Iniziano le primarie americane
Si comincia con i caucus in Iowa: una guida per chi vuole capire una volta per tutte cosa diavolo è un caucus e sapere le cose fondamentali sull'elezione del nuovo presidente
di Francesco Costa – @francescocosta
Il percorso che porterà il 20 gennaio 2017 all’insediamento di un nuovo presidente degli Stati Uniti – e prima, l’8 novembre del 2016, alla sua elezione – è cominciato ufficialmente: il primo febbraio, infatti, iniziano le primarie del Partito Democratico e del Partito Repubblicano. Si comincia dall’Iowa, com’è tradizione, e benché l’intero processo di selezione dei candidati si definisca tradizionalmente “primarie”, quelle dell’Iowa non sono vere primarie ma caucus. Le primarie vanno avanti formalmente fino a giugno, ma di norma tra febbraio e marzo diventa evidente quale sia il candidato più forte e destinato a vincere: in entrambi i partiti, però, la situazione è oggi molto incerta. Il voto in Iowa sarà quindi il primo momento in cui mesi di comizi, proposte, polemiche, sondaggi contraddittori e confronti televisivi si tradurranno finalmente in qualcosa di concreto, e capiremo un po’ di più cosa potrà succedere l’8 novembre.
Perché si comincia dall’Iowa
L’Iowa è uno stato americano del Midwest, piuttosto piccolo e poco popolato: è poco più grande della Grecia, in termini di superficie, ma ha meno di un terzo degli abitanti della Grecia. La sua città più grande, la capitale Des Moines, conta circa 200.000 abitanti e in questo periodo dell’anno è coperta di neve. Anche dal punto di vista politico l’Iowa formalmente non conta granché: alle elezioni presidenziali assegna solo 6 “grandi elettori” su 538. E allora perché si comincia da lì?
La risposta è piuttosto banale: perché negli ultimi cinquant’anni si è sempre fatto così. Ma è una tradizione a cui nel tempo sono state trovate delle motivazioni razionali. Cominciare a votare in uno stato piccolo, infatti, permette a tutti i candidati di avere una chance, anche a quelli con meno risorse: per un candidato con meno soldi e volontari è più facile vincere in Iowa che in Texas o in California; e dall’altra parte una vittoria in Iowa può permettere a un candidato con poche risorse di trovare quella spinta economica, mediatica e di consensi – il cosiddetto “momentum”, nel gergo della politica americana – necessaria per vincere anche altrove.
Inoltre lo stato in cui si vota subito dopo l’Iowa è il New Hampshire, dove le primarie arrivano il 9 febbraio: Iowa e New Hampshire insieme sono abbastanza politicamente variegati da essere un interessante punto di partenza; i partiti – e quindi i loro strateghi, consulenti, funzionari – li conoscono molto bene e sanno ormai come muoversi da quelle parti, mentre cambiare calendario presenterebbe per loro molti rischi e incertezze.
È importante andare bene in Iowa?
Sì, anche se di per sé non è determinante. Come spesso accade in politica, è una questione di aspettative. La campagna elettorale negli Stati Uniti è cominciata da un pezzo e i media americani – e quindi di riflesso anche elettori e militanti – ne parlano da mesi, creando un’atmosfera di attesa per le primarie in Iowa che si risolverà in una grande spinta per ogni candidato, verso l’alto o verso il basso. Non serve necessariamente vincere, per essere contenti: basta fare meglio di quanto previsto o meglio dei propri diretti avversari. Un candidato che fin qui è stato sempre in testa ai sondaggi, o dal quale ci si aspetta un grande risultato, potrebbe ricevere una grossa spinta verso il basso arrivando secondo; un candidato che invece è stato poco considerato ma arrivasse secondo a sorpresa potrebbe invece ottenere una grande spinta verso l’alto.
La storia degli Stati Uniti ha visto più volte candidati considerati sfavoriti vincere in Iowa e da lì poi andare a vincere le primarie. Il caso più famoso e recente è quello dell’attuale presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che nel gennaio del 2008 vinse le primarie in Iowa mostrando di poter essere in grado di battere la grande favorita Hillary Clinton. Subito dopo la vittoria Obama condensò in un discorso il significato politico di quella vittoria, e quello che avrebbe rappresentato per il futuro: «They said this day would never come».
È possibile anche il contrario, ovviamente: perdere in Iowa e poi comunque vincere le primarie. Capitò nel 1992 a Bill Clinton, che perse malamente in Iowa (ottenne il 2,81 per cento) ma poi rilanciò la sua campagna elettorale arrivando a sorpresa secondo in New Hampshire: i giornali lo chiamarono “the comeback kid”.
