Lo stato vuoto
Il Sudafrica sta sprofondando in una crisi politica ed economica che nessuno si aspettava dopo la fine dell'apartheid, scrive l'Economist, soprattutto per colpa del presidente Zuma
L’Economist ha pubblicato un lungo articolo sulla situazione del Sudafrica, un paese dell’Africa meridionale la cui storia recente è considerata tra le più rilevanti e importanti dell’intero continente. L’articolo dell’Economist si intitola “The hollow state”, traducibile in italiano con l’espressione “Lo stato vuoto”, ed è molto esplicativo di quale sia la tesi di fondo: il Sudafrica – che poco più di vent’anni fa elesse Nelson Mandela al ruolo di presidente, tra grandi speranze – sta attraversando oggi una grave crisi politica ed economica. Le istituzioni democratiche, faticosamente inserite nell’ordinamento sudafricano dopo la fine dell’apartheid, sono molto indebolite a causa delle controverse politiche del presidente Jacob Zuma, e la corruzione e la cattiva gestione delle imprese statali hanno compromesso l’economia nazionale.
Che le cose non stessero andando benissimo per il Sudafrica si era capito da tempo. Da qualche anno la stampa sudafricana si occupa periodicamente di alcuni scandali che sembrano coinvolgere anche il presidente Zuma: per esempio si è parlato molto di quello legato a un presunto uso illecito di soldi pubblici da parte di Zuma per costruire una residenza di lusso privata a Nkandla, nel Sudafrica orientale. Per quella storia, che fu ripresa molto anche dalla stampa occidentale, furono rimossi fisicamente dal Parlamento alcuni membri dell’opposizione. Nel giugno del 2015 il governo sudafricano fu criticato molto dalla comunità internazionale per avere permesso al presidente del Sudan, Omar al Bashir, di lasciare il paese nonostante due mandati di arresto della Corte penale internazionale contro di lui (Bashir è accusato di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio per il suo ruolo nel cosiddetto “conflitto del Darfur”) e nonostante un tribunale sudafricano avesse deciso diversamente.
Più di recente Zuma ha preso alcune decisioni che hanno cominciato a preoccupare anche i suoi alleati. Per esempio ha licenziato il suo rispettato ministro delle Finanze, Nhlanhla Nene, sostituendolo con un personaggio che l’Economist definisce «un oscuro parlamentare di secondo piano ed ex sindaco così impopolare che i suoi concittadini hanno bruciato la sua casa per protestare contro dei cambi a un confine provinciale». Il licenziamento di Nene è stato considerato un tentativo di prendere il controllo del Tesoro, una parte dell’apparato pubblico che si è opposta fermamente alle diffuse pratiche di corruzione, oltre che un attacco a una gestione prudente delle finanze: per esempio Nene si era opposto all’acquisto dalla Russia di alcune centrali nucleari che sarebbero costate l’equivalente di circa 65 miliardi di euro. Alla notizia del licenziamento di Nene, il valore della valuta sudafricana è diminuito del 9 per cento e i titoli di stato sudafricani sono crollati, facendo aumentare del 15 per cento il costo dei nuovi prestiti di denaro. Per rimediare Zuma ha licenziato il ministro delle Finanze appena nominato – l’oscuro parlamentare di cui sopra – e ha messo al suo posto Pravin Gordhan, che aveva ricoperto quel ruolo con competenza tra il 2009 e il 2014.
