Sette canzoni degli Eagles
Scelte dal direttore del Post per il suo libro Playlist, qualche anno fa
Glenn Frey, chitarrista, cantante e membro fondatore degli Eagles, è morto a New York lunedì 18 gennaio, per delle complicazioni dovute ad artrite reumatoide, colite ulcerosa acuta e polmonite. Frey era stato membro degli Eagles per tutto il tempo che suonarono insieme, cioè dal 1971 al 1980 e dal 1994 a oggi. Queste sono le sette canzoni degli Eagles che Luca Sofri, peraltro direttore del Post, aveva scelto per il suo libro Playlist.
Eagles
(1971, Los Angeles, California)
Dipende da dove li guardate: la band più melensa del rock anni Settanta, o quella più rock dell’easy listening anni Settanta. Versione western, west coast, di quel che succedeva in quegli anni: capaci di grandi canzoni e coretti contagiosi senza sconfinare in eccessivi impegni. E qualunque cosa ne pensiate, detentori del primato di vendite di un singolo LP sul mercato americano, con una raccolta del 1976.
Desperado
(Desperado, 1973)
La vita da fuorilegge, e quella da rockstar – eccessi, droghe e pistolettate – hanno un loro fascino e un loro senso, per un po’. Ma arriva un momento in cui “le cose che ti piacevano cominciano a far male”. “You better let somebody love you, before it’s too late”.
(Nella ripresa alla fine del disco, compare però un ripensamento: “maybe tomorrow”).
Doolin-Dalton
(Desperado, 1973)
Tutti sanno dei fratelli Dalton, la gang di fuorilegge che ha legato il suo nome ai miti dell’epopea western (se non altro per la citazione dei personaggi nei fumetti di Lucky Luke). Meno noto è il nome di Bill Doolin, dapprima con i Dalton e poi in proprio con la sua gang, dal nome invece più noto: il Mucchio selvaggio.
Gli Eagles la scrissero con Jackson Browne.
Already gone
(On the border, 1974)
Giro di chitarra superwestern e via con le motociclette sulla strada polverosa. Bella mia, mi dicono che vai in giro dicendo che sei stufa di me, ma sta’ bene a sentire, sai che c’è? Che io me ne sono già andato, e sai cosa? Mi piace anche parecchio. “Uh-uh-uuuh!”.
E ricordati questo: quando guardi il cielo puoi anche pensare di vedere le stelle, ma non è detto che tu veda la luce (che poi, come si sa, avviene il contrario).
Ol’ 55
(On the border, 1974)
Lo sapete che è di Tom Waits, vero? E lo sapete che nella versione di Tom Waits è tutta un’altra cosa, vero? Bene, anche questa se la cava, comunque, mentre il sole cala nel selvaggio west.
Hotel California
(Hotel California, 1976)
«Un reggae-rock spagnolo» lo definisce Glenn Frey. «Volevamo fare qualcosa che somigliasse a quello che facevano gli Steely Dan e inventarci qualcosa di cinematografico, con testi più originali». Beh, ci riuscirono, che diamine. Bumbum. La chitarra è tutto merito di Joe Walsh e il cielo gliene renda merito. Metafora di qualsiasi cosa: il successo, la droga, la follia. Somiglia assai a una precedente canzone dei Jethro Tull, “We used to know”. Per eventuali pellegrinaggi, l’hotel sulla copertina del disco è il Beverly Hills Hotel: 9641 Sunset Boulevard, Beverly Hills, California 90210.
Wasted time
(Hotel California, 1976)
Le probabilità che vi innamoriate di una ragazza fanatica degli Eagles al giorno d’oggi sono realisticamente limitate. Ma hai visto mai, qui si svolge anche una funzione di servizio. E allora non arrivate al primo appuntamento senza sapere a memoria le parole esatte di “Wasted time”, e soprattutto, al primo litigio, ripresentatevi solo con un ramo di palma e sulle note di “Wasted time”. Possibilmente a cavallo.
I can’t tell you why
(The long run, 1979)
La ballatona sentimentale degli Eagles. Loro litigano, e sono lì lì per lasciarsi ogni volta, ma poi restano. Non si sa come vada a finire, ma in fondo è un problema loro. O no?