Il futuro di Politico
I massimi dirigenti del sito che ha cambiato il giornalismo politico americano se ne andranno presto, dopo una lunga lotta tra il CEO e l'editore
di Paul Farhi e Manuel Roig-Franzia - Washington Post
Jim VandeHei voleva più controllo, Robert Allbritton più riconoscimento. La frattura tra i due si allargava di giorno in giorno e di mese in mese e ha sancito la fine del loro sodalizio a Politico, la società editoriale americana che ha riscritto le regole del giornalismo politico.
Giovedì 28 gennaio, a quattro giorni dall’inizio ufficiale del percorso elettorale per l’elezione del presidente degli Stati Uniti in Iowa, il matrimonio tra VandeHei e Allbritton si è concluso in modo amichevole e – col senno di poi – forse inevitabile. Con una mossa che ha sorpreso anche gli esperti di pettegolezzi sui media e quelli di politica, VandeHei, 44 anni, ha annunciato che si dimetterà da CEO della società che ha co-fondato nove anni fa. Insieme a lui lasceranno Politico anche il popolare editorialista Mike Allen – amico stretto di VandeHei – e altri tre dirigenti.
Come tutte le separazioni, anche questa era da tempo nell’aria, secondo diverse fonti interne. VandeHei, determinato ex giornalista del Washington Post conosciuto per come incita la redazione in stile militare, aveva preso in considerazione l’idea di lasciare Politico già tre anni fa. Ci aveva poi ripensato, immaginando che la sua partenza avrebbe portato alla fine della testata, ancora troppo giovane per sopravvivere senza di lui. Può darsi che VandeHei avesse ragione sulla delicata situazione di Politico di allora. All’epoca un dirigente di Bloomberg News – la società di media dell’ex sindaco di New York Michael R. Bloomberg – fu incaricato di analizzare la situazione finanziaria di Politico, nell’ottica di un investimento o di una possibile offerta di acquisizione da parte di Bloomberg. Secondo l’analisi – basata su dati pubblici – Politico non era “solido dal punto di vista finanziario” e non sarebbe stato un buon socio per Bloomberg, che ora ne è un importante concorrente.
Nonostante la sua decisione di rimanere, VandeHei non appianò mai le divergenze con il mite Allbritton, 46 anni, editore e proprietario di Politico, che aveva idee diverse su come espandere il marchio. Un dei principali terreni di scontro, secondo fonti interne, è stata l’espansione di Politico in Europa avvenuta due anni fa, concepita e sostenuta da Allbritton. Il progetto fu criticato da VandeHei, che lo definì visionario e lontano dal punto di forza principale di Politico: la copertura della politica americana e delle questioni di Washington. Allbritton, inoltre, appoggiò con entusiasmo l’assunzione di Susan Glasser per supervisionare la creazione del magazine di Politico, un direttore di talento ma divisivo con cui VandeHei aveva già lavorato al Washington Post.
Allbritton – figlio di un defunto magnate del settore bancario e dei media, Joe L. Allbritton – aveva le sue buone ragioni per essersi stufato di VandeHei, nonostante un forte legame professionale e la crescente amicizia tra le mogli dei due. Le varie testate che si occupavano dell’ascesa di Politico spesso indicavano come fondatori della pubblicazione VandeHei e John Harris – un altro ex giornalista del Washington Post – estromettendo Allbritton dal quadro. Allbritton aveva però avuto un ruolo altrettanto importante per la nascita della società, sia come finanziatore che come elemento creativo. Secondo una persona che conosce bene entrambi, in privato Allbritton accusava il colpo.
Nonostante avessero un rapporto che si potrebbe definire “intimo”, i due erano in competizione: si scontravano per determinare chi dovesse prendere le decisioni più importanti e per prendersi il merito di alcune delle idee che hanno aiutato Politico a raddoppiare le sue entrate negli ultimi quattro anni (secondo fonti interne Politico ha generato 70 milioni di dollari in entrate l’anno scorso, anche se gli utili non sono noti).
Fin dalla nascita di Politico nel 2007, Allbritton ha subito messo in chiaro almeno una cosa: il proprietario era lui. VandeHei e Harris erano dipendenti, non soci o co-proprietari. A differenza di altri imprenditori nel settore dei media, VandeHei e Harris non hanno ricevuto negli anni quote della società: sono retribuiti solo attraverso stipendi e bonus. Secondo alcuni Allbritton considera Politico la sua eredità imprenditoriale e spera sia in grado di mettere in ombra i successi del padre, che comprendevano la proprietà di Riggs Bank, il vecchio quotidiano Washington Star e un gruppo di stazioni televisive, che Robert ha venduto nel 2014. Sebbene possa sembrare che VandeHei e Harris siano stati ricompensati generosamente per il loro contributo alla creazione di Politico, i due avrebbero detto ad alcuni amici di non aver mai avuto la possibilità di accumulare una ricchezza simile a quella del fondatore di Business Insider, Henry Blodgett, o dalla creatrice di Huffington Post, Arianna Huffington, che hanno venduto le loro società di media quando ancora erano start-up. Dato che non hanno quote della società, un’eventuale vendita di Politico – che comunque non è in previsione – arricchirebbe solo Allbritton. VandeHei, quindi, aveva un altro incentivo per andarsene: sfruttare le sue idee, il suo dinamismo e la sua capacità di management, mettendosi in proprio.
