Cosa succede tra Iran e Arabia Saudita
È stato un weekend molto agitato tra condanne a morte, ambasciate assaltate, dichiarazioni bellicose, relazioni diplomatiche interrotte, manifestazioni e proteste
I rapporti diplomatici tra Iran e Arabia Saudita – storicamente tesi e complicati – sono precipitati negli ultimi giorni, tra condanne a morte, dichiarazioni bellicose, ambasciate assaltate e proteste di piazza. Sabato 2 gennaio l’Arabia Saudita ha ucciso Nimr al Nimr, un importante religioso sciita che era stato condannato a morte. Il giorno dopo alcune decine di manifestanti hanno attaccato l’ambasciata dell’Arabia Saudita a Teheran. Il governo iraniano ha formalmente condannato l’Arabia Saudita e il responsabile dell’ambasciata a Teheran è stato convocato dal ministro degli Esteri iraniano. Domenica mattina l’ayatollah iraniano, Alì Khamenei, ha detto che sull’Arabia Saudita “calerà la vendetta divina”. Domenica sera l’Arabia Saudita ha interrotto tutte le relazioni diplomatiche con l’Iran, e lunedì hanno deciso di fare lo stesso anche il Bahrein – un piccolo paese a maggioranza sciita ma guidato da una monarchia sunnita – il Sudan e gli Emirati Arabi Uniti.
Surely, martyr #SheikhNimr will be graced by God & no doubt Divine revenge will seize oppressors who killed him & it is the point of relief.
— Khamenei.ir (@khamenei_ir) January 3, 2016
La folla che domenica ha attaccato l’ambasciata dell’Arabia Saudita in Iran cantava “morte alla famiglia al Saud”, la dinastia regnante in Arabia Saudita. I manifestanti sono anche riusciti a entrare in alcune stanze dell’edificio, dove hanno distrutto mobili e vetrate e dato fuoco ad alcune parti dell’edificio. La protesta è stata interrotta dall’arrivo della polizia, il personale dell’ambasciata è poi riuscito a spegnere le fiamme.
Nimr al Nimr è stato uno dei leader delle proteste della minoranza sciita in Arabia Saudita durante la “primavera araba”, tra il 2011 e il 2012. La prima cosa importante di cui tenere conto, infatti, è che l’Arabia Saudita è un paese a maggioranza sunnita, dove vige per legge una versione particolarmente severa e conservatrice della religione islamica. La minoranza sciita che vive nell’est del paese si sente spesso perseguitata e ha più volte protestato contro il governo centrale. Nimr venne arrestato nel 2012 dopo una di queste proteste, terminata in uno scontro a fuoco con la polizia in cui rimase ferito a una gamba. Lo scorso ottobre un tribunale saudita lo aveva condannato a morte con l’accusa di aver favorito gli interessi dell’Iran in Arabia Saudita.
L’Iran, invece, è un paese e maggioranza sciita ed è il principale rivale regionale dell’Arabia Saudita. I due paese si affrontano già in Siria e Yemen, dove sul campo combattono governi e movimenti ribelli finanziati dall’uno o dall’altro paese, e competono per avere influenza anche in Libano, Iraq e Afghanistan. In tutti questi paesi ci sono state proteste contro l’uccisione di Nimr, con manifestazioni di piazza e dichiarazioni di condanna da parte di religiosi sciiti e politici vicini all’Iran.
Le divisioni nell’Islam tra sciiti e sunniti risalgono alla morte del profeta Maometto, nel 632 d.c.: la maggioranza di coloro che credono nell’Islam, che oggi noi conosciamo come sunniti e che sono circa l’80 per cento di tutti i musulmani, pensavano che l’eredità religiosa e politica di Maometto dovesse andare ad Abu Bakr, amico e padre della moglie di Maometto. C’era poi una minoranza, oggi la minoranza sciita, che credeva che il successore dovesse essere un consanguineo del profeta: questo gruppo diceva che Maometto aveva consacrato come suo successore Ali, suo cugino e genero.
Il gruppo che riuscì a imporsi fu quello dei sunniti, anche se Ali governò per un periodo come quarto califfo, il titolo attribuito ai successori di Maometto. La divisione tra i due rami dell’Islam divenne ancora più forte nel 680 d.c., quando il figlio di Ali Hussein fu ucciso a Karbala, città del moderno Iraq, dai soldati del governo del califfo sunnita. Da quel momento i governanti sunniti continuarono a monopolizzare il potere politico, mentre gli sciiti facevano riferimento al loro imam, i primi 12 dei quali erano discendenti diretti di Ali.
Con il passare degli anni le differenze tra i due gruppi sono aumentate e oggi ci sono alcune cose condivise e altre dibattute. Tutti i musulmani sono d’accordo che Allah sia l’unico dio, che Maometto sia il suo messaggero, e che ci siano cinque pilastri rituali dell’Islam, tra cui il Ramadan, il mese di digiuno, e il Corano, il libro sacro. Mentre però i sunniti si basano molto sulla pratica del profeta e sui suoi insegnamenti (la “sunna”), gli sciiti vedono le figure religiose degli ayatollah come riflessi di dio sulla terra, e credono che il dodicesimo e ultimo imam discendente da Maometto sia nascosto e un giorno riapparirà per compiere la volontà divina. Questa differenza ha portato i sunniti ad accusare gli sciiti di eresia, e gli sciiti ad accusare i sunniti di avere dato vita a sette estreme, come gli wahabiti più intransigenti: tuttavia le due sette dell’Islam non hanno mai dato vita a una guerra delle dimensioni ad esempio della Guerra dei Trent’anni, che tra il 1618 e il 1648 mise le diverse sette cristiane una contro l’altra in Europa.
La rivalità tra sciiti e sunniti è iniziata a livello politico a partire dalla rivoluzione khomeinista in Iran del 1979, che ha portato alla cacciata dello scià iraniano, che fino a quel momento era stato tra le altre cose anche filo-americano, e all’instaurazione di una teocrazia islamica, sciita, in forte contrapposizione con tutti i paesi governati dai sunniti nel Golfo Persico. Dal 1979 le alleanze nella regione si modificarono, e i cambiamenti furono notevoli e con grandi conseguenze: si rafforzò l’inimicizia dei sunniti contro la cosiddetta “mezzaluna sciita”, che dall’Iran passa al regime alawita di Assad in Siria e arriva fino a Hezbollah in Libano.