Una settimana senza smartphone, a sedici anni
Il racconto di una ragazza americana, anche un po' troppo matura, su quello che ci si perde e quello che ci si guadagna
di Leslie Landis – Washington Post
Se gli adolescenti fossero dei pianeti, il loro sole sarebbero gli smartphone. Se non stiamo mandando faccine stupide su Snapchat ai nostri amici o emoticon a forma di cuore a qualcuno che ci piace, sfogliamo immagini su Instagram e controlliamo gli ultimi tweet dei nostri personaggi preferiti. Appena torniamo da scuola scriviamo ai nostri amici che abbiamo salutato soltanto un’ora prima: anche quando non stiamo facendo niente, stiamo controllando il telefono.
Dice un rapporto di Common Sense Media (un’organizzazione non profit di San Francisco che promuove un utilizzo sicuro della tecnologia per i minori, ndt) che ogni giorno gli adolescenti americani passano circa nove ore sui social media per divertimento: che è più tempo di quello che passiamo dormendo. Il 78 per cento di noi ha un telefono, e quasi tutti usiamo qualche tipo di social media. Sembra che chi non sia sempre connesso ai social o non mandi messaggi in continuazione sia del tutto tagliato fuori dalle conversazioni del giorno dopo a scuola.
I miei genitori mi prendono in giro per quanto uso il mio smartphone. Quando sono a casa, ce l’ho sempre in mano e lo tengo vicino anche a tavola. Mi dicono sempre che non potrei sopravvivere senza il mio telefono, e io rispondo che non è vero. O è vero, mi sono chiesta un giorno?
Così per un’intera settimana io, una ragazza newyorkese di sedici anni, non ho usato il mio smartphone. A casa ho un computer portatile, con cui avrei letto le notizie e fatto i compiti. Non avrei rinunciato alla comunicazione: avrei rinunciato alla comunicazione istantanea. Volevo capire se per noi il telefono sia davvero vitale. I miei non hanno afferrato subito che sarei rimasta senza iPhone per una settimana. Mio padre non ci ha creduto, e mia madre si è preoccupata che girassi per Manhattan senza poterla chiamare. Le ho promesso che senza telefono sarei solo andata e tornata da scuola, e si è calmata. I miei amici meno: che senso aveva?, mi hanno chiesto. Alcuni di loro mi hanno domandato se fossi in punizione, o se si trattasse di uno dei propositi per l’anno nuovo. Voler rinunciare di proposito al proprio smartphone per una settimana gli pareva inconcepibile.
Ma io vorrei studiare informatica, e lavorare nel settore della tecnologia, quindi sono consapevole del ruolo che svolge nelle nostre vite. Spesso mi chiedo perché abbiamo bisogno di migliaia di app sempre disponibili; le funzioni di base di un telefono sono utili, ma anche le ore che passiamo a navigare, twittare o postare foto?
Il mondo della tecnologia controlla le nostre conversazioni, e io avevo scelto di uscirne, volontariamente.
Ecco come è andata: il primo giorno è stato il più duro. Non ho realizzato davvero cosa stessi facendo fino alle 6.30 di lunedì mattina, quando sono stata svegliata da una specie di allarme anti-incendio: era il suono della mia vecchia sveglia che non uso mai. Mi ci è voluta un’eternità per capire come spegnerlo. Di solito, mi sveglio con la musica di Taylor Swift sull’iPhone. Ho sospirato: sarebbe stata una settimana lunga.
Durante i 25 minuti in metropolitana che faccio tutti i giorni per andare a scuola, di solito ascolto la musica sul mio telefono, sonnecchiando. Non poterlo fare si è rivelata la parte più difficile di tutto l’esperimento. All’inizio è stato noiosissimo: tutti quelli intorno a me avevano gli auricolari, e l’unico suono che sentivo era lo sferragliare dei vagoni. Ho provato a canticchiare delle canzoni mentalmente, ma non è servito a niente (non mi riusciva di ricostruire esattamente la voce di Beyoncé). Alla fine, mi sono messa a leggere un po’ per il mio circolo di lettura. “L’uomo di Marte” si è rivelato un libro piuttosto interessante, e ora non devo ridurmi a leggerlo il giorno prima della riunione del circolo. Senza la musica, sono stata obbligata a concludere le cose da fare, e ho realizzato di essere più sveglia quando sono arrivata a scuola.
