Obama come critico letterario
Si riparla di una lettera che scrisse a 22 anni alla sua ragazza dell'epoca, in cui commentava con una certa competenza la poetica di Thomas Stearns Eliot
Ogni tanto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama fa parlare anche per i suoi gusti e le sue competenze letterarie, come quando acquista i libri da regalare a Natale o per l’intervista fatta lo scorso ottobre alla scrittrice Marylinne Robinson per la New York Review of Books, una prestigiosa rivista letteraria statunitense. Sempre la New York Review of Books ha da poco pubblicato un commento che Obama scrisse su Thomas Stearns Eliot – poeta e drammaturgo statunitense naturalizzato britannico – ai tempi dell’università, quando aveva 22 anni: si trova in una lettera indirizzata alla sua ragazza dell’epoca, Alexandra McNear, che doveva consegnare un saggio sulla Terra Desolata, l’opera più rilevante di Eliot, per un corso universitario. La lettera è contenuta nella biografia Barack Obama: The Story scritta da David Maraniss e pubblicata negli Stati Uniti nel 2012, ed è stata riproposta sulla New York Review of Books da Edward Mendelson, che ci si è imbattuto mentre era impegnato in un saggio su Eliot.
Quando venne pubblicata nella biografia, la lettera fu molto commentata e alcuni critici diedero giudizi positivi altri condiscendenti, ricorda Mendelson. Aggiunge che le parole di Obama l’hanno colpito di nuovo perché «sono un buon esempio di criticismo letterario […] e mostrano in qualche modo perché vale la pena farlo». Obama scrive di rispettare e a volte condividere la visione conservatrice di Eliot, che nasce non da ignoranza ma da rassegnazione e fatalismo, dalla tragica convinzione che il mondo non può essere migliorato in alcun modo: una posizione molto diversa da quella, ricorda Mendelson, incentrata sulla speranza e sul cambiamento che Obama propose nella campagna elettorale del 2008, quando venne poi eletto presidente.
«Non leggo da più di un anno “La terra desolata”, e non ho mai letto tutte le note a piè di pagina. Tuttavia mi sento di poter dire una cosa: Eliot ha la stessa visione estatica che va da Münzer a Yeats. Nonostante questo ha mantenuto sempre un legame con la realtà sociale del suo tempo.
Affrontando quella che lui percepisce come una scelta tra un caos estatico e un ordine meccanicistico senza vita, riesce a mantenere una separazione tra la purezza asessuata e la brutale realtà sessuale. Per farlo la affronta con un atteggiamento stoico. Per farti capire di cosa sto parlando, leggi il suo saggio Tradizione e talento individuale e anche Quattro quartetti, dove è meno preoccupato di ritrarre l’Europa moribonda.
Come ti avevo detto, esiste un certo tipo di conservatorismo che rispetto più del liberalismo borghese, ed Eliot rientra proprio in questo tipo. Ovviamente la dicotomia che mantiene è reazionaria, ma è causata da un profondo fatalismo, non dall’ignoranza. (A differenza di Yeats o Pound, che nascendo in quell’ambiente decise di sostenere Hitler e Mussolini).
Questo fatalismo è nato dalla relazione tra la fertilità e la morte, di cui ho scritto nella mia ultima lettera: la vita si nutre di se stessa. Un fatalismo che a volte condivido con la tradizione occidentale. Sembravi sorpresa dall’inconciliabile ambivalenza di Eliot; non condividi anche tu questa ambivalenza, Alex?»