appena un individuo tornano ad accoppiarsi con un remoto cugino (in un certo senso, infatti, siamo cugini più o meno lontani di quasi tutto il resto della popolazione umana). Gorvett cita uno studio svolto in Cecoslovacchia tra il 1933 e il 1970, in cui venne dimostrato che il 40 per cento dei figli di parenti di primo grado nascevano con gravi handicap, mortali nel 14 per cento dei casi.
Per capire perché l’incesto sia così pericoloso bisogna conoscere alcune semplici leggi genetiche. Ogni essere umano possiede due copie di ogni gene: metà gli arrivano dalla madre, metà dal padre. Ognuno di questi geni è, semplificando, un blocchetto di istruzioni su come costruire una parte del corpo umano. Alcuni effetti prodotti da questi geni (“fenotipi”) si producono soltanto se entrambe le copie del gene sono identiche. Funziona più o meno così il colore degli occhi (anche se le cose in genere sono più complicate di come vengono raccontante a scuola): possono risultare azzurri soltanto se entrambi i geni della coppia sono quelli del colore azzurro (o meglio: dell’assenza di colore). Nel caso uno sia quello dell’azzurro e l’altro quello del castano, gli occhi saranno castani.
Le malattie genetiche in genere sono causate dallo stesso tipo di gene che causa gli occhi azzurri, un tipo chiamato “recessivo”. Un gene “dominante” in grado di causare una malattia mortale, infatti, ha meno possibilità di diffondersi tra le generazioni rispetto a uno che per attivarsi, e quindi causare la morte del suo “ospite”, ha bisogno di trovarsi in coppia con un altro gene identico. Ogni essere umano, ricorda Gorvett, ha tra gli uno e i due geni recessivi mortali dormienti all’interno del suo DNA. Quando due consanguinei, che condividono buona parte del patrimonio genetico, si accoppiano, ecco che aumentano esponenzialmente le possibilità che ai loro figli vengano trasmesse entrambe le copie dei geni mortali o dannosi.
Le isole del Pacifico, colonizzate dagli antichi polinesiani e separate da immensi tratti di mare, hanno costituito per secoli una sorta di laboratorio naturale dove sperimentare questi effetti. Gorvett ricorda il caso dell’isola di Pingelap, i cui abitanti sono i discendenti dei 20 sopravvissuti a un tifone che colpì l’isola nel Diciottesimo secolo. Oggi un abitante su dieci dell’isola è affetto da una forma acuta di daltonismo. Un altro caso interessante è quello dell’aristocrazia europea, che per secoli si è sposata tra i suoi ranghi relativamente ristretti, producendo monarchi e principi con disabilità o malattie mortali di vario tipo.
Gli Asburgo, la famiglia più potente della storia europea, sono uno dei casi più noti nella storia medica. Al culmine del loro potere, nel corso del Diciassettesimo Secolo, i membri della famiglia erano seduti su una decina di troni, dalla Spagna alla Germania. Per preservare il loro potere gli Asburgo si sposavano di frequente con i loro familiari, perpetuando e accentuando le stesse caratteristiche genetiche. “Mascella asburgo” è diventato un sinonimo di “prognatismo”, la condizione in cui la mandibola sporge rispetto all’osso mascellare superiore. In alcuni casi questa condizione era per i sovrani Asburgo una vera e propria deformità, come per Carlo II, ultimo Asburgo di Spagna. I suoi genitori erano zio e nipote, ma per via di precedenti unioni tra consanguinei, Carlo aveva il patrimonio genetico identico a quello del figlio di una coppia di fratelli.
Insomma: per essere sicuri sul futuro di una specie, due individui sono un po’ pochi. Gorvett scrive che secondo gli scienziati servono un minimo di 50 individui per evitare i problemi più gravi dovuti alla consaguineità, e 500 per garantire una buona diversità genetica in grado di mantenere la capacità di una specie di produrre nuove immunità e di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente circostante. Per stare ancora più sicuri ed evitare che alcuni tratti genetici si perdano nel processo di selezione, gli scienziati hanno alzato la stima da 500 e 5.000. Ma la stessa esistenza della specie umana è la prova che questi sono calcoli probabilistici e che, con un po’ di fortuna, le cose possono andare diversamente. Secondo diverse teorie, la nostra specie ha attraversato nel corso della sua storia diversi “colli di bottiglia genetici” in cui la popolazione umana sul pianeta è scesa fino a mille individui. Quindi, se una futura apocalisse lasciasse in vita soltanto due persone, le probabilità di un ripopolamento della Terra sono molto basse. Possiamo consolarci che, almeno, non sono nulle.