L’Iran ci riguarda
Dopo la rimozione delle sanzioni le aziende italiane stanno per investire di nuovo in Iran, sfruttando i rapporti unici che l'Italia ha sempre mantenuto con i governi iraniani
Da quando sono state tolte le sanzioni economiche e finanziarie imposte all’Iran dal 2006, si è tornati a parlare in tutta Europa delle grandi opportunità che offre il mercato iraniano alle aziende europee. Il discorso interessa molto anche l’Italia, che nonostante l’esistenza delle sanzioni è stato uno dei pochi paesi a mantenere dei buoni rapporti con il governo iraniano negli ultimi tre decenni, cioè nel periodo successivo alla rivoluzione del 1979 che trasformò l’Iran in una Repubblica Islamica antagonista dell’Occidente. Il presidente iraniano Hassan Rouhani ha detto in più di un’occasione che l’Italia è per gli iraniani “la porta” verso l’Europa: lo scorso novembre per esempio era in programma una visita di Rouhani a Roma – la sua prima in Europa da quando è diventato presidente – che però è stata annullata all’ultimo a causa degli attentati di Parigi del 13 novembre. I rapporti tra Iran e Italia, comunque, arrivano da lontano e aiutano a spiegare come mai oggi l’Italia si trovi in una posizione privilegiata nel fare affari con le aziende iraniane.
Da dove arrivano i rapporti tra Iran e Italia
I governi di Italia e Iran stabilirono relazioni diplomatiche ufficiali negli anni Cinquanta, quando in Italia c’erano i governi democristiani e in Iran c’era lo scià, che sarebbe poi diventato uno dei più importanti alleati in Medio Oriente del presidente americano Richard Nixon. Dopo la rivoluzione khomeinista – che nel 1979 fece cadere il regime autoritario dello scià e stravolse il sistema istituzionale iraniano, che fu trasformato in una Repubblica Islamica – l’Italia continuò a mantenere i rapporti diplomatici con il nuovo governo iraniano, ha recentemente spiegato in un’intervista Cinzia Bianco, esperta di geopolitica di Medio Oriente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). Le relazioni bilaterali proseguirono anche durante la guerra tra Iran e Iraq combattuta tra il 1980 e il 1988, nonostante le proteste iraniane per gli aiuti italiani all’Iraq di Saddam Hussein.
L’allora presidente iraniano Mohammad Khatami e l’allora presidente del Consiglio italiano Massimo D’Alema a Villa Madama, Roma, nel marzo del 1999 (A.Bianchi /ANSA /LI)
Le cose migliorarono ulteriormente dopo la guerra, e soprattutto dopo l’elezione del riformista Mohammed Khatami a presidente dell’Iran, nel 1999. Quell’anno Khatami visitò Roma e fu la prima visita di un leader iraniano all’estero dai tempi della Rivoluzione. Nel 2004 gli iraniani fecero pressioni affinché l’Italia fosse coinvolta nel “gruppo dei 5+1” che si doveva occupare del nucleare iraniano (poi l’Italia fece un passo indietro per evitare scontri diplomatici con gli Stati Uniti, il cui governo non aveva più rapporti ufficiali con l’Iran dalla fine della cosiddetta “crisi degli ostaggi”, nel 1981). Negli anni di presidenza del conservatore Mahmud Ahmadinejad (2005-2013) i rapporti diplomatici con l’Italia si raffreddarono parecchio, ma non si interruppero mai: per esempio nel 2009 Franco Frattini, ministro degli Esteri dell’allora governo Berlusconi, invitò l’Iran a discutere a Trieste della sicurezza del Pakistan e dell’Afghanistan. Frattini riconosceva che l’Iran era un paese che contava parecchio nella regione e che avrebbe dovuto essere coinvolto in questo tipo di discussioni.
Cosa è cambiato con Rouhani
Nel 2013 Emma Bonino, il ministro degli Esteri del governo di Enrico Letta, fu il primo capo della diplomazia di un paese europeo ad andare in visita ufficiale in Iran da molti anni: Bonino incontrò il moderato Hassan Rouhani, che era stato appena eletto presidente e che è in carica ancora oggi. Da un paio di anni l’Italia ha cominciato anche a fare pressioni affinché il governo iraniano venga coinvolto nei negoziati sulla guerra in Siria. La questione è considerata molto delicata: in Siria l’Iran appoggia il regime di Bashar al Assad e sostiene attivamente Hezbollah, il gruppo sciita che si concentra soprattutto nel sud del Libano e che è considerato un gruppo terroristico da Stati Uniti ed Europa. Allo stesso tempo l’Iran combatte lo Stato Islamico in Iraq e ha contribuito per esempio alla riconquista di Tikrit, un’importante città irachena che era stata conquistata la scorsa estate dallo Stato Islamico. Di fatto il governo iraniano non è schierato dalla stessa identica parte degli Stati Uniti e dell’Europa, ma condivide con loro alcuni interessi.