VandeHei rimarrà a Politico fino alle elezioni presidenziali americane di novembre, creando un bizzarro interregno di dieci mesi in cui lui e i suoi soci vivranno una sorta di semestre bianco prolungato. Una fonte interna di Politico ha paragonato la situazione a quella di una coppia in crisi che condivide la casa ma dorme in camere separate.«Jim è come Steve Jobs, senza la cattiveria», ha detto un giornalista che conosce VandeHei e Allbritton da anni. «Ha idee molto forti sulla direzione presa dai media e dalle società, e su come sfruttarla. Alcune persone adorano la sua visione, ma ovviamente ha creato delle tensioni con Robert. Non per le strategie, i soldi o la crescita: era un questione filosofica. Ha costretto Jim, Robert e altri a pensare con attenzione al proprio futuro». Allbritton si è rifiutato di commentare. Lui e VandeHei hanno diffuso dichiarazioni in cui si sostengono a vicenda. VandeHei, col suo classico atteggiamento spaccone, ha scritto: «I nostri critici hanno pronosticato la nostra caduta ogni anno, come un orologio svizzero. Eppure siamo cresciuti in dimensione, influenza ed entrate ogni anno, come un orologio svizzero. Ecco la mia previsione: Politico continuerà a smentire tutti anche quest’anno e per molto tempo ancora dopo che me ne sarò andato».
Politico ha rivoluzionato il modo di fare giornalismo politico negli Stati Uniti, con un approccio editoriale basato sulla velocità che ha trasformato la copertura degli eventi politici in una serie di micro-scoop diffusi minuto per minuto. Il giornale ha dimostrato che raccontare la politica come se fosse un’infinita corsa di cavalli si adatta perfettamente al metabolismo spasmodico di internet. «Il genio di Politico sta nell’aver capito che i grandi giornali, come il New York Times e il Washington Post, sarebbero stati lenti nel modificare le loro abitudini e il loro ritmo», ha raccontato Marcus Brauchli, direttore del Washington Post dal 2008 al 2013. «Hanno dimostrato di aver ragione».
Harris, che ha 52 anni, dice di aver deciso di rimanere a Politico. Dal carattere più rilassato rispetto all’inflessibile VandeHei, Harris è riuscito a non rimanere coinvolto in gran parte degli scontri dirigenziali degli ultimi 18 mesi spostandosi a Bruxelles, da dove ha supervisionato la creazione della versione europea di Politico. La pubblicazione ha debuttato lo scorso anno e sembra stia raggiungendo i suoi obiettivi finanziari.
L’altro protagonista della vicenda, Allen – autore della popolarissima newsletter Playbook – seguirà VandeHei nella sua avventura l’anno prossimo. I due sono amici e si sostengono da quasi trent’anni, e Allen spesso ringrazia VandeHei per i suoi consigli e per avergli fatto da guida. L’abbandono di Allen ha un peso importante: oltre a generare ogni anno milioni di ricavi grazie alle sponsorizzazioni di Playbook, Allen è anche il nome di punta di Politico. La sua influenza è superiore a quella di entrambi i suoi superiori in redazione, e senza dubbio a quella del dimesso Allbritton. Allen e VandeHei non hanno detto cosa intendano fare nel futuro. VandeHei dice di non averne idea e i due hanno giurato di non voler competere direttamente con il loro ex giornale.
Gli altri dipendenti in partenza – il chief operating officer Kim Kingsley, il chief revenue officer Roy Schwartz e la digital specialist Danielle Jones – si erano stancati delle lotte intestine tra VandeHei e Allbritton, e hanno visto la partenza di VandeHei come il momento giusto per andarsene. Difficilmente Kingsley e Jones seguiranno Allen e VandeHei nella loro prossima attività l’anno prossimo, mentre Jones ha già detto di volerlo fare.
Si possono solo fare ipotesi sul fatto che questa partenza di massa ridimensionerà o meno Politico: almeno dall’esterno le fondamenta sembrano sicure. Alla fine del 2015 aveva quasi cinquecento dipendenti, tra cui trecento giornalisti. Politico – che l’anno scorso ha aggiunto 150 nuove posizioni, espandendosi in diverse capitali di stati americani e in un nuovo continente – sostiene che presto sarà la più grande organizzazione di news al mondo.
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