Quanto durano i libri
In libreria si trovano soprattutto i best seller del momento, mentre per i testi meno recenti bisogna cercare su Amazon o nelle librerie indipendenti
di Giacomo Papi
Una convinzione diffusa tra chi lavora nel mondo dei libri è che la vita dei bestseller si sia accorciata: un tempo i libri di successo non si consumavano così in fretta. I bestseller erano di tre tipi: quelli che partivano fortissimo e poi calavano lentamente, assestandosi per molti mesi su un numero di copie abbastanza alto da rimanere in classifica, e quelli che partivano piano e si diffondevano lentissimamente attraverso il passaparola. Oggi l’impressione quasi unanime è che le cose siano cambiate: quelli del primo tipo si esauriscono più in fretta e quelli fondati sul passaparola sono sempre più rari.
In compenso nell’ecosistema dei libri, sembra comparsa una terza temibile specie, quella dei «libri-fiammata». Sono titoli o serie per lo più destinate a bambini e adolescenti che vendono tantissimo ma per brevissimo tempo, consumando in poche settimane quello che un tempo avrebbero venduto in mesi di permanenza in libreria. Tra questi ci sono Shadow hunters di Cassandra Clare, i libri gadget come quelli di Peppa Pig e Masha e Orso, e libri su cui le case editrici puntavano molto che si sono spenti prima del previsto, non si sa se per un generale mutamento del mercato o per le caratteristiche intrinseche dei libri in questione.
La sensazione diffusa è che i libri stiano diventando più effimeri, come se l’andamento tipico dei volumi per bambini e ragazzi – “Young Adult”, li chiamano quelli dell’editoria – che divorano le mode in fretta per sostituirle con altre, si stesse propagando anche tra quelli per adulti, in una sorta di “adolescentizzazione” del mercato. Da merce durevole – forse la più durevole in assoluto – il libro starebbe diventando deperibile come ogni altra per affondare nei forsennati ritmi di ricambio imposti dal mercato.
Cosa dicono le classifiche
In mancanza di statistiche e studi specifici sulla permanenza in libreria, abbiamo confrontato le classifiche Nielsen dei primi 100 libri venduti nella stessa settimana – la prima di ottobre – negli anni 2008, 2010, 2012 e 2015. (Nielsen e GFK sono le principali società di rilevazione del settore dei libri) La scelta è caduta su ottobre – settimana numero 40 –, perché è un periodo di vendite medie che non risente ancora del Natale – quando si vende di più – e ha finito di scontare agosto – quando si vende di meno. Abbiamo escluso i tascabili – che beneficiano di un secondo lancio e quindi falsano le classifiche di durata – e tutti i libri firmati AA.VV., autori vari, che in gran parte sono Manuali scolastici, dizionari o libri gadget per bambini o usciti sulla scia di film di successo.
Una prima osservazione immediata è che tra i primi 100 libri, la quota di quelli usciti non nell’anno in corso rimane stabile: 17 nel 2008, 16 nel 2010, 18 nel 2012 e 17 nel 2015. Per quanto riguarda le settimane di permanenza in classifica, le cose si fanno più complicate. Ma un indicatore si può ricavare dalla somma delle settimane di pubblicazione dei libri in classifica, perché statisticamente indicano – pur con una certa approssimazione – la durata di ogni libro in questione, e quindi spesso del suo successo (è raro che un libro entri in classifica molto dopo l’uscita). Il valore dei libri usciti nella prima settimana di ottobre è fissato a 40 (la prima settimana di ottobre, infatti, è la quarantesima), quello dei libri usciti la prima di gennaio è 1: significa che quanto più alta sarà la somma delle settimane di pubblicazione dei primi 100 libri in classifica, tanto più recenti mediamente saranno i libri di successo. Il risultato è abbastanza stabile e, comunque, non indica una tendenza. Nel 2008 questa somma è 2364, nel 2010 2561, nel 2012 2294 e nel 2015 2560. In media – tra 2008 e 2014 – la permanenza in classifica dei libri nella Top 100 è rimasta più o meno invariata.
La vita dei libri medi
Per i libri che vendono bene, insomma, non è cambiato molto. L’ipotesi è che la sensazione diffusa che la merce-libro sia più effimera si debba probabilmente al fatto che si è accorciata l’aspettativa di vita dei libri medi, di quella larghissima fascia di titoli che fino a dieci anni fa potevano contare su un ciclo di vita più lungo grazie a una migliore accoglienza in libreria. La diminuzione del tempo di permanenza in libreria comporta il crollo delle probabilità di vendere e restare. Anche per i libri, insomma, sta forse scomparendo la classe media. Anche per questa ipotesi non esistono statistiche e analisi specifiche: bisogna affidarsi ai dati dell’AIE, l’Associazione Italiana Editori, e della GFK, la società che oggi cura le classifiche dei libri per la maggior parte dei quotidiani e a cui si affidano quasi tutti gli editori italiani.