A scuola i ragazzi erano tutti seduti nel corridoio: scorrevano i cellulari o ascoltavano musica, anche mentre chiacchieravano con i loro amici. Chi non stava usando lo smartphone, lo teneva comunque di fianco a sé. Persino durante le lezioni, molti studenti appoggiavano il cellulare sul banco come fosse una specie di coperta di Linus, anche se ovviamente è vietato usarlo in classe. Lo facevo anch’io, prima dell’esperimento: a lezione tenevo sempre il telefono sul banco. Andavo in bagno per controllarlo o scrivere a mia madre del mio ultimo voto. Perché? Che fretta c’era?
Il resto della giornata senza telefono non è stato poi così duro. Diverse volte mi sono ritrovata a cercarlo inconsciamente, come se fosse un arto fantasma. È stato strano, ma lo si può gestire. Gli altri giorni della settimana sono stati sorprendentemente facili: il bisogno di avere sempre con me il cellulare era scomparso, non sentivo il desiderio di aggiornare Instagram tra una lezione e l’altra, e anche quando tornavo a casa e avevo il computer, non controllavo più Facebook. Riempivo i miei viaggi mattutini in metro con progetti e letture, invece di ascoltare musica dormendo. Il bisogno di avere sempre il cellulare in mano diminuiva.
Avevo pensato di dimostrare quanto gli adolescenti avessero bisogno del proprio smartphone, ma mi stavo rendendo conto dell’esatto contrario. Essere fuori dalle conversazioni con i miei amici non ha cambiato drasticamente la mia vita sociale. Riuscivo a recuperare le discussioni che mi ero persa nei messaggi di gruppo abbastanza velocemente, conversando realmente.
Ogni tanto, ne ho sentito la mancanza: quando sono usciti i voti ho dovuto aspettare fino all’ultima ora prima di poter controllare il mio risultato su un computer della scuola, mentre tutti gli altri avevano già guardato il loro sul telefono in un minuto, tra una lezione e un’altra. E mentre tutti impazzivano per una nuova app (che si chiama Stop), io ho dovuto aspettare di riavere il telefono per scaricarla e poterci giocare con i miei amici. Ma a parte queste scocciature, non ho mai auto davvero bisogno dello smartphone.
Ora che l’esperimento è finito, ho imparato questa cosa: i nostri cellulari sono come il caffè. Il caffè ci dà energia e la carica per “funzionare”, e finiamo per credere di non poterne farne a meno. Ma cosa succederebbe davvero se una mattina ci dimenticassimo di bere il caffè? Di sicuro all’inizio ci sentiremmo stanchi e intontiti, ma dopo qualche giorno, improvvisamente, non ne avremmo più bisogno. Lo stesso vale per gli smartphone: per farci stare attaccati ventiquattr’ore su ventiquattro, il mondo della tecnologia ci fornisce sempre più giochi e app, sempre più motivi per cliccare e guardare. Ma non siamo noi a essere dipendenti dai telefoni: è il contrario. La tecnologia influenza enormemente ciò che gli adolescenti vedono e fanno, ma quando mettiamo via il telefono, il potere è di nuovo nostro.
Da quando è finito l’esperimento, non uso più l’app di Facebook o di Buzzfeed come prima. Sento meno il bisogno di leggere gli articoli sul mio feed, o di fare un gioco stupido. Uso ancora Snapchat in continuazione per scrivere ai miei amici: certe cose non cambiano e basta. Ma leggo e studio di più in metropolitana, finisco per fare il sudoku o le parole crociate, invece di giocare col telefono. Ho di nuovo il controllo del mio smartphone, e non viceversa: e così deve essere.
©The Washington Post 2016