Le cose false e imprecise sulla surrogazione di maternità
Non c'entra niente con la legge sulle unioni civili in discussione al Parlamento e va distinta la questione della libertà di scelta da quella dello sfruttamento
di Giulia Siviero – @glsiviero
ProVita Onlus è un’associazione nata per promuovere «i valori della Vita, dal concepimento fino alla morte naturale, e della Famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna»: si oppone al diritto all’aborto, alle unioni omosessuali e – facendo insieme ad altre associazioni molta disinformazione a proposito della nuova legge di riforma della scuola – si è opposta alla cosiddetta “teoria del gender” «che nelle scuole si diffonde sempre di più e costituisce un vero e proprio esperimento perverso sulla pelle dei bambini». Come spiegato anche qui, sul tema continua a esserci molta confusione. Nella riforma chiamata “La buona scuola” non c’era alcun “emendamento gender” e la stessa “teoria gender” non esiste.
Da qualche mese, ProVita Onlus si sta occupando di un altro disegno di legge e di un’altra questione: la legge sulle unioni civili in discussione in Parlamento – la legge Cirinnà – e la maternità surrogata (che l’associazione chiama “utero in affitto”). Per esempio ha pubblicato sul Foglio del 24 dicembre un appello a papa Francesco:
Nell’appello si dice che in “questo ricco Occidente” ci sono “bambini che nascono in una ricca clinica” ospiti “a pagamento nell’utero di una donna che non conosceranno mai” e che ci sono “povere donne” utilizzate come “contenitori”. Si dice anche che “il parlamento si appresta a promuovere questa pratica disumana” e che “molte femministe” si stanno opponendo a tutto questo.
L’ultima affermazione è vera. All’inizio di dicembre è uscito su Repubblica un articolo intitolato “Femministe contro la maternità surrogata: Non è un diritto”, che presentava un appello del movimento di donne “Se non ora quando” contro la cosiddetta pratica dell’utero in affitto. Qualche mese prima un manifesto simile era stato firmato da alcune femministe francesi. Ma sono solo “alcune” femministe ad opporsi alla pratica e all’interno del movimento femminista ci sono molte e diverse posizioni, alcune delle quali rivendicano la libera scelta delle donne a precise condizioni. Il tema, poi, non fa parte al momento dell’agenda politica del Parlamento: la legge sulle unioni civili in discussione in Parlamento non riguarda la maternità surrogata. Le due questioni, che nell’appello vengono sovrapposte e fatte coincidere, si riferiscono a due concetti diversi: la libera scelta delle donne e il loro sfruttamento.
Intanto: che cos’è
La “surrogazione di maternità” (o gestazione per altri o gestazione d’appoggio, GDA) è il procedimento per cui una donna mette a disposizione il proprio utero e porta avanti la gravidanza per conto dei committenti, che possono essere single o coppie, sia eterosessuali che omosessuali. Esistono diversi tipi di surrogazione: da quella tradizionale, che prevede l’inseminazione artificiale dell’ovulo della madre surrogata, che è quindi anche madre biologica del bambino; a quella gestazionale, in cui la madre surrogata si limita a portare avanti la gravidanza dopo che le viene impiantato nell’utero un embrione realizzato in vitro, che può essere geneticamente imparentato con i genitori committenti o provenire da donatrici.
Le legge sulle unioni civili non si occupa di maternità surrogata
Uno dei punti più discussi della proposta di legge sulle unioni civili è l’articolo 5, in cui si parla della stepchild adoption. La stepchild adoption – che in inglese significa letteralmente “l’adozione del figliastro” – è la possibilità che il genitore non biologico adotti il figlio, naturale o adottivo, del partner. In Italia è già prevista per le coppie eterosessuali sposate da almeno tre anni o che abbiano vissuto more uxorio (“secondo il costume matrimoniale”, cioè in sostanza convivendo) per almeno tre anni ma siano sposate al momento della richiesta. Non è quindi valida per le coppie omosessuali, non essendo riconosciuto il matrimonio né altre forme di unione per le persone gay.
La legge Cirinnà, nella sua ultima versione, esclude l’applicabilità dell’istituto dell’adozione legittimante: per le coppie dello stesso sesso unite civilmente non sarà possibile adottare bambini che non siano già figli di uno dei componenti della coppia. Tutta la discussione attorno al cosiddetto “utero in affitto” che la legge Cirinnà si appresterebbe “a promuovere” è basata su premesse che non esistono: il ddl non dice nulla a riguardo, lasciando quindi in vigore i divieti della legge 40 del 2004.
Come funziona in Italia
La legge 40 sulla procreazione assistita – ormai completamente svuotata da una serie di sentenze e giudizi di vario grado – si occupa di surrogazione di maternità all’articolo 12, quello sui divieti generali e sanzioni, e dice:
«Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».
