Ora tra i Repubblicani è tutti contro tutti
Al dibattito elettorale di stanotte si sono attaccati anche i candidati che fin qui si erano ignorati, come Donald Trump e Ted Cruz: si giocheranno la vittoria alle primarie in Iowa
di Francesco Costa – @francescocosta
“Se vi piacciono le risse di strada tra pesi massimi, questo è stato il miglior dibattito fino a questo momento: i due combattenti Repubblicani dalle mascelle più robuste e dai ganci peggiori – Donald Trump e Ted Cruz – si sono finalmente scontrati dopo mesi di finta amicizia e colpi leggeri. E il texano caro ai Tea Party è rimasto in piedi, abbastanza da assorbire anche alcuni colpi di Marco Rubio”. Il sito di news Politico, specializzato nella politica statunitense, sintetizza così quanto è successo la sera di giovedì 14 gennaio – in Italia erano le prime ore di venerdì 15 – a North Charleston, in South Carolina, quando i candidati del Partito Repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti si sono confrontati in un dibattito televisivo organizzato da FOX Business. Le primarie stanno per iniziare – il primo febbraio in Iowa, pochi giorni dopo in New Hampshire – ma ci sarà ancora un altro dibattito prima del voto, il 28 gennaio a Des Moines.
La sintesi di Politico è particolarmente esatta: Donald Trump e Ted Cruz, i candidati più estremisti in corsa, fino a poche settimane fa si erano praticamente ignorati, per via delle poche differenze in termini di idee e proposte e anche nel tentativo di non irritare ognuno l’elettorato dell’altro, così da poterlo invece intercettare in caso di crolli del proprio avversario. Trump e Cruz erano andati anche oltre, facendosi complimenti e difendendosi a vicenda dagli attacchi degli altri. Oggi però le cose sono cambiate: i sondaggi dicono che in Iowa, i primi stati in cui si vota, Trump e Cruz sono nettamente i candidati più forti, e che competono per gli stessi elettori. Inoltre Cruz nelle ultime due settimane ha superato Trump, mettendo in discussione il suo dominio nella competizione, che va avanti ormai da molti mesi.
Donald Trump è un famoso imprenditore e personaggio televisivo statunitense, con interessi economici in molti settori e posizioni politiche particolarmente estremiste, espresse in modi spesso sboccati e sopra le righe; Ted Cruz è un senatore texano figlio di immigrati cubani, famoso al Congresso per avere su ogni tema la posizione più di destra possibile e per il pessimo carattere, tanto da avere cattivi rapporti con la gran parte dei Repubblicani stessi, oltre che naturalmente con i Democratici. I due si sono attaccati più volte nel corso del dibattito di stanotte, e non è semplice dire chi ha avuto la meglio.
Per esempio, Trump ha sostenuto che su Cruz pende «un grande punto interrogativo» per via del fatto che è nato a Calgary, in Canada, e quindi rischia che in caso di elezione qualcuno vada in tribunale a denunciarlo come ineleggibile alla presidenza. Cruz ha ribattuto ricordando che fino a pochi mesi fa Trump non considerava la questione un problema, e se n’è ricordato improvvisamente oggi perché è indietro nei sondaggi in Iowa.
La Costituzione statunitense prevede che possano essere eletti alla presidenza i “natural born citizen”, cioè i cittadini americani dalla nascita. La Corte Suprema (volutamente) non ha mai deciso di intervenire per spiegare meglio questo concetto, che quindi la grandissima parte dei costituzionalisti ha sempre inteso così: si devono intendere “natural born citizen” sia i nati negli Stati Uniti (chi nasce in America è americano dal momento della nascita) ma anche i nati all’estero da genitori americani: è il caso di Cruz, che è nato sì in Canada ma da genitori americani (il padre è un cubano naturalizzato statunitense) e quindi è americano dal momento della nascita.
Lo scambio insomma è stato vinto da Cruz, secondo la gran parte degli analisti politici, ma Trump si è rifatto poco dopo. Cruz ha criticato Trump accusandolo di non essere un vero conservatore per via della sua provenienza geografica: Trump ha «i valori di New York», ha detto Cruz, cioè «liberali dal punto di vista sociale, favorevoli ai matrimoni gay, concentrati sul denaro e sui media». Trump ha ribattuto segnando un gol a porta vuota: ha ricordato – con tono insolitamente e notevolmente intenso e pacato – che lo spirito dei newyorkesi e i loro valori sono quelli mostrati dopo gli attentati dell’11 settembre, in modo così convincente che Cruz lo ha persino applaudito.
Come ha scritto il New York Times, «è stato per molte ragioni il più cupo dibattito televisivo fin qui: i Repubblicani hanno dipinto nel modo più torvo possibile l’attuale situazione degli Stati Uniti, nonostante la crescita dell’economia e dell’occupazione. La ferocia espressa dai candidati sul palco rivela la pressione che avvertono a questo punto della campagna, che si sta ormai delineando in una lotta tra Trump e Cruz, in quanto candidati anti-establishment, seguiti da Rubio e Christie». La lotta fra Trump e Cruz infatti non è l’unica in corso tra i candidati: il senatore della Florida Marco Rubio e il governatore del New Jersey Chris Christie – insieme al governatore dell’Ohio, John Kasich, e all’ex governatore Jeb Bush – si stanno giocando un ruolo da leader tra i Repubblicani relativamente più moderati e mainstream.
Rubio ha accusato Cruz di non essere un vero conservatore, citando le volte che in Senato ha cambiato idea su questioni importanti come la riforma dell’immigrazione («Questa non è coerenza, questo è calcolo»), ma Cruz ha risposto senza troppa fatica. E quando Rubio ha cercato di riprendere la parola, Christie – famoso per i suoi metodi piuttosto bruschi – lo ha interrotto: «Hai avuto la tua possibilità, Marco. L’hai sprecata».
Questo scambio è esemplare un po’ dell’intero tono del dibattito: pochissima sostanza, moltissimi slogan e facce cattive. In pochissimi casi i candidati hanno effettivamente spiegato come intendono fare le cose che vogliono fare, e molto spesso non hanno nemmeno risposto alle domande dei moderatori, portando invece il discorso sui temi che preferivano e approfittando di ogni occasione per attaccare i loro avversari. Lo stesso Rubio infatti ha poi attaccato Christie accusandolo di avere in passato espresso posizioni favorevoli a una qualche forma di controllo delle armi e di aver approvato una contestata riforma dell’istruzione proposta dall’amministrazione Obama; il tema di fondo è insomma lo stesso anche tra i candidati più moderati, che non discutono tanto di chi ha le idee migliori ma di chi è un vero e puro conservatore.
Jeb Bush è stato «l’unico a parlare il linguaggio di un potenziale presidente», ha scritto Politico, «rappresentando sul palco la voce della realtà»: ma le sue possibilità di vittoria sono ormai molto magre, e così anche quelle di Kasich. Entrambi hanno la necessità di limitare i danni in Iowa e soprattutto ottenere un buon risultato – un terzo posto, come minimo – in New Hampshire, uno stato il cui elettorato Repubblicano tende a premiare più di altri i candidati con posizioni più ragionevoli. In questo momento in New Hampshire la media dei sondaggi recenti vede in testa Trump, seguito da Rubio e Kasich: ma mancano ancora parecchi giorni – da quelle parti si vota il 9 febbraio – e soprattutto manca il risultato del voto in Iowa, che rimescolerà molto le carte.