Le ultime su Volkswagen
La discussa soluzione per le auto con i motori truccati è stata approvata in Europa, ma i problemi negli Stati Uniti restano: e l'indagine interna finora non ha scoperto molto
di Andrea Fiorello – @andreafiorello
L’autorità federale tedesca per i trasporti (KBA) ha approvato le correzioni tecniche proposte dal gruppo automobilistico tedesco Volkswagen per modificare i suoi motori diesel truccati, che da settembre sono al centro dello scandalo cosiddetto “dieselgate”. Le soluzioni proposte da Volkswagen dovrebbero riportare i livelli di emissioni di ossidi d’azoto (NOx) delle auto interessate entro i limiti europei ed eliminare il software che modificava il funzionamento dei motori in fase di test perché emettessero meno inquinanti. I motori coinvolti dalla correzione di Volkswagen sono i turbodiesel 1.2, 1.6 e 2.0 della famiglia EA189: gli aggiustamenti sono validi solo per le auto del gruppo a marchio Audi, Seat, Skoda e Volkswagen vendute in Europa. Queste modifiche, quindi, non si applicano ai motori truccati dei modelli venduti negli Stati Uniti e in Canada, dove i limiti alle emissioni di NOx sono più rigidi e dove una soluzione ufficiale non è ancora stata trovata.
Le misure correttive proposte da Volkswagen consistono in un aggiornamento del software di gestione del motore per tutte e tre le unità turbodiesel, cui si aggiunge per il solo 1.6 TDI l’installazione di uno “stabilizzatore di flusso” – un tubo di plastica lungo una decina di centimetri con una griglia al suo interno – davanti al misuratore della portata d’aria; quest’ultimo è uno strumento che misura la quantità d’aria aspirata dal motore e serve a calibrare correttamente la miscela di aria e carburante necessaria per la combustione. Secondo Volkswagen lo stabilizzatore di flusso riduce le turbolenze, permettendo al misuratore di valutare in maniera più accurata la quantità d’aria in entrata per una maggiore efficienza della combustione.
Volkswagen dichiara che l’intervento in officina sui motori 1.2 e 2.0 richiederà meno di mezz’ora di lavoro, mentre per le due operazioni da eseguire sul 1.6 TDI sarà necessario un tempo inferiore all’ora. Volkswagen sostiene che queste soluzioni non avranno effetti negativi su prestazioni o consumi, che saranno valide in tutta Europa e che, una volta aggiornate, le sue auto rispetteranno gli standard in vigore sulle emissioni. Non è chiaro in che modo questa sia possibile: se regolarizzare i motori delle auto non comporta una perdita di potenza o un aumento dei consumi, perché Volkswagen avrebbe dovuto truccare i motori con un’operazione su scala così grande? Diversi esperti del settore sono perplessi – per usare un eufemismo – di fronte alla possibilità che uno scandalo di queste proporzioni si possa risolvere con un aggiornamento al software e un tubo di plastica, ma solo quando sarà possibile effettuare dei test indipendenti sulle auto si capirà se e quanto cambiano consumi e prestazioni.
La campagna di richiamo delle auto inizierà a fine gennaio 2016 e sarà divisa in fasi: per i motori 2.0 TDI interessati l’aggiornamento è previsto dal primo trimestre del 2016, alla fine del secondo trimestre saranno richiamati i modelli che montano il motore 1.2 TDI e dal terzo trimestre 2016 cominceranno gli interventi sui motori 1.6 TDI. Secondo il comunicato, con una prima lettera i proprietari delle auto interessate saranno informati che è previsto un intervento sulla loro vettura, mentre con una seconda lettera sarà richiesto al cliente di fissare un appuntamento presso un’officina autorizzata Volkswagen a sua scelta per eseguire le modifiche. Per evitare disagi ai propri clienti durante l’aggiornamento dei motori truccati, Volkswagen fornirà “appropriate soluzioni di mobilità sostitutive in forma gratuita”.
Gli altri problemi di Volkswagen
I discussi interventi annunciati da Volkswagen, comunque, riguardano solo uno dei fronti dello scandalo in cui il gruppo è coinvolto dallo scorso 18 settembre, quando l’agenzia federale statunitense per la protezione ambientale (EPA) accusò Volkswagen di aver barato nei test di omologazione sulle emissioni e di aver venduto negli Stati Uniti migliaia di auto che, di fatto, inquinavano fino a 40 volte più di quanto permesso.
Dopo l’accusa dell’EPA di aver venduto negli Stati Uniti 482mila auto con motori truccati che emettevano più NOx del consentito, Volkswagen aveva ammesso di aver installato un particolare software che riusciva a ingannare i test sulle emissioni inquinanti e che il problema non riguardava solo gli Stati Uniti, ma coinvolgeva 11 milioni di auto a livello globale – di cui 8,5 milioni in Europa – dotate dei motori della famiglia EA189. Le conseguenze iniziali di queste ammissioni sono state molto pesanti: in borsa le azioni Volkswagen hanno subito forti perdite e lo scandalo ha portato alle dimissioni del CEO Martin Winterkorn – sostituito dall’ex CEO di Porsche, Matthias Mueller – e alla sospensione di alcuni dirigenti ai vertici del gruppo. Volkswagen ha anche annunciato di aver accantonato 6,7 miliardi di euro per eventuali multe o interventi futuri decisi dall’EPA e, in un momento successivo, di avere ridotto di un miliardo di euro (circa l’8 per cento) i propri investimenti del prossimo anno.