Che aria tira in Iowa
L’elettorato dell’Iowa in sé non è particolarmente rappresentativo di quello degli Stati Uniti: i suoi abitanti sono bianchi per il 91 per cento, per esempio. Dal punto di vista religioso, cattolici e protestanti contano per il 75 per cento della popolazione, mentre i musulmani sono lo 0,2 per cento e gli ebrei lo 0,1 per cento.
Dal punto di vista industriale, l’Iowa ha una lunga tradizione agricola ma ha dovuto adattarsi e diversificare la sua economia nel corso degli anni. Il settore agricolo pesa comunque molto, e dal punto di vista politico pesa soprattutto l’industria dei bio-combustibili: in Iowa si produce moltissimo mais e facendo fermentare il mais si può ottenere l’alcol etilico. Il carburante che se ne ricava – il cosiddetto bio-etanolo – è considerato una fonte di energia semi-rinnovabile. Uno dei principali temi di politica locale in Iowa è proprio il programma governativo che impone la miscela di bio-carburante col carburante derivato dal petrolio, in proporzioni crescenti nel tempo, e fornisce in cambio incentivi, sussidi e sgravi fiscali a chi produce il bio-carburante. Moltissimi agricoltori in Iowa ricevono sussidi per questo, e la lobby locale dell’etanolo è molto potente: i candidati vengono giudicati anche per le loro idee in materia, dato che c’è un grande dibattito nazionale sul fatto che questi incentivi fiscali siano necessari o no.
L’Iowa è uno stato storicamente Democratico, ma negli ultimi anni i Repubblicani stanno guadagnando terreno. Alle elezioni presidenziali l’Iowa sceglie dal 1988 il candidato Democratico, con l’eccezione del 2004, ma in tempi recenti ha eletto un governatore Repubblicano, due senatori Repubblicani su due, tre deputati Repubblicani e uno Democratico. Il suo elettorato è storicamente sensibile ai candidati populisti di entrambi i partiti; nel caso dei Repubblicani, hanno un grosso peso i gruppi religiosi evangelici.
La situazione tra i Democratici
I principali candidati sono due: Hillary Clinton, ex first lady, ex senatrice ed ex segretario di Stato, e Bernie Sanders, senatore del Vermont. Clinton conserva da mesi un solido vantaggio nei sondaggi nazionali, ma in Iowa la situazione è ben più equilibrata: negli ultimi tre mesi Sanders ha recuperato oltre 20 punti percentuali completando una sorprendente rimonta nei primi giorni di gennaio. Oggi Sanders e Clinton sono separati da pochissimi punti percentuali, praticamente dentro il margine di errore. L’ultimo sondaggio del Des Moines Register, il principale giornale dell’Iowa, considerato molto affidabile, vede Clinton avanti di tre punti percentuali.
Clinton rimane la favorita per la vittoria finale della nomination tra i Democratici, ma l’exploit di Sanders – che ha 74 anni e posizioni molto di sinistra, si definisce “socialista” e raduna grandi folle a ogni suo comizio – ha fatto venir fuori i limiti di una candidata vista ancora troppo come espressione dell’establishment, considerata troppo moderata sull’economia, criticata per i suoi rapporti con Wall Street e che fatica a suscitare l’entusiasmo degli elettori, soprattutto tra i più giovani. Clinton dovrebbe incontrare meno difficoltà negli stati in cui si voterà dopo l’Iowa, perché Sanders oggi piace soprattutto ai bianchi mentre lei ha ancora grandi consensi tra gli elettori neri e quelli di origini latinoamericane: ma una vittoria di Sanders in Iowa gli darebbe quella spinta di cui dicevamo prima, e porterebbe molti elettori che oggi dicono di preferire Clinton a dare una seconda occhiata alla sua candidatura.
La situazione tra i Repubblicani
Anche tra i Repubblicani non sono mancate le sorprese. L’ex governatore della Florida Jeb Bush, dato per favorito sei mesi fa, non è mai riuscito a ottenere grandi consensi tra gli elettori a giudicare dai sondaggi; ed è emersa invece in modo sorprendentemente durevole la candidatura di Donald Trump, ricco imprenditore del settore immobiliare e dei casinò, con toni e posizioni particolarmente estremiste sull’immigrazione e sulla sicurezza nazionale: negli scorsi mesi Trump ha proposto, tra le altre cose, di vietare l’ingresso nel paese a tutte le persone di religione musulmana – anche se cittadine americane – e di costruire un muro al confine col Messico per non far più passare immigrati.
