Sei canzoni dei Sex Pistols
Scelte da Luca Sofri per il suo libro "Playlist", da riascoltare oggi che Johnny Rotten compie 60 anni
John Joseph Lydon, più conosciuto col nome di Johnny Rotten (“marcio”, per via dei suoi denti malconci), è lo storico cantante della punk band Sex Pistols, e oggi compie 60 anni. È nato a Londra e arrivò al successo coi Sex Pistols quando ancora non aveva vent’anni. Nel corso del tempo è diventato popolare per la sua voce un po’ sgraziata e i suoi comportamenti bizzarri. Nonostante non avesse alcuna esperienza o competenza musicale prima di entrare nei Sex Pistols, dagli anni Settanta a oggi è sempre rimasto nel mondo della musica. Negli ultimi tempi ha alternato concerti di reunion dei Sex Pistols a tour coi Public Image Limited, la sua band successiva. Queste sono le sei canzoni dei Sex Pistols che Luca Sofri, peraltro direttore del Post, aveva scelto per il suo libro Playlist.
Sex Pistols – 1975-1979, Londra, Inghilterra
Il giorno che fu assunto dalla band, Johnny Rotten si era presentato con una maglietta con su scritto “Odio i Pink Floyd”. Dopo, andarono tutti in tv e dissero un sacco di parolacce. A quel punto era fatta. Incidentalmente, suonarono facendo un gran baccano e fingendo di essere molto incazzati. Che ora sembra facile e banale, ma allora non l’aveva mai fatto nessuno. Poi sostituirono il bassista (adducendo come ragione che “si lavava troppo” o che “gli piacevano i Beatles”) con Sid Vicious, che non sapeva suonare, e scatenarono casini in tutto il regno. E così divennero i miti del punk, o “la grande truffa del rock’n’roll”.
Anarchy in the U.K.
(Anarchy in the U.K., 1976)
Il primo singolo dei Sex Pistols, e uno dei loro classici, di cui una cover arrivò fin dentro alla colonna sonora di The million dollar hotel di Wim Wenders. Erano stati assunti dalla EMI, che li licenziò dopo i primi disastri che avevano combinato in giro. Il contratto con la A&M durò poi una settimana (alla festa di presentazione cercarono di farsi le segretarie e vomitarono negli uffici, cosa che era piuttosto contraria all’etichetta), e alla fine approdarono alla Virgin. Dove la canzone sembra dire “I use the enemy” (uso il nemico) il testo cita in realtà “the NME”, odiata rivista dell’establishment pop britannico. E “antichrist” non fa rima con “anarchist”, a meno di non sbagliare la pronuncia, come fa Lydon.
God save the queen
(God save the queen, 1977)
Successe un casino. La contestazione della monarchia non era molto apprezzata, allora, almeno non con espressioni come: “Dio salvi la regina e il suo regime fascista”. Fu censurata molto e venduta molto. Ufficialmente arrivò al numero due in classifica, ma si pensa che il suo primo posto effettivo sia stato opportunamente tenuto nascosto a vantaggio di “The first cut is the deepest” di Rod Stewart. Era anche l’anno del giubileo reale, e il giorno dei festeggiamenti la band suonò davanti a Westminster da una barca affittata sul Tamigi. Li arrestarono tutti. Mezza Inghilterra li odiava, un’altra mezza non vedeva l’ora che arrivassero: “no future, no future, no future for you!”.
Holidays in the sun
(Never mind the bollocks. Here’s the Sex
Pistols, 1977)
“Holidays in the sun” è la prima canzone diNever mind the bollocks,
di cui fu a rischio la distribuzione perché il titolo significa “Chi se ne frega dei coglioni”. Parla di Berlino,
dove i Sex Pistols si erano rifugiati
per qualche tempo, in un disordine ironico di fascinazione e sdegno per
il muro. Il riff di chitarra è ripreso
da “In the city” dei Jam.
Pretty vacant
(Never mind the bollocks. Here’s the Sex Pistols, 1977)
Il bassista Glen Matlock sostenne poi che fosse copiata da “SOS” degli Abba, ma è difficile capire a cosa si riferisse. Il modo in cui Rotten strilla “pretty va-cant”, genera un doppio senso con il termine volgare e offensivo “cunt”, con cui si definisce spregiativamente lo – a-hem… – “apparato genitale femminile”. Molto volgare e offensivo.
My way
(The great rock ‘n’ roll swindle, 1979)
Siamo sinceri, ci voleva un classico melodico reso leggendario da Frank Sinatra perché i Sex Pistols lasciassero alla posterità una grande canzone, e non solo tutto il repertorio di ribellione, novità, sovversione e sradicamento dell’ordine costituito. Anzi, essendo una canzone divenuta stucchevole e retorica nell’esecuzione ufficiale (come anche “Imagine” di John Lennon), loro la restituiscono alla sua grandezza musicale.
No fun
(Flogging a dead horse, 1980)
La canzone con cui John Lydon concluse la storia dei Sex Pistols, o almeno la sua parte terrena. Era un vecchio pezzo degli Stooges, “Niente da ridere”, e Lydon ne chiuse l’esecuzione a San Francisco con le parole poi divenute testamentarie: “avete mai avuto l’impressione di essere stati fregati?”, riferite alla grande invenzione mediatica che i Sex Pistols erano divenuti nelle mani di Malcolm McLaren.