Il 2 novembre l’EPA ha esteso l’accusa di essere dotati di sistemi per ingannare i test sulle emissioni anche ad alcuni modelli più potenti del gruppo a marchio Audi, Porsche e Volkswagen, che montano il motore diesel 3.0 V6. Inizialmente Volkswagen ha respinto le nuove accuse, ma pochi giorni dopo ha sospeso la vendita sul mercato americano dei modelli coinvolti. Questo secondo scandalo coinvolge circa 85mila auto vendute dal 2014 e riguarda uno dei tre dispositivi ausiliari di controllo delle emissioni (AECD) il cui funzionamento non è stato adeguatamente descritto all’EPA e che l’agenzia ha poi identificato come un “defeat device”, cioè un software in grado di abbassare illegalmente i livelli di emissioni inquinanti in fase di test. La scorsa settimana il CEO di Audi Rupert Stadler ha detto che il gruppo ha trovato una soluzione per adeguare i motori diesel 3.0 V6 alle normative americane con un semplice aggiornamento del software e che la modifica è in attesa di approvazione da parte delle autorità statunitensi.
Il giorno dopo le accuse dell’EPA riguardanti i motori 3.0 V6 venduti negli Stati Uniti, Volkswagen ha ammesso di avere altri guai: questa volta le auto coinvolte dovevano essere 800mila – vendute in prevalenza in Europa – e il problema riguardava i dati ufficiali relativi a consumi ed emissioni di anidride carbonica (CO2) di motori sia diesel che a benzina. Circa un mese dopo questo scandalo si è ridimensionato: Volkswagen ha detto che le auto coinvolte sono molte meno, che le deviazioni rispetto ai dati ufficiali sono di pochi grammi di CO2 o di 0,1-0,2 litri di carburante consumato ogni 100 km e che non dovrà spendere 2 miliardi di euro per risarcire i clienti come aveva inizialmente previsto. Il gruppo tedesco ha anche detto che farà ri-misurare i dati di consumo ed emissioni di CO2 da un ente indipendente e che comunicherà i risultati entro Natale.
L’inchiesta interna
Lo scandalo dei motori truccati ha portato il gruppo Volkswagen ad avviare un’inchiesta al suo interno per verificare le responsabilità individuali di tutte le persone coinvolte: i risultati provvisori di questa operazione ancora in corso sono stati comunicati ai giornalisti il 10 dicembre scorso durante una conferenza stampa. Il neo-eletto presidente Volkswagen Hans Dieter Poetsch ha dichiarato che il numero di dipendenti responsabili del software truccato è “relativamente piccolo” e che non c’è stata una singola violazione, ma una catena di azioni illegali che non sono state interrotte a causa dell’attitudine di alcune parti dell’azienda a tollerare la violazione delle regole.
L’origine dello scandalo dei diesel truccati risalirebbe alla metà degli anni Duemila, quando il gruppo tedesco decise di lanciare negli Stati Uniti una “promozione su larga scala” della tecnologia diesel come alternativa ecologica più economica rispetto all’ibrido. A quei tempi i limiti alle emissioni di NOx negli Stati Uniti erano molto più severi di quelli europei e, ammette Volkswagen, gli ingegneri che lavoravano allo sviluppo dei motori della famiglia EA189 per gli Stati Uniti trovarono “impossibile” progettare un sistema di controllo delle emissioni che rispettasse le normative e allo stesso tempo i limiti di tempo e costi previsti dall’azienda. I progettisti quindi decisero di utilizzare un software illegale che fosse in grado di far funzionare i sistemi di controllo delle emissioni in modo diverso su strada rispetto ai test.
Motivazioni a parte, la conferenza stampa non ha comunque chiarito né l’identità dei responsabili né l’esatto svolgimento degli eventi e Volkswagen dice che ci vorranno ancora molti mesi d’indagini per avere risultati più precisi. L’inchiesta è condotta da 450 investigatori interni ed esterni all’azienda, i quali fino a ora hanno interrogato 87 persone e raccolto 1.500 tra hard disk, telefoni e memorie esterne da circa 380 dipendenti. A oggi solo nove dirigenti – tra cui l’ex CEO Martin Winterkorn e il capo del reparto ricerca e sviluppo Audi Ulrich Hackenberg – sono stati sospesi a causa di un possibile coinvolgimento nello scandalo e i prossimi aggiornamenti si avranno probabilmente in occasione dell’assemblea annuale dei soci del gruppo di aprile 2016.
Lo scandalo dei motori truccati ha avuto pesanti conseguenze sulle vendite Volkswagen negli Stati Uniti, che a novembre sono crollate del 25 per cento. Inoltre il valore in borsa del gruppo è diminuito di circa 10 miliardi di euro, pari al 13 per cento.