C’è un accordo per un governo unico in Libia
È stato firmato dai parlamentari dei due principali governi nati dopo la caduta di Gheddafi, ma non tutti l'hanno riconosciuto
Oggi, giovedì 17 dicembre, alcuni rappresentanti dei due principali governi che si sono formati in Libia dopo la caduta del dittatore Muammar Gheddafi nel 2011 hanno firmato un accordo per formare un unico governo. L’accordo è stato firmato a Skhirat, in Marocco, dopo che sabato 12 dicembre si è svolta a Roma un’importante conferenza di pace sulla Libia co-organizzata da Italia e Stati Uniti, al termine della quale il mediatore capo dell’ONU aveva annunciato che entro il 16 dicembre sarebbe arrivato un accordo per la formazione di un nuovo governo unico. Il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha definito l’accordo di Skhirat «un primo passo pieno di speranza».
Dopo aver firmato l'accordo le parti libiche si abbracciano. A #Skhirat un primo passo pieno di speranza pic.twitter.com/2Zy4ylMgDx
— Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) December 17, 2015
Alla firma dell’accordo – che prevede sostanzialmente l’istituzione di un “consiglio presidenziale” che a sua volta avrà il compito di formare un governo di transizione – erano presenti parlamentari di entrambi gli stati, quello “islamista” situato nella parte occidentale della Libia e quello riconosciuto dalla comunità internazionale nella parte orientale. Non tutti però hanno riconosciuto la validità dell’accordo: Jamal Zubia, il portavoce del governo dello stato islamista, ha detto al Guardian che «nessuna delle persone che sta firmando questo accordo ha l’autorità per farlo». BBC fa notare che nei negoziati delle ultime settimane non sono stati invitati rappresentanti delle molte milizie armate che controllano vari pezzi del territorio libico.
Una firma molto importante per la pace in Libia. C’è ancora da lavorare, ma è un ottimo inizio. Grazie @PaoloGentiloni
— Matteo Renzi (@matteorenzi) December 17, 2015
Al momento la Libia è uno stato diviso in due: a est c’è il governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale e appoggiato da Egitto ed Emirati Arabi Uniti, mentre a ovest quello “islamista” di Tripoli, appoggiato da Turchia e Qatar. I due governi a loro volta hanno perso il controllo di gran parte del territorio del paese a favore di decine di milizie e gruppi armati più o meno indipendenti. Uno dei più forti tra questi gruppi è l’ISIS, che nella città di Sirte, sulla costa libica, ha la sua base più importante al di fuori di Siria e Iraq. Oltre al terrorismo, la situazione complicata in Libia ha permesso che i trafficanti di migranti disponessero di grande libertà nell’organizzare viaggi verso l’Italia dalle città costiere, su cui i due governi non esercitano alcun controllo.
Non è ancora chiaro se i parlamentari che hanno firmato l’accordo di Skhirat riusciranno a farlo rispettare alle rispettive fazioni: scrive Reuters che i presidenti di entrambi i parlamenti – sia dello stato islamista sia di quello riconosciuto dalla comunità internazionale – per ora non hanno firmato l’accordo, chiedendo più tempo per i negoziati di pace. BBC riassume così le preoccupazioni di molti osservatori sull’accordo:
Prima dell’accordo, alcuni analisti hanno avvertito che nel caso non avesse incluso tutte le parti principali che agiscono in Libia avrebbe aumentato le divisioni nel paese: e non tutti erano presenti in Marocco. Un piano per proteggere il nuovo governo unitario – che al momento esiste solo sulla carta – oggi non c’è.
Un piano ufficiale in effetti non esiste ancora, ma martedì 15 dicembre la Stampa ha raccontato di un piano di Paolo Serra – consigliere militare del segretario dell’ONU Ban Ki-moon – per creare «una cornice di sicurezza» al fine di proteggere la vecchia capitale della Libia Tripoli, e di conseguenza anche il nuovo governo. La Stampa scrive che Serra cercherà di dare sicurezza al nuovo governo «cominciando a costruire le forze armate e di sicurezza della nuova Libia mettendo insieme milizie e pezzi di esercito che fu. Con il contributo decisivo, nella prima fase, degli “istruttori” italiani, probabilmente diverse centinaia di carabinieri, e inglesi».