Il Washington Post dice che l’accordo Stati Uniti-Cuba non funziona
Gli americani hanno fatto concessioni senza pretendere nulla in cambio, e per ora Castro non si è dimostrato particolarmente disponibile
di Lo staff di editorialisti – Washington Post
Un regime autoritario può trasformarsi da solo in una democrazia? I precedenti storici non sono incoraggianti: senza una sollevazione popolare, è raro che un tiranno decida di ritirarsi volontariamente. La giunta militare in Myanmar ha promesso di cedere parte del potere a un governo eletto, ma non l’ha ancora fatto; il partito unico cinese non sembra essere propenso a fare questo tentativo; e il presidente russo sta vanificando gli sforzi democratici compiuti nel paese dopo la fine dell’URSS.
Per questo motivo l’apertura del presidente Obama a Cuba non sembra essere all’altezza dei suoi obiettivi dichiarati. Quando nel dicembre 2014 gli Stati Uniti annunciarono la fine di cinquant’anni di ostilità, le intenzioni erano “permettere a undici milioni di cubani di sfruttare il proprio potenziale”, “coinvolgere e rendere autonomo il popolo cubano”, e “sostenere il nascente settore privato cubano”, tra le altre cose. L’amministrazione Obama ha continuato a giustificare con questa logica le sue ultime mosse. Le nuove norme dei dipartimenti americani del Tesoro e del Commercio – entrate in vigore lo scorso 27 gennaio – hanno eliminato ulteriormente le restrizioni alle esportazioni di merci verso Cuba, e allentato le limitazioni per il trasporto di prodotti via mare verso l’isola. Le nuove regole, soprattutto, permetteranno alle banche di finanziare le esportazioni verso Cuba con l’eccezione dei prodotti agricoli, ancora sottoposti all’embargo commerciale. Non sarà più necessario, come prima, usare i contanti o far passare le merci attraverso un paese terzo e a sua volta più aperto verso Cuba.
Per ora, tuttavia, non ci sono molte prove del fatto che a Cuba siano in atto profonde trasformazioni, forse perché Obama continua a offrire al regime di Castro concessioni unilaterali senza chiedere niente in cambio. Dal momento che gli Stati Uniti non hanno posto condizioni per esempio sul rispetto dei diritti umani, il regime di Castro continua sistematicamente a incarcerare dissidenti e sostenitori della democrazia. Il numero delle detenzioni ha raggiunto il suo massimo negli ultimi mesi e lo stato continua ad avere il monopolio su radio, televisione e giornali.
Uno degli obiettivi annunciati dagli Stati Uniti era promuovere la diffusione di internet a Cuba. Il paese però continua ad avere un tasso di connettività tra i i più bassi del mondo. Il regime ha installato alcune decine di Wi-Fi pubblici a una tariffa di due dollari l’ora, a fronte di uno stipendio medio di circa venti dollari al mese. Lo stato mantiene il controllo assoluto sull’economia, turismo compreso. I benefici derivanti dall’aumento del 50 per cento di visitatori americani sono raccolti dal genero di Raúl Castro, che gestisce il settore turistico. Nel frattempo gli acquisti di prodotti americani da parte di Cuba hanno registrato un calo percentuale a due cifre. Il grande aumento sperato in termini di imprese individuali non si è ancora visto. Al contrario: il numero di lavoratori autonomi autorizzati a Cuba è in calo. Gli eventuali accordi commerciali derivanti dalle ultime misure americane andrebbero a vantaggio delle organizzazioni statali cubane, le uniche a cui è consentito il commercio estero.
Nell’ultimo anno è apparso evidente come i fratelli Castro stiano efficacemente impedendo cambiamenti reali e riforme, mentre raccolgono i frutti dell’apertura di Obama. L’unica risposta del presidente sono state altre concessioni unilaterali e la promessa di visitare l’isola prima della fine del suo mandato. Gli autocrati nel resto del mondo devono guardare con invidia alla buona sorte dei Castro.
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