Che cos’è la “Grande muraglia verde”
Da anni 11 paesi africani lavorano a una striscia di alberi lunga quasi ottomila chilometri, che dovrebbe attraversare il continente e fermare la desertificazione
Il 40 per cento della superficie africana è soggetto a desertificazione, cioè la trasformazione in deserto di ambienti naturali semiaridi o aridi. La desertificazione è una conseguenza dei cambiamenti climatici, e secondo l’ONU entro il 2025 due terzi delle terre coltivabili africane potrebbero diventare desertiche. Le conseguenze della desertificazione in Africa coinvolgono circa 500 milioni di persone e consistono, tra le altre cose, in frequenti tempeste di sabbia e diminuzione delle piogge. In Senegal, per esempio, la stagione delle piogge un tempo cominciava a luglio o agosto: ora non arriva prima di settembre.
Questo ha conseguenze molto gravi sull’agricoltura, e aumenta il rischio di carestie nelle popolazioni che vivono nelle zone interessate dalla desertificazione. Per provare a contrastare questa tendenza, nel 2005 l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo propose il progetto della “Grande muraglia verde”: 11 stati africani – Senegal, Gibuti, Eritrea, Etiopia, Sudan, Chad, Niger, Nigeria, Mali, Burkina Faso e Mauritania – stanno lavorando per creare una striscia di alberi lunga quasi ottomila chilometri e larga quindici che colleghi la costa atlantica africana a quella che dà sull’Oceano Indiano, per impedire che la zona soggetta a desertificazione si sposti sempre più a sud e per rendere di nuovo coltivabili delle aree diventate troppo aride.
Il progetto, finanziato dalla Banca Mondiale e sostenuto dall’ONU, è stato accettato nel 2007 dall’Unione Africana (un’organizzazione che comprende 54 stati africani) e da allora gli stati coinvolti hanno iniziato a piantare gli alberi. Il Senegal è lo stato che sta contribuendo maggiormente alla realizzazione della “Grande muraglia verde”: ha già piantato più di 12 milioni di alberi su una superficie di circa 40mila ettari. Il New York Times ha scritto che il Senegal è diventato il paese leader del progetto e ha anche creato un’agenzia nazionale dedicata. Dal 2008 ci sono 400 persone lavorano ogni anno da maggio a giugno alla selezione e alla preparazione dei semi, che vengono piantati in agosto da circa duemila persone, in tempo per la stagione delle piogge. Per i primi sei anni gli alberi – che sono di sei diverse specie, tra le quali ci sono datteri e acacie – vengono protetti dagli animali con delle recinzioni, e le superfici sulle quali vengono piantati gli alberi sono delimitate da strisce incolte, per proteggerli dagli incendi e permettere il passaggio del bestiame. In casi di emergenza – gli anni di maggiore siccità – viene concesso agli allevatori di portare i propri animali a pascolare nelle zone recintate.
La “Grande muraglia verde” ha già iniziato a invertire parzialmente la tendenza all’impoverimento del suolo nelle zone dell’Africa sub-sahariana dove sono stati piantati nuovi alberi, migliorando le condizioni degli agricoltori. L’obiettivo però, secondo molti scienziati, non è tanto fermare fisicamente la desertificazione ma più costruire un “muro metaforico” per migliorare le condizioni di vita di certe zone. La riuscita del progetto è minacciata dall’instabilità politica di molte aree attraverso le quali dovrebbe passare la “Grande muraglia verde” – il Mali, per esempio – e dalla povertà delle popolazioni che ci vivono. Il geografo Gray Tappan ha spiegato al Guardian che spesso progetti del genere falliscono perché gli abitanti del posto lo considerano con diffidenza o indifferenza: potrebbero per esempio decidere di usarlo come pascolo anche senza averne il permesso.
Gli 11 stati coinvolti nel progetto, poi, hanno la responsabilità sul proprio segmento di “muraglia”, e eventuali negligenze individuali potrebbero influenzare l’efficacia complessiva del progetto. Alla conferenza sul clima di Parigi che si è conclusa lo scorso 13 dicembre il presidente francese Francois Hollande ha detto che entro il 2020 la Francia aumenterà a un miliardo di euro all’anno i suoi investimenti contro la desertificazione e i cambiamenti climatici in Africa, finanziando tra le altre cose anche la “Grande muraglia verde”.