“Star Wars: Il risveglio della Forza” è un film femminista
Per l'efficacia e indipendenza della protagonista, che per esempio tira fuori dai guai i personaggi maschili del film in più occasioni
Uno dei personaggi più discussi di Star Wars: Il risveglio della Forza – il settimo film della saga fantascientifica di Star Wars – è quello interpretato dall’attrice britannica Daisy Ridley, che recita la parte della protagonista Rey: una ragazza che vive da sola su un pianeta desertico e che lavora come commerciante di rottami di astronavi. Il personaggio di Rey è stato apprezzato molto per la sua sostanziale indipendenza dai personaggi maschili e per la sua completezza: come ha sintetizzato efficacemente Casey Cipriani su Buste, «Rey è l’eroina femminista che tutti stavamo aspettando». Anche per il fatto che il Risveglio della Forza passa il cosiddetto Test di Bechdel – che “misura” l’indipendenza dei personaggi femminili in ciascun film – diversi giornali hanno scritto che Star Wars è un film femminista. Le argomentazioni migliori sono state fatte da Megan Garber, che ne ha parlato sull’Atlantic in un articolo intitolato “Star Wars: Il risveglio del Femminismo”.
(occhio, da qui in poi ci sono diversi spoiler)
Garber elenca alcuni punti chiave della trama, spiegando che Rey non si trova mai in situazioni classiche da damigella-in-difficoltà, e che anzi tira fuori dai guai i coprotagonisti del film in più occasioni grazie alle sue conoscenze da pilota e a una notevole destrezza nelle arti marziali. Secondo Garber, Rey «si comporta allo stesso tempo da guerriera, persona premurosa e desiderosa di sopravvivere». Garber avverte che Rey potrebbe rientrare in un altro stereotipo: quello della Protagonista Femminile Tosta di certi film americani, ma aggiunge che Rey sembra «qualcosa di più semplice, eppure più significativo: una donna che rifiuta di essere definita in quanto donna». Scrive Garber:
La trama del Risveglio della Forza ruota attorno alle straordinarie abilità fisiche di Rey. Il film prende anche gentilmente in giro i personaggi che dubitano di queste abilità: Finn, in particolare, cerca di continuo di fare il cavaliere in situazioni dove atteggiamenti del genere sono completamente fuori luogo. Durante un combattimento contro i soldati del malvagio Primo Ordine, si affretta a raggiungere Rey nel tentativo di salvarla, salvo poi accorgersi che lei ha già eliminato i soldati che l’avevano attaccata. Ancora: mentre sono inseguiti dal Primo Ordine, Finn le prende la mano. Lei reagisce urlando «sono capace di correre anche se non mi tieni per mano». E poco dopo: «piantala di prendermi la mano». Quando Finn le chiede se sta bene dopo un altro scontro con i cattivi, lei gli lancia un’occhiata come a dire perché-non-dovrei-stare-bene, e risponde semplicemente «sì».
Garber sottolinea che anche il suo aspetto fisico e i suoi vestiti – che non cambiano mai per tutto il film – vanno nella stessa direzione del suo personaggio: «sono gli stessi vestiti che potrebbero indossare anche l’imperatrice Furiosa di Mad Max o Jessica Jones dell’omonima serie tv di Netflix [cioè due personaggi definite da alcuni come “femministe”] se si trovassero a dover sopravvivere su un pianeta desertico. Sono un simbolo di praticità e resistenza alle difficoltà, ma non sono neutri: la cintura esalta il girovita di Ridley, mentre la tunica che la copre fino alle spalle ricorda quella delle dee greche». Quanto all’aspetto estetico, Rey non indossa mai del trucco visibile, per tutto il film ha i capelli legati in una coda e spesso appare sudata e coi capelli arruffati. Garber ammette che Rey/Daisy Ridley «è bella, ma siamo pur sempre a Hollywood. E dopo tutto la sua bellezza è mostrata come puramente accidentale».