A giudicare dai sondaggi, i candidati Repubblicani che possono vincere in Iowa sono due: oltre a Donald Trump, l’altro che sembra messo bene è il senatore del Texas Ted Cruz, figlio di immigrati cubani e noto per la sua retorica abrasiva anti-establishment (è detestato anche da molti Repubblicani) e per avere la posizione più di destra possibile praticamente su qualsiasi tema. Cruz ha rimontato molti punti a Trump nei sondaggi sull’Iowa e oggi Trump conserva un vantaggio significativo ma limitato. Cosa notevole: Cruz è l’unico tra i principali candidati Repubblicani a essere contrario ai sussidi per l’industria locale dell’etanolo, cosa che nelle ultime settimane gli ha attirato critiche molto dure dai Repubblicani dello stato e dal suo popolare governatore, Terry Branstad.
La situazione tra i Repubblicani resterà comunque incerta a prescindere dal risultato dell’Iowa, perché diversi analisti e giornalisti sostengono da mesi che né Trump né Cruz potrebbero davvero vincere le elezioni presidenziali di novembre: storicamente gli elettori a un certo punto rivolgono le loro attenzioni verso candidati più “moderati” ed eleggibili, e quando non lo fanno i candidati estremisti a novembre prendono delle gran scoppole (successe per esempio a Barry Goldwater, candidato Repubblicano alle presidenziali del 1964, sconfitto duramente dal presidente Lyndon Johnson). I candidati considerati più “eleggibili” tra i Repubblicani sono, oltre a Jeb Bush, il senatore della Florida Marco Rubio, il governatore del New Jersey Chris Christie e il governatore dell’Ohio John Kasich: in Iowa lotteranno per arrivare terzi, e poi cercheranno di arrivare il più in alto possibile nelle successive primarie in New Hampshire.
C’è un motivo particolare però per prendere i dati dei sondaggi con molta cautela, sia quelli sui Democratici che quelli sui Repubblicani: quelle dell’Iowa non sono primarie, sono caucus.
Cos’è un caucus
I caucus sono regolati dai partiti statali e funzionano così: ogni partito allestisce uno o più seggi in ognuno dei 1.774 micro-collegi in cui è diviso lo stato. I seggi possono essere bar, case, palestre, scuole, scantinati. I seggi vengono aperti nel tardo pomeriggio, di solito dopo le 18. Fa un freddo cane, c’è la neve e la temperatura è molto sotto lo zero. Chi vuole partecipare al caucus arriva all’orario di apertura. Si fa un dibattito. Almeno un sostenitore per ogni candidato prende la parola e spiega perché bisogna votare per il suo candidato, gli altri possono rispondere. Si può fare campagna elettorale fino all’ultimo secondo, insomma.
Finita la discussione, per i Repubblicani il processo è piuttosto semplice: ogni partecipante al caucus scrive su un foglio di carta il candidato che preferisce: il voto è segreto. Per i Democratici invece è tutto molto più intricato: finita la discussione i partecipanti dichiarano pubblicamente il loro voto (con quel che ne consegue in termini di possibili pressioni “sociali”) e si dividono quindi per gruppi. C’è una specie di soglia di sbarramento: se ci sono candidati rappresentati da un gruppo troppo piccolo, quel gruppo si scioglie e i suoi partecipanti ne scelgono uno di un altro candidato. A quel punto si conta, in proporzione, il sostegno per ogni candidato. I risultati non esprimono direttamente un sostegno ai candidati bensì ai relativi delegati di seggio, che poi sceglieranno i delegati di contea, che poi sceglieranno i delegati statali, ma ci siamo capiti.
«Dancing is hard, caucusing is easy»
L’intero processo richiede fino a due ore e quindi esclude chi deve lavorare, chi ha altro da fare, chi deve accudire qualcuno a casa, chi è malaticcio, eccetera: per questo motivo gli elettori che partecipano ai caucus sono i più motivati e politicizzati e per questo motivo i sondaggi vanno presi con cautela: una cosa è dire “voterò Tizio” durante un’intervista telefonica, un’altra è decidere effettivamente il primo febbraio di prendere la macchina, guidare tra la neve e partecipare a un processo così impegnativo.
I primi risultati dei caucus in Iowa arriveranno quando in Italia saranno le prime ore di martedì 2 febbraio: salvo situazioni particolarmente equilibrate, tra le 5 e le 6 del mattino dovrebbe essere chiaro chi ha vinto e chi ha ottenuto più delegati.
Cosa succede dopo
L’Iowa è appunto soltanto l’inizio. Le primarie proseguono poi il 9 febbraio in New Hampshire, il 20 in Nevada, il 27 in South Carolina. Il primo marzo, poi, c’è il cosiddetto Super-Tuesday: si vota in dieci stati – quattordici per i Repubblicani – nello stesso giorno. A quel punto dovremmo avere le idee più chiare su chi saranno i candidati che l’8 novembre si contenderanno la presidenza degli Stati Uniti d’America.