Nel 2006 i titoli pubblicati sono stati 61mila – 38 mila novità e 24 mila catalogo – per un totale di 268 milioni di copie stampate. Nel 2008, i titoli sono calati a 58 mila – 37 mila novità – ma le copie sono scese a 213 milioni, quasi 50 in meno che due anni prima. Nel 2011 i titoli sono risaliti a 64 mila – 39mila novità – ma il numero di copie è rimasto invariato a 213milioni. Gli editori si sforzano di fare lo stesso fatturato dell’anno precedente, pubblicando più libri ma abbassando le tirature. Nel 2013, stesso numero di titoli: 64mila. Minimo calo nel 2014: 61mila. Più o meno gli stessi che verranno pubblicati nel 2015, visto che nei primi mesi ne sono stati pubblicati 30.961. Dal 2006 al 2014, insomma, il numero di titoli pubblicati in Italia è rimasto sostanzialmente stabile, oscillando tra i 6,6 libri usciti ogni ora del 2008, ai 6,9 del 2006 e 2014, ai 7,3 del 2011 e 2013. A diminuire drasticamente è stato il numero di copie complessivo e, quindi, medio. «Complessivamente», scrive AIE nel 2011, «oggi si stampano 53,9 milioni di copie in meno di varia rispetto al 2000», quando erano 270 milioni. I dati della Gfk sono diversi – presentano numeri molto più contenuti – ma raccontano la stessa identica storia: nel 2009 la tiratura complessiva è stata di circa 100 milioni di copie, nel 2011 è calata a 93 e nel 2014 a 87. È vero che il calo è stato in parte compensato dalla crescita degli eBook (nel 2011 solo il 28,8 dei titoli venivano pubblicati anche in digitale, mentre oggi sono più dell’87 per cento), ma si tratta di un’emorragia quantificabile in 2-3 milioni di copie perse all’anno, che sta cambiando in profondità il ciclo di vita dei libri.
Un meccanismo inceppato
Non è facile capire quando il meccanismo abbia iniziato a ingolfarsi. Ma è almeno dal 2008 che il mercato è intrappolato in un circolo vizioso sempre più ingarbugliato da cui non riesce a uscire: le persone comprano meno libri, quindi i librai ordinano meno libri, quindi gli editori stampano meno libri, quindi le persone comprano meno libri e così via all’infinito. L’unica certezza, infatti, è che meno si stampa e meno si vende. Più nel dettaglio il ciclo è il seguente: la massa dei titoli straccioni si accalca sui banconi per conquistare visibilità, mentre schiere di librai si dannano per rimandare indietro quelli che non iniziano a vendere immediatamente, e si precipitano a riordinare i pochi che partono che però si esauriscono subito perché, per prudenza, ne hanno ordinate poche copie. Allora gli editori si affannano a ristamparli, ma i libri sono cose lente e calme, e mentre i librai imprecano contro la mancanza di coraggio degli editori – coraggio che è mancato a loro per primi nel fare ordini – i libri vengono ristampati, rilegati, incollati, copertinati, inscatolati, caricati sui camion e consegnati. Ma intanto sono passati 15-20 giorni durante i quali i banconi delle librerie si sono affollati di nuovi titoli. Avviene spesso che quando le ristampe ritornano in libreria, il momento buono sia passato e la gente se ne sia dimenticata.
L’altro effetto collaterale è che, siccome la pressione è tanta e lo spazio è poco, le librerie di catena hanno incominciato a erodere il catalogo, sbarazzandosi di vecchi saggi e romanzi che vendono poche copie all’anno, ma che rappresentano le fondamenta di ogni libreria che si deve basare su un equilibrio tra novità e catalogo. Le grandi librerie ufficialmente lo negano, ma gli editori – soprattutto i piccoli e medi – sono concordi nel dire che da un paio di anni è terminato il riordino automatico dei loro cataloghi. In effetti trovare vecchi libri, per esempio nelle Feltrinelli, ormai non è più così scontato. Le conseguenze sono due. La prima è che le librerie indipendenti – che possono curare meglio il rapporto con i clienti, e garantiscono ai piccoli e medi editori una maggior cura dei loro vecchi libri – hanno avuto una possibilità prima preclusa (e infatti crescono). La seconda è che Amazon – che ormai consegna quasi in giornata e può contare su un assortimento pressoché infinito – ha incominciato a esercitare un dominio incontrastato sul catalogo. Un modello per uscirne potrebbe essere quello della catena di libreria inglesi Waterstone, che è uscita dalla crisi smettendo di ordinare tutte le novità, per privilegiare i libri in grado di dare a ogni punto vendita una identità e fisionomia.