Uno dei problemi del Sudafrica di oggi, scrive l’Economist, è la progressiva scomparsa della distinzione tra partito di governo e istituzioni statali. Dalla fine dell’apartheid, decretata all’inizio degli anni Novanta dall’allora presidente sudafricano F. W. de Klerk, la politica del Sudafrica è stata dominata dall’African National Congress (ANC), movimento politico in cui Mandela militò all’inizio della sua carriera politica e di cui poi fu il leader indiscusso. Nel corso degli anni la mancanza di un’alternanza al potere ha creato le condizioni per un’ampia diffusione di pratiche di corruzione e clientelismo; le istituzioni indipendenti che erano state create per tutelare la democrazia sono finite per essere subordinate al potere del partito di governo. Uno dei casi più emblematici, scrive l’Economist, è quello di Eskom, la società statale che gestisce l’elettricità. Negli anni Novanta c’era un piano per la costruzione di nuove centrali elettriche, necessario per soddisfare la crescente domanda nazionale di elettricità. Quel piano non è stato mai realizzato, perché l’ANC ha sostituito i manager e gli ingeneri qualificati dell’azienda con nomine politiche, cioè con persone incapaci di gestire una società di quel tipo. Oggi in Sudafrica non sono rari black-out e interruzioni di elettricità.
In generale tutta la macchina statale è diventata insostenibile dal punto di vista economico. Gli stipendi dei funzionari civili – il cui numero è cresciuto del 25 per cento nell’ultimo decennio – sono aumentati molto più di quanto non abbia fatto l’inflazione, e più del 50 per cento delle entrate generato dalle tasse è pagato da meno del 5 per cento di coloro che dovrebbero pagarle. I problemi sono diffusi anche in altri settori della società sudafricana. L’Economist racconta per esempio della gestione dei soldi pubblici nelle scuole, dove sempre più presidi sono accusati di sottrarre soldi dai conti bancari statali provocando un abbassamento generale significativo del livello di istruzione in tutto il paese. Persino parte dei soldi destinati al funerale di Nelson Mandela sono spariti.
Finora Zuma ha mostrato di non essere in grado di risolvere i problemi del Sudafrica, e anzi sembra avere contribuito a peggiorare la situazione. Per esempio: dopo essere stato eletto presidente, nel 2009, Zuma ha cercato di indebolire la National Prosecuting Authority (NPA), l’ente che in Sudafrica si occupa di istituire procedimenti legali per conto dello stato e che già in passato aveva accusato Zuma di corruzione, frode, riciclaggio di denaro ed evasione fiscale. Zuma ha nominato a capo dell’NPA alcuni personaggi molto discutibili, bocciati anche dalla Corte Costituzionale del paese. Altri organi statali hanno avuto dei guai negli ultimi anni: per esempio la Commissione elettorale, l’organo che dovrebbe garantire il corretto svolgimento delle elezioni, è stato riconosciuto colpevole di avere appoggiato alcuni brogli nelle elezioni locali di due anni fa. Allo stesso tempo l’ufficio del “public protector”, un organo che si occupa di anti-corruzione, è stato svuotato di risorse e il suo capo, Thuli Mandonsela, è stato accusato dall’ANC di essere un “controrivoluzionario” e un agente della CIA.
I poteri attribuiti oggi al presidente sono notevoli, perché quando fu scritta la nuova Costituzione del Sudafrica la figura che si aveva in mente era quella di Nelson Mandela, un personaggio rispettato e a cui si voleva dare il potere di cambiare radicalmente le cose. Allo stesso tempo non furono attribuiti grossi poteri al Parlamento e fu introdotto un sistema di liste bloccate che lasciava grande discrezione ai capi dei singoli partiti: oggi i parlamentari dell’ANC sono molto riluttanti a criticare Zuma, che oltre a essere presidente è anche capo del partito. Le uniche vere opposizioni all’ANC sono il potere giudiziario (le cui nomine sono rimaste libere dalle interferenze del potere politico), la società civile e la stampa. Anche qui, comunque, i limiti della loro azione sono piuttosto evidenti: il governo sudafricano ha mostrato nel caso che ha coinvolto il presidente sudanese Bashir di poter ignorare la decisione di un tribunale nazionale, e di recente sono state introdotte nuove leggi molto restrittive nei confronti della stampa. Justice Malala, un giornalista ed ex attivista dell’ANC, ha descritto la situazione attuale del Sudafrica così: «Un giorno ti guardi attorno e realizzi che si è rotto tutto, che il tuo paese è stato rubato».