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  • Mercoledì 16 dicembre 2015

Un anno dopo il massacro di Peshawar

Il 16 dicembre 2014 un gruppo terrorista uccise 141 persone in una scuola, soprattutto bambini: da allora in Pakistan molte cose sono cambiate, ma tra grandi contraddizioni

Una veglia organizzata da insegnanti e studenti per ricordare i morti della strage di Peshawar un anno fa (ARIF ALI/AFP/Getty Images)
Una veglia organizzata da insegnanti e studenti per ricordare i morti della strage di Peshawar un anno fa (ARIF ALI/AFP/Getty Images)

È passato un anno dalla strage alla scuola pubblica militare (APS) di Peshawar, in Pakistan, dove furono uccise 141 persone – 132 delle quali avevano un’età tra gli 8 e i 18 anni – in un attacco terroristico condotto da sette uomini e rivendicato dalla Tehreek-e-Taliban (TTP), organizzazione sotto la quale si riconoscono diversi gruppi islamisti legati ai talebani pakistani. Gli attentatori entrarono nella scuola e iniziarono a sparare contro gli studenti; in seguito alcuni si fecero esplodere mentre altri furono uccisi dalle forze armate pakistane. Da allora in Pakistan sono cambiate molte cose: il governo ha adottato regole più severe contro il terrorismo, dato più poteri ai magistrati e all’esercito e ha ripristinato la pena di morte per i terroristi. Nel paese non ci sono più stati attentati di grande portata, ma secondo diversi osservatori le regole più severe rischiano di limitare ulteriormente le libertà della popolazione.

Come spiega Jon Boone sul Guardian, a distanza di un anno dall’attacco molte famiglie degli studenti uccisi e altri sopravvissuti all’attacco devono ancora confrontarsi davvero con il trauma subito il 16 dicembre del 2014. Ci sono ancora decine di persone in psicoterapia per superare le loro paure: molte di loro hanno assistito del resto a scene spaventose.

Terminate le indagini, nelle settimane dopo l’attacco i responsabili dell’APS hanno organizzato rapidamente lavori di ristrutturazione e ricostruzione di alcune aree della scuola. L’auditorium in cui furono uccisi la maggior parte degli studenti, raccolti in quel luogo per seguire un corso sul promo soccorso, è stato convertito in un campo da pallacanestro, mentre nel campus è stata costruita una nuova ala. La sicurezza è diventata una priorità: il comprensorio è tenuto sotto sorveglianza da uomini armati e per accedere ai locali della scuola si deve passare attraverso i metal detector.

È cambiato praticamente tutto, spiegano i genitori degli studenti che frequentano l’APS, ma il cambiamento in un certo senso non riguarda solo la scuola di Peshawar. Dopo l’attacco sono stati rivisti i regolamenti sulla sicurezza in tutto il Pakistan, richiedendo a tutte le istituzioni di attuare controlli molto più scrupolosi nei loro edifici. Alle scuole del paese è stato richiesto di rafforzare le misure di sicurezza, costruire dove necessario muri di protezione e assumere guardie private per tutelare gli studenti.

Intervistato dal Guardian, l’avvocato Ajoon Khan, il cui figlio Asfand è stato ucciso nell’attentato di un anno fa, spiega che le violenze sono diminuite considerevolmente: “Non ci sono più attacchi esplosivi, tutti i terroristi ora hanno lasciato il Pakistan. Il paese è cambiato completamente a causa del sacrificio dei nostri bambini”. Naturalmente è improbabile che tutti i terroristi siano davvero fuggiti dal Pakistan, ma è comunque vero che le politiche più serie e rigorose del governo hanno migliorato le cose dal punto di vista della sicurezza. Come ha spiegato il primo ministro pakistano, Nawaz Sharif, sono finite certe ambiguità politiche legate ai talebani, che un tempo erano distinti tra buoni e cattivi a seconda delle necessità e delle opportunità.

Il rafforzamento dei controlli e le leggi più dure hanno comunque portato a sbilanciamenti nella suddivisione dei poteri. L’esercito pakistano, già molto potente, ha aumentato ancora di più il proprio controllo sulla popolazione. Una serie di modifiche alla Costituzione permettono alle corti marziali di mettere a processo i civili, con procedimenti rapidi e ritenuti sommari da alcune organizzazioni per i diritti umani. Processi di questo tipo hanno portato alla condanna di alcune persone, ritenute collegate alla strage del 2014. Quattro sono state condannate a morte e uccise a inizio dicembre, senza che fossero date molte informazioni circa il loro ruolo negli attentati.

I parenti di alcune delle vittime lamentano comunque il fatto che per ora si è fatto poco per contrastare il fanatismo religioso, alla base dell’attacco alla scuola. I candidati sostenuti da gruppi settari islamisti di vario tipo riescono ancora a vincere le elezioni locali, creando piccoli centri di potere che favoriscono la diffusione di idee estremiste. Molti di questi gruppi sono formalmente banditi dal paese, ma riescono comunque a sopravvivere anche a causa della tolleranza nei loro confronti da parte delle istituzioni, dicono diverse organizzazioni per i diritti umani.

L’esempio legato ad Abdul Aziz, il mullah che nel 2007 provò a introdurre nella capitale Islamabad il sistema politico su cui si basano i talebani è tra i più esemplificativi. In seguito alla strage, decine di persone organizzarono una protesta fuori dalla Moschea Rossa, chiedendo l’arresto di Aziz. In seguito alla pressione dell’opinione pubblica e di parte dei media, le autorità avviarono un’indagine nei suoi confronti, che però non portò da nessuna parte. Secondo gli attivisti, come Jibran Nasir, si è trattato di un’occasione sprecata: “Aziz è ancora lì. Il governo ha perso l’occasione che la società civile gli aveva offerto per fare qualcosa”.