Perché i miliziani dell’Oregon non vengono chiamati “terroristi”?
Sarebbe andata così se le persone armate che hanno occupato un edificio del governo fossero state nere? O musulmane?
di Janell Ross - Washington Post
Da sabato 2 gennaio un gruppo di uomini armati sta occupando un edificio che appartiene al governo federale degli Stati Uniti nella periferia di Burns, una piccola città nel sud-est dell’Oregon. Gli occupanti sostengono di essere 150 – anche se i giornalisti sul posto parlano di numeri più bassi – e stanno protestando contro il governo americano, che secondo loro sta perseguitando due piccoli proprietari terrieri di Burns – Dwight L. Hammond e suo figlio Steven D. Hammond, accusati di aver appiccato fuochi in terre federali – e in generale opprime la popolazione e gestisce in maniera scorretta l’enorme quantità di terreni agricoli che possiede in tutto il paese.
Non tutte le persone che stanno partecipando alla protesta sono di Burns: il capo del movimento è Ammon Bundy, uno dei figli di Cliven Bundy, un proprietario terriero che l’anno scorso era stato protagonista di un famoso scontro con il governo in Nevada, quando insieme ad altre persone armate era riuscito a impedire che le autorità gli sequestrassero del bestiame per una vecchia questione di tasse non pagate. Da allora Bundy è uno dei simboli della destra radicale e libertaria, che vorrebbe eliminare la presenza del governo americano negli affari locali. I membri della milizia che sta occupando l’edificio a Burns hanno detto a Ian Kullgren, un giornalista dell’Oregonian, che sono pronti a uccidere e a morire, se necessario.
Il Washington Post ha chiamato le persone che stanno protestando a Burns “occupanti”. Il New York Times ha preferito “attivisti armati” e “membri di una milizia”. Associated Press ha scritto: “Una famiglia precedentemente coinvolta in uno scontro con il governo federale ha occupato un edificio in un rifugio per la fauna selvatica in Oregon e sta chiedendo a uomini armati di unirsi a loro”. Nessuno è sembrato propendere per termini come “insurrezione”, “rivolta”, “ribelli anti-governativi” o, come qualcuno li sta chiamando sui social network, “terroristi”. Quando un gruppo di cui non si conosce la capacità di fuoco prende il controllo di un edificio federale con un piano in mente, e magari anche l’attrezzatura necessaria per sostenere un’occupazione lunga anni, e quando i suoi rappresentanti dicono ai giornalisti che preferirebbero evitare la violenza ma sono pronti a morire, la delicatezza e la moderazione quasi unanimi usate nel linguaggio adottato per descrivere le persone coinvolte diventano esse stesse degne di nota.
È difficile immaginare che le parole menzionate prima – soprattutto “insurrezione” o “rivolta” – sarebbero state evitate anche nel caso in cui a prendere possesso di un edificio federale fossero stati un gruppo di americani neri, per protesta contro la polizia. Afroamericani che protestavano per la morte di un dodicenne per mano della polizia o per l’assenza di una condanna nel caso George Zimmerman, l’uomo che ha sparato e ucciso Trayvon Martin, sono stati spesso inaccuratamente definiti criminali e agitatori: descritti come gangster che, come aveva detto Don Lemon di CNN, “ovviamente” fanno uso di droghe. Se poi a prendere possesso di un edificio governativo – ma anche solo del suo atrio – fosse stato un gruppo di musulmani armati, magari per protestare contro le proposte di sorveglianza sugli islamici, è ancora più difficile pensare che avrebbero potuto evitare definizioni più dure e allarmiste. Per essere onesti con le persone dell’Oregon, è comunque vero che non ci sono notizie di episodi di violenza o di persone sequestrate. Inoltre, qualcuno forse potrebbe preferire usare molta cautela nel linguaggio per non infiammare la situazione o offendere persone che in certi casi hanno già dimostrato di avere problemi con la condanna di un padre e un figlio per incendio doloso secondo l’Antiterrorism and Effective Death Penalty Act del 1996: non è solo la sentenza a cinque anni a essere considerata ingiusta, è che dentro c’è anche la parola “terrorista”.
Per chi conosce Dwight Hammond Jr. e suo figlio Steven Hammond non c’è dubbio che non potrebbero tollerare nessuna decisione governativa che implicasse che le persone coinvolte nella faccenda di Burns siano terroristi. Ma non si può fare a meno di pensare dove vada a finire tutta questa indignazione, quando i dati indicano chiaramente è molto più probabile che ad affrontare pene severe per aver resistito a un arresto siano dei neri piuttosto che dei bianchi. Dov’era tutta questa moderazione e cautela nel linguaggio nel 2015, quando i neri disarmati avevano molte più probabilità di venire uccisi dalla polizia degli altri?
Anche Wajahat Ali, scrittore e avvocato esperto di Islam negli Stati Uniti, ha sostenuto sul Guardian una tesi simile: «Se vi dicessi che un uomo con la barba e il volto coperto ha postato un video sui social media esortando i suoi seguaci ad armarsi, lasciare le proprie case e spostarsi in un posto lontano, prendere il controllo di una proprietà governativa “finché necessario” e usare la violenza in caso di scontro con la polizia, probabilmente pensereste che io stia parlando dell’ultimo video di propaganda dell’ISIS», ha scritto. Secondo Ali, se 15 musulmani occupassero un supermercato probabilmente la polizia interverrebbe con armi e veicoli blindati per chiudere la faccenda in fretta. Ciononostante dopo l’11 settembre negli Stati Uniti sono state di più le persone uccise dal terrorismo di destra che da quello islamista: 48 contro 45. Questa tendenza è incrementata dopo l’elezione di Barack Obama, ma ciononostante, ha scritto Ali, il Dipartimento di Sicurezza Nazionale ha ignorato le segnalazioni su quanto la minaccia del terrorismo della destra radicale stesse crescendo. Secondo Ali è altamente probabile che il candidato Repubblicano alla presidenza Donald Trump non sarà severo con gli occupanti di Burns come lo è stato nei confronti dei terroristi musulmani, anche perché i primi sostengono alcune idee almeno in parte condivise dalla sua base elettorale: sono suprematisti bianchi, islamofobi, anti-governo e inclini a credere a teorie del complotto.
La scelta di essere cauti con le parole è sempre saggia e prudente, soprattutto quando si parla di proteste politiche. Ma sembra che quello che sta succedendo vada oltre tutto ciò. La descrizione degli eventi in Oregon sembra riflettere le nostre idee ormai interiorizzate sui rapporti tra etnia e grado di colpevolezza – o religione e violenza – negli Stati Uniti. Quasi sicuramente tutti i componenti della milizia in Oregon sono bianchi, anche se questo dato è stato citato pochissimo sui giornali: non è mai successo, però, quando le proteste erano in Missouri o in Illinois. Quando Dylann Roof sparò nella chiesa di Charleston, uccidendo nove persone, si dibatté a lungo se il suo fosse stato un atto di terrorismo o addirittura di razzismo violento: in confronto, in occasione della sparatoria a San Bernardino, diversi media iniziarono a parlare di estremismo islamico molto in fretta. Il fatto è che quando si parla di americani bianchi, le cose che fanno e le idee che sostengono sembrano sempre provenire da persone serie e di buoni principi, e le accuse nei loro confronti sono percepite come ingiuste: è evidente che certi gruppi di americani sono considerati colpevoli in partenza e predisposti alla violenza, mentre altri sono considerati giusti e pacifici fino a che non sono provocati.
© Washington Post 2015