15 anni di gattini in bottiglia
Una delle più famose bufale di internet – la storia dei "gatti bonsai" – cominciò a circolare nelle ultime settimane del 2000, e poi arrivò ovunque
Nelle ultime settimane del dicembre di 15 anni fa iniziò a diventare piuttosto famoso online BonsaiKitten.com, un sito che pubblicizzava un sistema per fare crescere in bottiglia i gatti. Era uno scherzo – discutibile – ma nei suoi primi anni di esistenza fu preso sul serio da moltissime persone e testate in giro per il mondo, che dedicarono alla storia articoli e commenti molto severi circa la pratica inumana di fare crescere un animale in bottiglia. Come dice il sito di Paolo Attivissimo, le segnalazioni della burla divennero consistenti a partire dal 18 dicembre 2000 su forum di vario tipo, ma il sito era probabilmente online già da qualche giorno, come indicato dalla registrazione del dominio che risale al 10 dicembre 2000; Wikipedia indica come data di lancio del sito il 22 dicembre.
La bufala dei gattini allevati sotto vetro ebbe una vita piuttosto lunga: a più di un anno dal lancio del sito, per esempio, Repubblica dedicò un preoccupato articolo alla vicenda con il titolo “Quei mici condannati a crescere in bottiglia”, descrivendo la “vetrina dell’orrore” mostrata nel sito.
Nel 2001 Luca Sofri, peraltro direttore del Post, aveva però già raccontato la bufala con questo articolo pubblicato proprio da Repubblica.
Ecco la storia dei gattini bonsai. Molti la conoscono già, perché hanno ricevuto almeno una volta dei messaggi e-mail che la raccontano. La storia è questa: un sito web chiamato Bonsai Kitten offre in vendita ai navigatori un prodotto originale e rivoluzionario, mici che restano sempre cuccioli dopo essere stati cresciuti in vasi di vetro. “Una forma d’arte, che permette creazioni illimitate e personali come quella dei bonsai vegetali”. Il sito è complesso e ben costruito. Aprendolo si viene accolti da un lamentoso miagolio pigolante. Alcune foto mostrano la produzione delle merci viventi, di cui si spiega il metodo. Quando hanno ancora poche settimane di vita, i gattini hanno le ossa ancora molto morbide e malleabili. Introducendoli in contenitori di vetro di vario genere, si può adattare la loro crescita alle forme desiderate e mantenerli di dimensioni ridotte e gradevoli, una volta rotto il contenitore. Il metodo è raccapricciante a dirsi e a vedersi, ed è illustrato da consigli altrettanto spregevoli su come liberarsi dei gatti morti, come gestirne le feci, eccetera.
A dicembre il sito ha conquistato qualche notorietà, tramite il passaparola. Naturalmente, nel giro di pochi giorni, ha scatenato un diluvio di reazioni indignate che hanno attraversato tutto il web. Alcune associazioni animaliste hanno scoperto che era ospitato sul server del Massachusetts Institute of Technology e ne hanno ottenuto la chiusura. Ma dopo pochi giorni le pagine sono resuscitate altrove. A quel punto, una ricerca più accurata ha mostrato che tutta la storia dei gattini bonsai era una bufala. Se l’era inventata uno studente del MIT in vena di goliardiche provocazioni web, costruendo l’idea e – si spera, ma non è stato chiarito – creando le illustrazioni al computer. Ma, come è normale, l’incredibile si propaga più rapidamente del credibile, e lo scandalo per la agghiacciante trovata si è moltiplicato per tutta la rete. Per quanto mendaci, pagine e testi sono effettivamente odiosi e crudeli, e gli amanti dei gatti su internet sono agguerritissimi.
Dieci giorni fa il sito è stato segnalato con scandalo da un quotidiano italiano, ignaro che si trattasse di un falso, benché la rete ospiti diversi articoli che lo spiegano. E così la catena delle e-mail che invitano a boicottarlo, distruggerlo, mandare petizioni, eccetera, si è scatenata anche da noi. Nel frattempo, dopo che il sito è stato chiuso ancora e di nuovo riaperto su un altro server, negli Stati Uniti la questione ha preso pieghe criminali. L’FBI di Boston ha lanciato un’indagine cominciando con un’ingiunzione al MIT di consegnare ogni informazione sull’autore. E la battaglia ha fatto un salto di qualità, Da una parte è nato un gruppo di fans della burla e della libertà di espressione in rete, che irride il delirio da political correctness” che avrebbe infettato anche l’FBI e invoca il Primo emendamento. Dall’altra schiere di visitatori inviperiti che, ignari o no del falso, depositano messaggi e insulti sul sito e chiamano alla protesta.
Evidentemente i sostenitori della bufala sono i primi entusiasti dell’agitazione che ha provocato. Come avviene con le catene di Sant’Antonio online che annunciano virus inesistenti, o telefonini gratuiti, o grandi complotti Microsoft, cercare di interromperle è come svuotare l’oceano con un secchiello. Si spengono e poi risorgono dal computer del primo ignaro benintenzionato che vi si imbatte a distanza di mesi. L’anno passato circolò diffusamente una richiesta di aiuto medico vera – per una ragazzina che risaliva a due anni prima, e il problema era già affrontato e risolto. Ma intanto una nuova ondata di aiuti e segnalazioni si era mossa. La storia della piccola Jessica, invece era falsa: l’American Society of Cancer diffuse una nota in cui avvisava di non mandare soldi per curarla da un tumore all’indirizzo che circolava via e-mail. La società di telefonia Ericsson dovette pubblicare, sempre l’anno passato, una smentita ufficiale a una falsa offerta promozionale che prometteva cellulari in regalo e che stava infestando la rete. Un documento contraffatto riferito ai responsabili TotalFina che suggeriva come mettere a tacere la verità sull’affondamento della nave Erika e la sua marea nera, suscitò un putiferio in Francia. La storia dei gattini bonsai mostra che i livelli di creatività e sgradevolezza stanno crescendo rapidamente, e non la diffidenza. Aspettiamoci il peggio.