Perché gli editori fanno tanti libri
La scelta degli editori di fronte alla crisi è stata di continuare a pubblicare lo stesso numero di titoli per mantenere intatta la propria visibilità in libreria e il proprio potere nei confronti delle grandi catene, ma anche per non diminuire le possibilità di imbroccare il libro giusto, quello che venderà e che salverà i conti dell’anno in corso. Però, diminuendo drasticamente le tirature, gli editori hanno fatto diminuire anche le possibilità di ogni libro di diventare il bestseller sperato. I libri assomigliano alle fiches dei casinò: meno si punta, meno probabilità si ha di vincere. Quella degli editori è una strategia di sopravvivenza: se si punta una fiche su ogni numero della roulette, il numero giusto uscirà di sicuro, ma compenserà appena la cifra puntata sui numeri che non sono usciti. Se gli editori hanno abbassato le tirature, però, non è tanto per ragioni industriali perché stampa e confezione incidono sul costo finale per meno del 10 per cento e avviare le macchine è molto meno costoso che in passato. È che stampare più copie significa avere costi più alti di distribuzione, magazzino, resa e macero. E una delle regole auree dell’editoria è che l’editore guadagna se riesce a esaurire la tiratura, al costo di rinunciare a stamparne altre per sperare di venderne più. Non è un fenomeno soltanto italiano. Frédéric Martel, autore di Smart, intervistato dalla Lettura, dice: «In Francia pubblichiamo tra 70 mila e 80 mila libri all’anno, una quantità enorme, la metà novità, le altre riedizioni. Il che significa comunque dieci libri all’ora (…) il numero degli esemplari venduti è stabile, e la tiratura media si è abbassata del 50 per cento. Vuol dire concretamente che se hai un aumento del numero dei titoli e il dimezzamento della tiratura, per definizione il singolo autore guadagna meno. Molti titoli oggi si fermano intorno ai 600-700 esemplari, libri che non portano soldi agli autori e che in più sono generalmente invisibili alla critica».
Perché le librerie diminuiscono gli ordini e aumentano le rese
Le librerie ordinano meno copie per ragioni finanziarie, non economiche. I librai, infatti, pagano agli editori tutti i libri che ricevono, ma se non riescono a vendere tutte le copie, le rimandano all’editore che le sconta dagli acquisti successivi. Il problema è che per il riaccredito possono passare 120 giorni, durante i quali la libreria rimane esposta finanziariamente avendo speso soldi che non ha ancora incassato. Per questo la regola aurea delle librerie è che la rotazione minima di sopravvivenza deve essere di almeno tre volte all’anno: significa che almeno ogni 4 mesi il magazzino – e quindi i banconi – deve completamente rinnovarsi. Per questo – pur pagando solo i libri che riesce a vendere – ogni libreria deve stare attenta a non comprare troppa merce, altrimenti rischierebbe di entrare in una spirale che potrebbe portarla al fallimento. Per mantenere stabile la rotazione, l’unica leva, oggi, è agire su ordini e rese. Se il mercato cala, si vende di meno, quindi la rotazione rallenta. Per mantenerla stabile, il libraio deve rendere di più e ordinare di meno, anche se questo comporta tirature minori da parte degli editori, rifornimenti più lenti e, in conclusione, vendite più basse. Comporta soprattutto, per la gran massa dei libri medi, una durata minima in libreria, insensata rispetto alla fatica e ai costi di stampa e di distribuzione sostenuti da autori ed editori. Amazon rimarrà l’unico spazio dove un libro può sopravvivere e trovare lettori.
Alcuni librai dicono che per spezzare il circolo vizioso e rimettere in moto il mercato, basterebbe iniziare pagare in conto deposito, quindi, soltanto i libri che effettivamente si sono venduti (cosa che potrebbe già accadere sottobanco tra piccoli editori e librerie indipendenti). In questo modo, però, il rischio ricadrebbe interamente sugli editori, che sarebbero costretti a stampare a proprie spese, per di più senza garanzie sul fatto che i librai – che a quel punto non rischiano più niente – si impegnino davvero a vendere i libri che ricevono. Pe altri le cose dipendono dallo strapotere di Messaggerie, il maggior distributore italiano, che cura così tante case editrici da non essere più in rado di informare adeguatamente i librai sulle novità in uscita, favorendo ordini standard e poco differenziati. Ma sono voci che, come si sa, in scenari di crisi si liberano. Una possibilità potrebbe essere agire sui tempi o sui metodi di pagamento, in modo da spezzare il ciclo vizioso. Un’altra sarebbe intervenire su logistica o distribuzione, cercando metodi per farli diventare meno costosi e più veloci. Per editori e librerie è il momento di inventare qualcosa di nuovo.