Cos’è l’Egitto oggi
Le cose da sapere sul regime di al Sisi, nato con un colpo di stato dopo la "primavera araba" e criticato per i metodi autoritari di cui si riparla dopo la morte di Giulio Regeni
Negli ultimi due giorni in Italia si sta parlando molto della morte di Giulio Regeni, il dottorando 28enne dell’Università di Cambridge trovato morto il 3 febbraio alla periferia del Cairo, la capitale dell’Egitto. Oggi i giornali italiani hanno pubblicato diversi dettagli sulla morte di Regeni e in particolare sulle condizioni del suo corpo, che mostrerebbe ferite di arma da taglio, bruciature di sigarette ed ecchimosi profonde: tutti segni che fanno pensare che sia stato torturato prima di essere ucciso. In più è venuto fuori che Regeni aveva scritto alcuni articoli sul Manifesto usando uno pseudonimo per questioni di sicurezza: gli articoli riguardano la situazione sociale dell’Egitto riferita soprattutto alle condizioni dei sindacati e alle limitazioni imposte dal nuovo governo di Abdel Fattah al Sisi. Infine il giorno in cui è scomparso – il 25 gennaio, il quinto anniversario delle rivolte che portarono alla destituzione dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak – le forze di sicurezza egiziane avevano fatto una serie di retate per arrestare diversi oppositori del regime.
Tutte queste cose hanno fatto parlare di un possibile coinvolgimento del governo egiziano, o di qualche suo apparato di sicurezza, nella scomparsa e uccisione di Regeni. Le indagini sono appena iniziate e finora non si è arrivati ad alcuna conclusione, ma non è stato il primo incidente di questo tipo; e già negli ultimi anni il regime di al Sisi aveva usato violenze per reprimere gli oppositori – in particolare i Fratelli Musulmani – o per limitare la libertà di espressione di accademici e giornalisti. Per capire di più l’Egitto di oggi bisogna tornare all’inizio del 2011, quando ci fu la cosiddetta “primavera araba” egiziana che portò alla destituzione di Mubarak, che era al governo da 30 anni.
La rivoluzione e la “controrivoluzione”
La rivoluzione in Egitto avvenne molto rapidamente: tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio del 2011 moltissime persone cominciarono a protestare contro il regime di Mubarak, che nei 30 anni precedenti aveva represso i movimenti islamisti, limitato le libertà e imposto un governo autoritario. Le proteste durarono 18 giorni e si concentrarono in piazza Tahrir, la grande piazza centrale del Cairo, capitale del paese. Il potere passò nelle mani dei militari, che avevano tolto il loro appoggio a Mubarak durante le proteste. L’esercito fece una serie di promesse – cambiare la Costituzione e sottoporla a referendum, organizzare delle elezioni per un nuovo governo – ma allo stesso tempo prese di fatto il potere in modo autoritario e non democratico.
Un mese dopo, nel marzo del 2011, ricominciarono altre manifestazioni in piazza Tahrir dove però furono contestati i militari. In Egitto si cominciò a parlare di “controrivoluzione” e i Fratelli Musulmani, un movimento politico-religioso duramente represso durante gli anni di Mubarak, divennero l’opposizione più rilevante del paese. Per capire quello che successe dopo vale la pena tenere a mente che una cosa non è mai cambiata nel corso del tempo: lo scontro – politico e non – tra Fratelli Musulmani ed esercito.
I Fratelli Musulmani al potere
Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 si tennero le prime elezioni parlamentari dalla caduta del regime di Mubarak e poco dopo si tennero anche le presidenziali: entrambe furono vinte dai Fratelli Musulmani, ma prima del ballottaggio per le presidenziali l’esercito sciolse il Parlamento appena eletto e si attribuì, tra le altre cose, il potere di emanare le leggi. Nel giugno 2012 Mohamed Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, giurò come nuovo presidente dell’Egitto, il primo a non provenire dall’esercito. Nei mesi successivi Morsi prese diverse decisioni finalizzate a limitare il potere dell’esercito; nel frattempo crebbe però anche l’opposizione al nuovo governo, soprattutto a causa della pessima situazione economica dell’Egitto. La presidenza Morsi durò solo un anno: il 3 luglio del 2013, in soli quattro giorni, l’esercito egiziano portò a compimento un colpo di stato che destituì Morsi e mise fine all’esperienza di governo dei Fratelli Musulmani. Il capo dell’esercito, Abdel Fattah al Sisi, annunciò la sospensione della Costituzione.
L’Egitto di al Sisi
Dal luglio del 2013 ad oggi in Egitto si è affermato un nuovo regime autoritario, per alcuni aspetti molto simile a quello di Mubarak destituito con la “primavera araba”. Al Sisi oggi ricopre la carica di presidente, ottenuta vincendo nel 2014 le elezioni con oltre il 90 per cento dei voti (elezioni la cui regolarità è stata molto messa in dubbio). La propaganda governativa ha creato un diffuso culto della personalità per al Sisi, mentre il suo regime ha represso con grande violenza le proteste delle opposizioni: nell’agosto del 2013 le forze di sicurezza egiziane hanno compiuto il più grande massacro in Egitto dai tempi della “primavera araba”. Leader e simpatizzanti dei Fratelli Musulmani sono stati arrestati e in centinaia sono stati condannati a morte. La repressione del regime ha colpito anche molti giornalisti, soprattutto dell’emittente Al Jazeera, e diversi accademici. Ieri la MESA, la più importante associazione di studi sul Medio Oriente e Nord Africa, ha diffuso una lettera legata alla notizia della morte di Regeni: nella sua lettera, MESA ha parlato dell’esistenza di frequenti violazioni della libertà accademica e libertà di espressione in Egitto.
Già in passato c’erano stati casi simili a quello di Regeni, ha scritto il Guardian. Nel settembre 2013 il francese Eric Lang morì dopo essere stato picchiato dai suoi compagni di cella mentre si trovava in custodia della polizia egiziana, mentre nel settembre 2015 le forze di sicurezza egiziane uccisero per errore 12 persone, tra cui otto turisti messicani, nel deserto occidentale.