Si può abolire il trattato di Schengen?
Tecnicamente sì, ma è molto complicato e improbabile perché richiede l'approvazione di tutti gli stati membri: e in ogni caso per l'Italia non sarebbe conveniente
Negli ultimi giorni si è parlato molto della possibilità di abolire il trattato di Schengen, ovvero il trattato che ha eliminato le frontiere interne in Europa e che è stato introdotto nel 1995. Il dibattito è legato soprattutto alla difficoltà di molti stati europei di accogliere i migliaia di richiedenti asilo che provengono soprattutto dalla Siria e dalle preoccupazioni di sicurezza legate al terrorismo. Questa settimana il Financial Times ha pubblicato un editoriale intitolato “L’ultima occasione per salvare Schengen”. Negli stessi giorni la direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ha detto che il futuro del trattato è incerto.
Del tema si è parlato molto anche in Italia e i giornali hanno titolato spesso sulla “sospensione” di Schengen praticata da diversi paesi europei, come Austria, Danimarca, Svezia e Slovenia. In realtà si è fatta spesso molta confusione su cosa significhi davvero sospendere Schengen. E si è parlato anche di abolizione: l’abolizione del trattato è però un processo particolarmente complesso che in pratica è quasi impossibile da realizzare. Secondo molti esperti, difficilmente il trattato verrà abolito, ma è probabile che subisca delle modifiche nei prossimi mesi o forse nei prossimi anni. Infine, nonostante sia stata citata come possibilità da diversi leader politici italiani, l’abolizione del trattato danneggerebbe l’Italia senza fornire sostanzialmente alcun vantaggio.
Sospendere Schengen?
La legge europee permette agli stati membri di sospendere temporaneamente il trattato. La procedura prevede che lo stato membro ne faccia richiesta alla Commissione Europea, che valuta le motivazioni e decide se siano sufficienti per giustificare una sospensione del trattato e quindi il ripristino di regolari controlli alla frontiera. Questa sospensione non può durare per più di sei mesi e deve essere motivata da una situazione di emergenza per la sicurezza nazionale: un aumento dei flussi migratori non può essere utilizzato come motivazione per sospendere il trattato. Una sospensione collettiva di Schengen può essere approvata dal Consiglio dell’Unione Europea, che riunisce tutti i capi di stato e di governo dell’Unione, per un periodo massimo di due anni.
Schengen, però, prevede per la polizia di qualunque paese europeo di effettuare controlli alla frontiera, senza bisogno di richiedere alcuna autorizzazione, purché questi controlli siano a campione, cioè non sistematici. Questo “escamotage” è stato utilizzato da quasi tutti i paesi europei che negli ultimi mesi hanno ripristinato più o meno temporaneamente i controlli alle loro frontiere per regolare e limitare i flussi migratori.
Raramente gli stati hanno fatto esplicita richiesta di sospensione alla Commissione, che probabilmente sarebbe stata costretta a respingerla o comunque a concederla soltanto per una decina di giorni. In realtà diversi stati si sono comportati come se avessero ottenuto l’autorizzazione – senza però nemmeno richiederla – ripristinando dei controlli che erano tutto fuorché a campione. Lo scorso giugno, durante la crisi di Ventimiglia, la Francia ripristinò controlli sistematici alla frontiera, respingendo per giorni tutti i migranti che provavano a varcare il confine.
Abolire Schengen?
Molti dei controlli ripristinati in questi mesi si trovano in una zona grigia in cui sono legali soltanto se restano “non sistematici”, una definizione che lascia aperte molte possibilità di interpretazione. I leader europei stanno discutendo da mesi della possibilità di modificare i trattati in modo da dare più libertà agli stati nel ripristinare controlli alle loro frontiere. A spingere su questo fronte sono in particolare i paesi dell’est Europa, che in alcune riunioni sono arrivati a chiedere la sospensione di Schengen nei confronti della sola Grecia, in modo da arrestare il flusso di migranti che intraprendono la cosiddetta “rotta balcanica”, quella che dalle coste della Turchia passa per i Balcani e arriva fino in Germania, o anche più a nord.
Fino ad ora, soltanto i leader di partiti nazionalisti o xenofobi hanno chiesto esplicitamente l’abolizione completa del trattato. Ottenerne l’abolizione, o modificarlo in modo da svuotarlo del suo contenuto, non è una procedura semplice, come tutte quelle che richiedono la revisione dei trattati fondanti dell’Unione Europea, ma è possibile. Per modificarlo si può ricorrere al meccanismo di “revisione semplificata”, che però richiede un voto unanime da parte del Consiglio dell’Unione Europea. Il trattato emendato deve poi essere ratificato da tutti gli stati membri, altrimenti non può entrare in vigore.
Chi ci guadagna e chi ci perde?
Abolire Schengen sarebbe costoso per quasi tutti i paesi europei. Il ritorno di controlli alle frontiere significherebbe ritardi e problemi per gli autotrasportatori e per tutti quei pendolari che per lavoro si trovano costretti ad attraversare i confini tra due paesi europei. Inoltre, ripristinare i controlli significa anche che gli stati membri dovranno tornare a spendere denaro per mantenere i posti di controllo alle frontiere.
Sono sacrifici che i paesi i cui confini si trovano all’interno dell’Unione Europea potrebbero ipoteticamente essere disposti ad affrontare, in cambio di un chiaro vantaggio. Ad esempio, ripristinando i controlli alle frontiere interne, la Francia potrebbe bloccare gli arrivi di migranti dall’Italia senza rischiare infrazioni alle regole europee. D’altro canto, i paesi ai confini dell’Unione Europea non hanno quasi nulla da guadagnare da un’abolizione o da uno svuotamento del trattato di Schengen, anzi.
Italia e Grecia, ad esempio, possono già effettuare tutti i controlli che vogliono alle loro frontiere esterne. Abolire Schengen non migliorerebbe affatto la loro capacità di gestire i flussi migratori in arrivo da fuori dell’Unione Europea. Ma senza Schengen, una volta entrati, i migranti sarebbero per così dire “intrappolati” dentro i loro confini, senza possibilità di continuare il viaggio verso il resto d’Europa. Per quanto l’abolizione sia stata proposta da leader politici ostili all’immigrazione, come Matteo Salvini e Beppe Grillo, difficilmente un simile cambiamento porterebbe all’Italia dei benefici nella gestione del flusso dei migranti.