Inizia la discussione sulle unioni civili
Alle 9.30 il ddl Cirinnà arriva in Senato: il primo voto è previsto la prossima settimana
Dalle 9.30 di giovedì 28 gennaio comincia in Senato la discussione dei disegni di legge sulle unioni civili: il disegno di legge numero 2081, a prima firma della senatrice Monica Cirinnà del PD, ma anche altre tredici proposte. La conferenza dei capigruppo al Senato ha comunque indicato il ddl Cirinnà – che era stato presentato dalla maggioranza lo scorso ottobre – come testo base per la discussione. Si tratta in realtà del “Cirinnà bis” cioè di una seconda versione rispetto all’originale, presentato per aggirare l’opposizione di alcuni senatori in commissione Giustizia, dove il precedente ddl (il primo Cirinnà) era bloccato da mesi anche a causa delle resistenze dell’area cattolica del Pd.
Oggi al Senato ci sarà solo l’incardinamento del testo e la discussione su sospensive e pregiudiziali. Il primo voto importante – sulle sospensive e pregiudiziali presentate dalle opposizioni – è stato rimandato a martedì 2 febbraio. Questa è l’unica data che finora è stata fissata in calendario per l’esame al Senato del ddl: non c’è infatti alcuna indicazione sulla data di inizio delle votazioni sugli emendamenti, né è stato stabilito un termine per il voto finale.
La scorsa settimana al ddl Cirinnà erano stati presentati circa seimila emendamenti: circa cinquemila dalla Lega Nord, in gran parte studiati soltanto per fare ostruzionismo alla legge, trecento da Forza Italia e 60 dal PD. Ieri al Senato è stato però raggiunto un patto politico tra i capigruppo di PD, Lega e Forza Italia per tagliare drasticamente il numero degli emendamenti (circa il 90 per cento), consentire un ampio dibattito sul testo e rinviare le prime votazioni. Ci sarebbe anche la disponibilità a ritirare l’emendamento “canguro” presentato dal senatore del PD Andrea Marcucci, un emendamento all’articolo 1 che se approvato o respinto avrebbe determinato l’approvazione o la respinta di molti altri emendamenti simili.
I dissensi maggiori al testo riguardano la stepchild adoption: sono contrari i parlamentari di Area Popolare (UdC e NCD), della Lega, di Fratelli d’Italia, alcuni di Scelta Civica e del M5S, ma anche una trentina di senatori del PD, di area cattolica, e un’altra trentina di parlamentari, sempre del PD, alla Camera.
Il ddl è diviso in due capi: il primo capo, all’articolo 1, introduce nell’ordinamento italiano l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso «quale specifica formazione sociale, ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione». Il testo stabilisce la netta separazione semantica tra “nuove” unioni e matrimonio, secondo le richieste di diversi cattolici del PD: cancella ogni riferimento al matrimonio e di conseguenza qualsiasi riferimento all’articolo 29 della Costituzione. La nuova legge introdurrà di fatto un nuovo istituto di diritto di famiglia, distinto dal matrimonio. All’articolo 2 si prevedono la costituzione dell’unione civile davanti all’ufficiale dello stato civile, la possibilità di scegliere un «cognome comune» e si dice che la registrazione dell’unione stessa può avvenire fra gli altri atti dello stato civile: non sarà quindi istituito uno speciale registro. Gli articoli 3 e 4 estendono alle unioni civili i diritti e i doveri del matrimonio che hanno ad esempio a che fare con i rapporti patrimoniali: la reversibilità delle pensioni, gli sgravi fiscali, i permessi di lavoro per motivi di famiglia e così via.
Nell’articolo 5 si parla di stepchild adoption, cioè la possibilità di adottare il figlio del partner. Viene esclusa l’applicabilità dell’istituto dell’adozione legittimante: per le coppie dello stesso sesso unite civilmente non sarà possibile, quindi, adottare bambini che non siano già figli dell’altro o altra componente della coppia. Il capo II del ddl si occupa di convivenza di fatto, sia eterosessuale che omosessuale, e recepisce nell’ordinamento legislativo «le evoluzioni giurisprudenziali già consolidate nell’ambito dei diritti e dei doveri delle coppie conviventi». Il testo prevede anche alcune deleghe affidate al governo per intervenire e apportare correzioni entro 24 mesi dalla data di approvazione, «per mezzo di decreti correttivi».