È illegale praticare o pubblicizzare la GDA in Italia. Tuttavia, con una sentenza considerata storica, chi in Italia volesse praticare la surrogazione – o qualsiasi altra tecnica di procreazione assistita vietata dalla legge 40 – in uno stato che invece la consente, e poi tornare in Italia, può essere dichiarato legittimo genitore, anche se non ha alcun legame biologico con il figlio. La sentenza che ha stabilito in linea di massima questo principio riguarda il caso Paradiso e Campanelli del 27 gennaio 2015: i genitori avevano procreato il figlio (nato nel 2011) con l’utero in affitto di una donna russa. La madre committente era sterile: dopo il fallimento di vari tentativi di fecondazione omologa, era ricorsa a questa pratica usando i gameti del marito e l’ovulo della gestante. Sull’atto di nascita, redatto a Mosca, il bambino risultava figlio della coppia che ne aveva chiesto la trascrizione in Italia. Il consolato italiano a Mosca, sospettando la maternità surrogata, aveva trasferito il fascicolo al procuratore generale di Campobasso e al tribunale dei minori, che aveva deciso di dichiarare lo stato di abbandono e di adottabilità del bambino. Da qui era nato un caso giudiziario piuttosto complicato che si è concluso con una sentenza a favore dei genitori della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha stabilito che c’era stata un’illecita interferenza dello stato italiano che aveva arbitrariamente negato la trascrizione.
E “nel ricco Occidente”?
Sulla questione della “surrogazione di maternità”, in quello che ProVita Onlus chiama “ricco Occidente”, ci sono poi diverse legislazioni. In alcuni paesi la surrogazione è vietata: oltre all’Italia, anche in Francia, Germania o Finlandia. In altri la maternità surrogata è sostanzialmente non regolata: non è esplicitamente vietata ma spesso sono proibiti, e puniti penalmente, gli accordi che prevedono dei pagamenti, mentre sono accettate le maternità “altruistiche”, quelle in cui sono previste solo cifre che rimborsino le spese sostenute dalle donne per la gravidanza. Si tratta di Argentina, Australia (nel Nord), Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Irlanda, Giappone, Paesi Bassi, Venezuela, alcuni stati statunitensi.
(Come funziona la maternità surrogata)
Ci sono poi degli stati in cui la surrogazione è espressamente permessa e regolata in modo molto chiaro: in questo gruppo rientrano gli stati in cui è previsto un contratto prima che la donna resti incinta (Grecia, Israele, Sudafrica e, parzialmente, la Nuova Zelanda e l’Australia) e stati in cui le condizioni dell’accordo sono verificate dopo la nascita del bambino (Regno Unito e altri). Infine ci sono degli stati con un approccio permissivo e che consentono un pagamento esplicito: India, Russia, Thailandia, Uganda, Ucraina e alcuni stati degli Stati Uniti.
Libera scelta o sfruttamento?
Le differenze tra paesi sono molte. In generale, possiamo affermare che nei paesi in cui la maternità surrogata è chiaramente normata le regole sono piuttosto severe per la selezione delle madri surrogate, per evitare che la loro scelta sia legata al bisogno economico: si richiede per esempio un certo livello salariale o che abbiano già dei figli; i compensi servono soprattutto a coprire le spese legate alla gravidanza e comunque non sono molto alti: in molti casi, infine, la rinuncia ai diritti di madre da parte della portatrice può avvenire solo dopo il parto.
Ci sono paesi (che non rientrano nel “ricco Occidente”) in cui invece quella della surrogazione di maternità è una pratica molto redditizia e che viene intrapresa da molte donne, non tanto come una libera scelta ma per necessità economiche. In India la pratica è legale dal 2002, anche se ha subìto limitazioni nel 2013: ha costi molto bassi e a differenza di altri paesi, non è previsto che, una volta firmato l’accordo, le madri naturali possano rivendicare dei diritti.
La Thailandia, un altro paese verso il quale era molto consistente la pratica del cosiddetto “turismo della surrogazione”, ha introdotto delle restrizioni all’inizio di quest’anno. Lo scorso febbraio il governo ha approvato in via definitiva una legge che vieta agli stranieri di pagare le donne thailandesi per portare avanti gravidanze surrogate; la legge stabilisce pene fino a dieci anni di carcere per chi trasgredisce, vieta anche l’uso di intermediari e qualunque tipo di pubblicità e promozione a favore della pratica. Possono invece ricorrere alla maternità surrogata le coppie composte da almeno un thailandese e sposate da almeno tre anni. Le donne disposte ad affittare il loro utero devono avere più di 25 anni, essere sposate, avere almeno già un figlio e sottoporsi alla surrogazione con il consenso del marito: non possono però essere pagate.