Una scena di “Il figlio di Saul”
Ha vinto il premio della giuria a Cannes, ha vinto ai Golden Globes e (dicono) dovrebbe vincere l'Oscar al miglior film straniero
Il figlio di Saul è un film ungherese che al festival di Cannes del 2015 ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria; ai Golden Globes è stato premiato come miglior film straniero ed è anche candidato agli Oscar del 2015 come miglior film straniero (e se ne parla come del film favorito per la vittoria). Il regista di Il figlio di Saul è l’ungherese László Nemes, che ha 38 anni ed è al suo primo lungometraggio da regista.
Il film è ambientato negli anni Quaranta e il protagonista è Saul Ausländer, un ungherese prigioniero ad Auschwitz che fa parte del Sonderkommando (il gruppo di prigionieri costretti ad assistere i nazisti). Tra le cose che Saul deve fare c’è anche svuotare le camere a gas, provvedendo a bruciare i corpi: gli capita di trovare un ragazzo ancora vivo. Il ragazzo viene ucciso dai nazisti ma Saul – che si convince che il ragazzo è suo figlio – vuole almeno garantirgli una sepoltura. Per farlo ha bisogno di un rabbino.
Il critico del Guardian Peter Bradshaw ha scritto che Il figlio di Saul sarebbe un film eccezionale in qualsiasi caso, ma considerando che è un’opera prima lo è ancora di più. Su The Verge Tasha Robinson ha scritto che «la vera innovazione di Il figlio di Saul sta nel suo essere efficacemente miope. I film sulle situazioni oppressive sono spesso definiti “angoscianti”, “da incubo”; Nemes, la sua co-sceneggiatrice Clara Royer e il direttore della fotografia Mátyás Erdély riescono a mostrare come ci si sente davvero in un incubo: «c’è una soggettiva sensazione di paura, il paesaggio che cambia sempre, la fluidità di situazioni che si basano sul terrore più che su una fissa realtà».