Il presidente dell’Iran, Hassan Rouhani, e l’allora ministra degli Esteri italiana, Emma Bonino, nell’incontro a Teheran il 22 dicembre 2013 (BEHROUZ MEHRI/AFP/Getty Images)
Tra alti e bassi, l’Italia è considerata ancora oggi come uno dei paesi occidentali “più amici” dell’Iran. Negli uffici di Teheran della Nioc, la compagnia petrolifera di stato iraniana, è ancora appesa una grande foto di Enrico Mattei, fondatore dell’ENI che negli anni Cinquanta concluse un accordo petrolifero con l’Iran particolarmente favorevole al governo iraniano, staccandosi dalle cosiddette “sette sorelle”, il cartello delle sette principali compagnie petrolifere di allora (Mattei viene considerato ancora oggi come una specie di eroe in Iran). Per dirne un’altra: Alitalia fu l’unica grande compagnia aerea occidentale a continuare a volare su Teheran durante i bombardamenti iracheni sulla capitale iraniana nel corso della guerra tra Iran e Iraq degli anni Ottanta. Allo stesso tempo l’amicizia con l’Iran ha creato negli anni qualche problema all’Italia, soprattutto nei suoi rapporti con gli Stati Uniti: per esempio prima della rimozione delle sanzioni David Cohen, sottosegretario statunitense al Tesoro, menzionò l’Italia come uno dei paesi a cui disse che “l’Iran non è un paese con cui fare affari”, riferendosi alle attività delle aziende italiane nel paese.
Gli interessi delle aziende italiane in Iran
A fine novembre – dopo la conclusione dell’accordo sul nucleare iraniano ma prima della sua implementazione – è arrivata in Iran una grossa delegazione italiana in rappresentanza di 180 piccole e medie imprese e di 12 banche. I membri della delegazione, ha scritto in un lungo e completo reportage su Internazionale Martina Forti, hanno incontrato i rappresentanti iraniani nel centro congressi della Torre Milad, a Teheran, dove c’è stato uno scambio intenso di informazioni, “biglietti da visita e profili aziendali”. La delegazione era guidata da Carlo Calenda, viceministro dello Sviluppo Economico, e includeva tra gli altri anche alcuni dirigenti di Confindustria e dell’ICE Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. L’obiettivo era quello di prendere contatti e prepararsi per la rimozione delle sanzioni imposte all’Iran dal 2006 sul programma nucleare iraniano (rimozione che è stata annunciata sabato 16 gennaio).
L’Italia è da moltissimi anni uno dei paesi occidentali più attivi nell’economia iraniana. Secondo i dati di Eurostat, l’Italia è stato il più importante partner commerciale europeo dell’Iran dal 2006 – anno delle prime sanzioni sul nucleare – fino al 2012. Nel 2012 furono però implementate nuove sanzioni commerciali e finanziarie decise dall’Unione Europea due anni prima, e l’interscambio commerciale tra Iran e Italia scese del 24,3 per cento nel 2013 e di un altro 22,6 per cento nel 2014 (uno dei settori più colpiti fu quello dell’energia): da allora ad oggi il principale partner commerciale dell’Iran è stata la Germania. Con la rimozione delle sanzioni le cose per le aziende italiane dovrebbero migliorare di nuovo, stando alle stime della Sace, cioè l’istituzione finanziaria che garantisce il credito per gli investimenti all’estero: secondo la Sace, le esportazioni italiane in Iran – che nel 2014 erano pari a 1,1 miliardi di euro – arriveranno a quasi 3 miliardi di euro tra il 2015 e il 2018.
Non sono solo le piccole e medie imprese a essere interessate a investire in Iran. Molte delle maggiori aziende italiane hanno una presenza in Iran stabile da molti anni: è il caso per esempio di Alitalia, la compagnia aerea di bandiera italiana, di SAIPEM, una sussidiaria di ENI, e di Ansaldo Energia, il gruppo di Finmeccanica tra i primi al mondo nella produzione di centrali elettriche. Come ha spiegato Martina Forti, queste aziende si ritroveranno a fare affari con le grandi aziende pubbliche iraniane, praticamente tutte riconducibili alle Guardie della rivoluzione, un corpo militare istituito con la Rivoluzione del 1979 e che fa riferimento direttamente alla Guida Suprema, la più importante e potente figura politica e religiosa dell’Iran. L’importanza delle Guardie della rivoluzione nell’economia iraniana era stata raccontata da una grossa inchiesta di Reuters alla fine del 2013, che spiegava come il gruppo fosse riuscito a creare un enorme impero economico e finanziario sfruttando soprattutto l’imposizione delle sanzioni. Diversi giornalisti sostengono che una delle sfide più difficili che dovrà affrontare Rouhani sarà quella di rendere più trasparente l’intero sistema economico dell’Iran, ma non sarà facile: Parisa Hafezi ha scritto su Reuters che probabilmente quelli che guadagneranno di più dalla rimozione delle sanzioni saranno di nuovo le Guardie della rivoluzione.