La riforma del Senato all’ultimo voto
Il Senato ha approvato in seconda e ultima lettura la riforma costituzionale, ora manca un voto alla Camera dall'esito scontato: poi dipenderà tutto dal referendum
Il Senato ha approvato in seconda (e ultima) lettura la riforma costituzionale del bicameralismo perfetto e del Titolo V, sui rapporti tra stato ed enti locali. I voti a favore sono stati 180, i contrari 112. Per l’approvazione definitiva della legge manca un ultimo passaggio alla Camera, con una votazione in calendario per il prossimo aprile. A quel punto l’intera riforma sarà sottoposta a un referendum confermativo, che sarà probabilmente organizzato nell’autunno di quest’anno. Se vinceranno i “sì”, sparirà il Senato per come lo conosciamo oggi, trasformato in un “Senato delle autonomie” formato da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 senatori di nomina presidenziale (che durano in carica 7 anni e non potranno essere rinominati) che avranno per lo più un ruolo consultivo. Diverse competenze affidate alle regioni dalla precedente riforma saranno nuovamente attribuite allo stato, nell’ottica di ottimizzare e coordinare meglio le risorse affidate agli enti locali.
Dal punto di vista dei numeri, il governo non avrà problemi alla Camera, dove gode del sostegno di una maggioranza larghissima per effetto del premio attribuito al partito più votato previsto dalla vecchia legge elettorale. Al Senato la situazione era più equilibrata, ma lo scorso ottobre la riforma era già stata approvata con 171 voti favorevoli (la maggioranza è 158) e il governo è più solido che in passato grazie al sostegno di un gruppo parlamentare fondato da Denis Verdini e nel quale si sono spostati alcuni senatori eletti con Forza Italia. La stessa riforma, nelle sue fasi iniziali, era stata scritta insieme al centrodestra e votata dai suoi parlamentari: era un pezzo del cosiddetto “patto del Nazareno”, l’accordo politico trovato da Renzi e Berlusconi per approvare le riforme costituzionali e la legge elettorale. Dopo qualche mese di faticosa collaborazione – e decine di teorie del complotto sul contenuto del “patto” – l’accordo era stato fatto saltare da Berlusconi per protesta contro la scelta del PD di candidare Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, senza consultare Forza Italia.
Come prevede l’articolo 138 della Costituzione, la riforma approvata senza la maggioranza dei due terzi in seconda lettura va sottoposta a un referendum entro tre mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Non c’è quorum: la legge viene promulgata se i voti favorevoli superano quelli sfavorevoli. Ci sono stati solo due referendum costituzionali nella storia della Repubblica italiana. Il primo, tenuto il 7 ottobre 2001, portò all’approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione con il 64,2 per cento di favorevoli; il secondo, tenuto il 25 e 26 giugno 2006, bocciò la riforma della Costituzione promossa dal governo Berlusconi con il 61,3 per cento dei voti.