La borsa cinese va ancora male
Oggi nel giro di qualche minuto ha perso il 7 per cento e le contrattazioni sono state sospese per la seconda volta in pochi giorni: quali sono le ragioni
Giovedì 7 gennaio le contrattazioni alla borsa cinese sono state chiuse dopo 30 minuti dal loro inizio, dopo che le azioni avevano perso complessivamente il 7 per cento del loro valore. Le contrattazioni sono state sospese automaticamente una prima volta dopo 15 minuti di contrattazioni, quando l’indice CSI 500 aveva perso il 5 per cento; alla riapertura delle contrattazioni l’indice è arrivato a perdere il 7 per cento e le contrattazioni sono state sospese per tutta la giornata – come previsto da un meccanismo automatico – per evitare ulteriori perdite. Questa mattina l’indice CSI 300 ha perso in tutto il 7,2 per cento, il SSE il 7,3 per cento e lo Shenzhen l’8,3 per cento.
La sospensione è effetto di una misura automatica decisa a settembre, dopo la grave crisi finanziaria che ha colpito la Cina in estate: quando la Borsa perde più del 5 per cento le contrattazioni vengono automaticamente sospese per 15 minuti; se poi la perdita prosegue oltre il 7 per cento, viene attivata una sospensione di un giorno intero. Oggi questa misura è stata adottata per la seconda volta in assoluto, pochi giorni dopo la prima: era già successo il 4 gennaio, nel primo giorno di contrattazioni del 2016. Nella serata di giovedì l’autorità che regola la borsa cinese ha deciso di sospendere l’applicazione di questo meccanismo di sicurezza, che potrebbe aver contribuito a spaventare gli investitori impedendo al mercato di recuperare valore dopo le perdite.
Il grande calo della borsa cinese di questi giorni è dovuto probabilmente ai timori di molti azionisti sul rallentamento della crescita della Cina. Questa mattina, sorprendendo molti investitori, il governo cinese ha deciso di accelerare la svalutazione dello yuan, che è arrivato ai suoi livelli più bassi degli ultimi 5 anni: questo potrebbe aver spaventato gli investitori che temevano una gara al ribasso delle altre valute asiatiche concorrenti a quella cinese e potrebbe anche essere stato percepito come un segno di debolezza dell’economia cinese. Deprezzare una valuta aiuta a rendere più convenienti le esportazioni e quindi può essere uno stimolo per l’economia interna di un paese in caso di difficoltà.
Dopo la sospensione delle contrattazioni di oggi, l’autorità che regola la borsa cinese ha annunciato che i grandi azionisti non potranno vendere per 3 mesi a partire dal 9 gennaio più dell’uno per cento delle azioni di una determinata società. La decisione, che sostanzialmente è una proroga di quella già presa dopo il crollo delle borse dello scorso luglio, servirà a limitare ulteriori cali della borsa e a rassicurare i piccoli azionisti, che in Cina rappresentano quasi l’80 per cento di tutti gli scambi finanziari: se i grandi investitori dovessero cominciare a vendere in massa le loro azioni, la borsa crollerebbe.
Il rallentamento nella crescita della Cina
L’economia cinese è rallentata molto nell’ultimo anno: la crescita del PIL nel 2015 dovrebbe essere intorno al 6,9 per cento, mentre negli anni scorsi è stata sempre sopra il 7 per cento. Il rallentamento non è straordinario, visti i ritmi a cui è cresciuto il paese negli ultimi 10 anni, e si tratta comunque di cifre molto alte (in Italia si stima – e con un certo entusiasmo – che ci sia stata una crescita del PIL dell’1 per cento nel 2015). Lunedì sono stati diffusi ulteriori dati statistici che confermano il rallentamento dell’economia cinese: la produzione manufatturiera si è ridotta ulteriormente, per il quinto mese consecutivo. In realtà il dato è meno preoccupante di quello che sembra: la produzione manufatturiera è un settore con pochi lavoratori se paragonata con quella da servizi, che invece sta andando bene. La disoccupazione non dovrebbe essere un grosso problema nel 2016.