I migranti maschi e le donne
In Norvegia il governo finanzia corsi per spiegare agli immigrati come funzionano in Europa leggi e codici sociali sui rapporti tra uomo e donna
Da alcuni anni in Norvegia sono stati avviati dei corsi riservati ai migranti maschi, per insegnare loro i codici sociali che regolano i rapporti tra uomini e donne in Europa. Si tratta di incontri di formazione ed educazione sessuale che hanno l’obiettivo di prevenire la violenza contro le donne e aiutare le persone che provengono da paesi e società in cui le donne sono fondamentalmente prive di qualsiasi libertà e diritto ad adattarsi e integrarsi nel loro nuovo paese. Il governo norvegese sta valutando i risultati di questi particolari programmi per decidere se continuare a finanziarli, ma intanto sono diventati un argomento di discussione e sperimentazione anche altrove: in Danimarca il governo vorrebbe includere insegnamenti del genere nei corsi di lingua obbligatori per i rifugiati; a Passau, in Baviera, Germania, si stanno sperimentato lezioni simili con alcuni gruppi di migranti adolescenti.
Il New York Times racconta per esempio la storia di Abdu Osman Kelifa, un richiedente asilo musulmano di 33 anni proveniente dall’Eritrea, e della sua esperienza una volta arrivato in Europa: improvvisamente Kelifa ha visto donne con abiti che non nascondevano il corpo o il viso, donne che bevevano alcol, fumavano e si baciavano in pubblico, comportamenti che nella società conservatrice da cui proveniva potevano assumere solo le prostitute. Kelifa si è offerto volontario per partecipare a uno di questi programmi a Sandnes, città vicino a Stavanger. «Temendo di stigmatizzare i migranti come potenziali stupratori» e di fare il gioco dei partiti che si oppongono all’immigrazione e all’accoglienza, la maggior parte dei paesi europei ha evitato fin qui di affrontare la questione. Il New York Times spiega però che con più di un milione di richiedenti asilo in arrivo quest’anno in Europa, un numero sempre maggiore di politici e anche di attivisti stanno organizzando corsi di insegnamento sulle norme e i codici sociali tra sessi in Europa.
Nina Machibya, direttrice del corso seguito da Kelifa, ha spiegato che l’obiettivo è che i partecipanti conoscano «almeno la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato». Gli incontri sono volontari, costruiti come discussioni libere con un supervisore. C’è anche un manuale a disposizione, che parte con lo spiegare una semplice regola: forzare qualcuno a fare sesso non è consentito in Norvegia, anche quando si è sposati a quella persona. Viene affrontata la questione delle differenze religiose, spiegando che in Norvegia «non è la religione che guida le leggi» e che qualsiasi sia la fede di una persona, quella persona deve rispettare le regole e le leggi del paese. Si parla di “onore”, del fatto cioè che quello che è considerato onorevole in alcune culture è punibile e illegale in altri paesi d’Europa, e si insegnano a leggere correttamente i segnali sociali che potrebbero essere fraintesi (una donna libera non è una donna a disposizione, innanzitutto).
La Norvegia ha avviato questi programmi a livello nazionale attraverso il proprio dipartimento per l’Immigrazione nel 2013, collaborando con una fondazione che lavora sulla violenza contro le donne. Il governo ha fornito finanziamenti per due anni per pagare gli interpreti e ora sta esaminando i risultati di questi corsi per decidere se estendere il proprio sostegno. «Il pericolo più grande per tutti è il silenzio», ha detto Per Isdal, uno psicologo che collabora al progetto: molti rifugiati «provengono da culture in cui non c’è la parità di genere e in cui le donne sono una proprietà degli uomini. Dobbiamo aiutarli ad adattarsi alla loro nuova cultura».
Il primo di questi programmi è stato avviato a Stavanger – importante centro dell’industria petrolifera norvegese, che ha attirato negli anni molti migranti – dopo una serie di stupri commessi tra il 2009 e il 2011. Henry Ove Berg, capo della polizia di Stavanger durante quegli anni, ha spiegato di aver sostenuto il progetto spiegando che c’era un possibile collegamento tra i casi di stupro e le comunità di migranti della città. Secondo la televisione di stato, NRK, che ha esaminato i documenti del tribunale, tre dei venti uomini ritenuti colpevoli di quelle violenze erano nati in Norvegia, mentre gli altri erano stranieri.
L’affermazione che i rifugiati e gli immigrati in generale siano “inclini” a commettere stupri è diventata uno slogan usato dagli attivisti anti-immigrazione di tutta Europa, con la presentazione di volta in volta dei vari casi come prova della loro tesi, e non tiene conto dei dati e della realtà (in Italia, per esempio, già nel 2007 l’ISTAT diceva che l’85 per cento della violenza sulle donne avveniva in casa). La Norvegia, come la maggior parte dei paesi europei, non costruisce le statistiche sulla criminalità per etnia o religione. Un rapporto ufficiale del 2011 precisava che «i migranti erano sovra rappresentati nelle statistiche criminali» semplicemente perché erano giovani: «Non dovrebbe essere sorprendente il fatto che i gruppi con alte percentuali di giovani maschi abbiano tassi di criminalità più elevati rispetto ai gruppi con grandi proporzioni di donne anziane», dice il rapporto.
Se non è possibile stabilire un collegamento statistico chiaro tra la violenza sessuale e i migranti maschi, è comunque evidente che su questo tema esistono grosse differenze culturali tra l’Europa e i paesi da cui proviene la gran parte dei rifugiati. Kelifa, per esempio, ha spiegato che fa fatica ad accettare il fatto che in Norvegia una moglie possa accusare il marito di violenza sessuale, ma anche che ha imparato a leggere in modo corretto cose che prima considerava sconcertanti: donne con una gonna corta, che sorridono o che semplicemente camminano da sole di notte per la strada.
I responsabili dei programmi governativi norvegesi non parlano naturalmente dei migranti come di predestinati a compiere crimini, ma come di persone che hanno bisogno di aiuto per far fronte a un ambiente nuovo e a loro alieno. Un programma simile a quello governativo, sviluppato da una società privata chiamata Hero Norge che gestisce una serie di centri per rifugiati nel paese, ha pubblicato un manuale in cui presenta un personaggio di fantasia chiamato Arne, nativo norvegese, come modello di comportamento predatorio. Il personaggio principale è un ragazzo immigrato di 27 anni di nome Hassan, che rappresenta invece il modello positivo.