Nove risposte sull’accordo in Libia
Aiuterà a combattere l'ISIS? Fermerà il flusso dei migranti verso l'Italia? Ci sarà un intervento militare internazionale? Una guida per capire una delle crisi più gravi del 2015
Giovedì 17 dicembre i due parlamenti che si dividono il controllo della Libia hanno firmato un accordo per formare un governo di unità nazionale mediato dall’ONU, con l’appoggio dell’Italia e di altri 16 paesi. L’accordo è stato accolto con ottimismo dai leader politici che l’hanno promosso, ma secondo molti esperti, come Mattia Toaldo, ricercatore dell’ECFR e uno dei principali esperti di Libia, rischia di essere difficile da implementare. Abbiamo messo insieme nove domande – e nove risposte – per capire qualcosa di più dell’accordo e delle sue possibilità di successo.
1. Com’era la Libia prima dell’accordo?
Dalla primavera del 2014, la Libia è divisa tra due governi rivali che competono per la supremazia nel paese. L’assenza di un forte potere centrale ha permesso a molte milizie e gruppi terroristici di conquistare e amministrare diversi territori in autonomia rispetto ai due governi. Uno dei gruppi che più si è imposto è lo Stato Islamico (o ISIS), che nella città di Sirte ha la sua base più forte fuori da Siria e Iraq. Il caos in Libia ha anche direttamente influenzato il numero di migranti che dalle coste libiche arrivano in Italia e ha danneggiato la produzione libica di petrolio e gas naturale, di cui l’Italia è uno dei principali importatori. La vicinanza tra l’Italia e la Libia e i molti interessi italiani hanno fatto sì che il governo di Matteo Renzi fosse uno dei più forti sostenitori dell’accordo di giovedì.
2. Cosa prevede l’accordo?
La formazione di un “consiglio presidenziale” formato da nove persone, ognuna esponente delle molte fazioni che si dividono il potere. Il “consiglio presidenziale” svolgerà collettivamente le funzioni di capo di governo e dovrà, a sua volta ed entro i prossimi 40 giorni, nominare i singoli ministri.
3. Chi ha firmato l’accordo?
Qui cominciano i problemi. Alla cerimonia della firma erano presenti circa 200 tra deputati dei due parlamenti, sindaci e leader tribali. Erano assenti i presidenti dei due parlamenti, che si sono entrambi dichiarati contrari all’accordo e i capi di molte milizie. In sostanza l’accordo è stato firmato soltanto da alcuni dei leader politici che detengono effettivamente il potere in Libia.
4. Il “consiglio presidenziale” riuscirà ad insediarsi a Tripoli?
Il “consiglio presidenziale” dovrà cominciare le difficili trattative per nominare i singoli ministri. Il passo successivo sarà cercare un modo per insediarsi a Tripoli, la capitale del paese. Non è affatto semplice, perché la città è nelle mani di molte milizie armate, alcune delle quali sono esplicitamente contrarie all’accordo. Nell’ultima settimana, a Tripoli ci sono stati scontri tra gruppi armati che fanno presagire quanto sarà difficile l’insediamento del nuovo governo. Al momento, il generale italiano Paolo Serra sta conducendo per conto delle Nazioni Unite dei colloqui con i leader delle milizie per cercare di trovare un accordo che permetta l’insediamento del governo.
5. L’accordo aiuterà a combattere l’ISIS?
Un governo unitario e non più paralizzato dagli scontri tra fazioni potrebbe affrontare l’ISIS con maggiore efficacia. Secondo le stime più diffuse, lo Stato Islamico in Libia dispone di appena tremila combattenti sparsi su un territorio molto ampio. Al momento, però, le priorità del nuovo governo sono altre: la prima è insediarsi a Tripoli e riunificare le varie fazioni libiche, un processo che potrebbe durare ancora mesi. Soltanto dopo sarà possibile affrontare l’ISIS.
6. L’accordo aiuterà a combattere l’immigrazione?
Vale lo stesso discorso: al momento il governo libico ha altre priorità.
7. Ci sarà un intervento militare internazionale?
Subito dopo la firma degli accordi, il governo britannico ha detto che è pronto a inviare fino a mille uomini in Siria come parte di una spedizione internazionale composta da seimila militari. Ha anche lasciato intendere di essere pronto a iniziare degli attacchi aerei contro l’ISIS. Anche il governo italiano, e in particolare il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, ha spesso ribadito che l’Italia è pronta a inviare militari in Libia e negli ultimi mesi sono filtrate anche delle cifre: circa quattromila militari.
Non sembra però che un intervento militare possa iniziare a breve. C’è bisogno innanzitutto di una richiesta ufficiale da parte del governo libico che in questi giorni è già stato accusato di essere poco più di una pedina delle potenze europee. Richiedere l’aiuto occidentale per insediarsi a Tripoli rischia di alimentare la propaganda delle fazioni ostili all’accordo. Mandare truppe a Tripoli senza un accordo con le milizie locali, inoltre, significherebbe inviare i militari in una missione di combattimento che potenzialmente potrebbe causare molte perdite.
8. Qual è lo scenario migliore?
Nella migliore delle ipotesi, il “consiglio di presidenza” riuscirà a nominare un governo abbastanza inclusivo da soddisfare una fetta significativa delle varie fazioni libiche e il generale Serra riuscirà a raggiungere un accordo con le milizie di Tripoli per permettere al nuovo governo di insediarsi nella capitale. A quel punto, Italia e altri paesi europei potrebbero inviare in Libia una missione con compiti di addestramento militare e per mettere in sicurezza i porti, contribuendo così agli sforzi del governo locale per combattere l’ISIS e controllare il flusso dei migranti.
9. E quello peggiore?
Nello scenario peggiore, gli accordi di giovedì non cambieranno la situazione attuale. Se il nuovo governo non riuscisse a insediarsi a Tripoli è probabile che le fazioni contrarie all’accordo nominino un loro nuovo governo. A quel punto ci saranno nuovamente due governi che si dividono il paese e, sostanzialmente, sarà necessario ricominciare tutto daccapo.