Negli anni, tutti film di Star Wars hanno avuto dei personaggi femminili “forti” e rilevanti: in pochi si sono stupiti quando mesi fa si è saputo che il protagonista della nuova trilogia sarebbe stata una giovane ragazza. Nella “vecchia” trilogia uscita fra il 1977 e il 1983 il personaggio femminile più rilevante era quello della Principessa Leia – interpretata dall’attrice Carrie Fisher – che ai tempi venne considerata un’icona femminista perché rispondeva agli uomini in maniera irriverente, sparava ai cattivi e comandava interi plotoni di soldati. Nel secondo e nel terzo film della serie, però, il personaggio di Leila diventa secondario e legato soprattutto alla storia d’amore con Han Solo. Si può dire lo stesso di Natalie Portman, che nella trilogia di prequel uscita fra il 1999 e il 2005 interpretava la parte della regina di un piccolo pianeta pacifico, Padme Amidala. Nel primo film veniva mostrata come una politica risoluta e molto tosta, ma più avanti il suo personaggio si indeboliva fino a diventare rilevante solamente in funzione della sua storia d’amore con Anakin Skywalker, il futuro Darth Vader.
Garber non ha un’opinione negativa di Leia e Padme, ma dà una spiegazione piuttosto originale delle loro caratteristiche: entrambe riflettono un’idea di femminismo che nel 2015 è un po’ datata.
Leia, avvolta o da una lunga veste bianca o da un bikini metallico, rifletteva i turbamenti del movimento femminista di allora. Combatteva e lusingava. Come Leia, anche Padme era coperta o da vesti molto spesse o da una maglietta che le lasciava fuori l’ombelico. Sono simboli di un’epoca in cui non si capiva ancora se femminismo e femminilità potevano coesistere pacificamente. Entrambe sapevano sparare, va bene. Entrambe però si comportavano da damigelle, e spesso avevano bisogno di essere salvate – da Han Solo la prima, da Anakin la seconda. Rimbalzavano fra due estremi, fra l’emancipazione e l’oggettificazione, passando poco tempo nel mezzo dello spettro.
Al contrario, aggiunge Garber, Rey «è un personaggio che arriva in un’epoca in cui il femminismo-come-stile-di-vita sta rimpiazzando il femminismo-come-movimento. Il femminismo di Rey non è urlato, non è insistente, non è palese. Semplicemente esiste, cosa molto più potente».
Su The Verge, Tasha Robinson ha fatto notare un altro punto importante: se tutti i personaggi femminili rilevanti come Rey fossero «senza paura e senza difetti», verrebbe fuori una rappresentazione ugualmente stereotipata e un po’ irreale: «i personaggi [femminili] più affascinanti e apprezzabili sono quelli che devono affrontare un sacco di difficoltà prima di diventare degli eroi: non come Rey, che per natura è brava in tutto quello che fa». Allo stesso tempo secondo Robinson il personaggio di Rey dev’essere accolto positivamente, anche dalle femministe più scettiche su un’eroina così “perfetta”. Scrive Robinson:
Non ci preoccuperemmo dell’eccessiva perfezione di Rey se si chiamasse Ray, e fosse un maschio bianco con tutte le doti che nel film appartengono a una ragazza. Quindi la cosa più sovversiva, radicale e femminista che il mondo culturale può fare è accogliere e apprezzare il personaggio di Rey, al posto che mettere in dubbio il suo diritto ad essere perfetta, e il nostro diritto a sentirci rappresentati da lei. Quando mettiamo in dubbio la “figaggine” e competenza di una protagonista donna, stiamo incoraggiando la sgradevole tendenza a mettere in dubbio le nostre stesse abilità. L’impulso a criticare Rey viene dalla stessa parte di noi che ci fa dire: «sto perdendo la mia femminilità, facendomi sentire così forte, diventando così aggressiva e sicura di me? Devo abbassare i toni? Devo meritare di essere ascoltata?»
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