L’indagine del fisco italiano su Google
Secondo giornali e agenzie, la Guardia di Finanza ha contestato all'azienda il mancato pagamento di 227 milioni di euro di tasse
I giornali di oggi riprendono la notizia che circola da ieri su una contestazione del fisco italiano nei confronti di Google, accusata di avere evaso il pagamento di alcune imposte in Italia tra il 2009 e il 2013, utilizzando un sistema piuttosto consolidato tra le grandi multinazionali dell’informatica per pagare le tasse per le loro attività europee in Irlanda, dove fino a qualche anno fa c’era un regime fiscale agevolato. Le informazioni sulle indagini da parte della Guardia di Finanza non sono ufficiali e si parla di “fonti investigative”, ma ci sono elementi piuttosto concreti e una stessa conferma per quanto indiretta della responsabile dell’Agenzia delle Entrate sull’iniziativa.
Reuters scrive che giovedì 28 gennaio la Guardia di Finanza di Milano ha notificato un verbale a Google, nel quale si sostiene che l’azienda statunitense abbia evaso 227 milioni di euro tra il 2009 e il 2013, cifra dedotta da una serie di calcoli sulle attività svolte nel nostro paese in quegli anni:
Nell’ambito di questa contestazione vengono mossi due rilievi. Primo rilievo: a fronte di ricavi complessivi accertati in Italia dal 2009 al 2013 per oltre un miliardo di euro, la Finanza sostiene che la società non ha dichiarato un reddito imponibile di circa 100 milioni. L’imposta Ires che si ritiene quindi evasa (il 27%) è di circa 27 milioni. Secondo rilievo: i finanzieri imputano la mancata applicazione di ritenute sulle royalties corrisposte alle società estere (di Google). Queste ritenute, a fronte di circa 600 milioni, vengono calcolate in circa 200 milioni. Da qui, la cifra complessiva contestata di 227 milioni.
Google è quindi accusata di avere seguito una pratica molto diffusa tra le aziende tecnologiche statunitensi (e non solo) attive in Europa. Grazie ad alcune controverse direttive europee che permettono di sfruttare il mercato dell’Unione Europea, le attività fiscali vengono concentrate in un unico stato, dove vengono fatti confluire i ricavi ottenuti da varie aziende controllate, aggirando quindi i pagamenti delle imposte nei paesi dove sono effettivamente attive e fanno affari. Per anni il governo irlandese ha mantenuto regimi fiscali agevolati o stretto accordi con le singole aziende per incentivare la loro presenza sul suo territorio, con benefici per l’occupazione e l’economia in generale, in cambio di tasse meno alte; altri paesi come il Lussemburgo e i Paesi Bassi hanno seguito una strategia simile. Dopo anni di polemiche, l’Unione Europea ha infine avviato provvedimenti per riformare i regimi di tassazione, mentre l’Irlanda ha modificato parte delle proprie leggi per uniformarsi al resto degli stati membri.
Per ora quella nei confronti di Google è una semplice contestazione, quindi il primo di una serie di passaggi per formalizzare una richiesta di pagamento per una presunta evasione. La documentazione sarà valutata dall’Agenzia delle Entrate, che avrà il compito di effettuare ulteriori verifiche e di stabilire la cifra del risarcimento, che potrebbe tenere conto degli interessi e di eventuali altre evasioni. La cifra potrebbe essere quindi superiore ai 227 milioni di euro di cui parlano i giornali da ieri. La direttrice dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, ha detto che è presto per fare “dichiarazioni su un’operazione in corso” e che non ci sono stati ancora contatti con Google.
La stessa Google non ha commentato direttamente la notizia. Un portavoce dell’azienda si è limitato a dire che la società “rispetta la normativa fiscale di tutti i paesi in cui opera e continua a collaborare con le autorità”.
Nelle prossime settimane, Agenzia delle Entrate e Google potrebbero trovare un accordo per concludere rapidamente la vicenda, attraverso il pagamento di una cifra concordata tra le due parti. Qualcosa di analogo è successo a fine anno con Apple, accusata di avere usato il sistema del pagamento delle imposte in Irlanda per pagare meno tasse in Italia. L’azienda ha concordato con il fisco il pagamento di circa 318 milioni di euro per terminare una contesa che durava da anni e che avrebbe potuto portare a sanzioni molto più elevate.