Cosa fu la sentenza Bosman
La storia della controversa battaglia legale che vent'anni fa cambiò il calcio europeo: se in meglio o in peggio ancora se ne discute
Nel 1990 Jean-Marc Bosman aveva 26 anni e giocava a calcio con il Royal Football Club Liegi, una squadra che allora disputava il campionato di prima divisione belga. Quello era il suo ultimo anno di contratto con la squadra e a fine stagione desiderava trasferirsi all’USL Dunkerque, squadra della seconda divisione del campionato francese.
Il Liegi però non permise a Bosman di trasferirsi perché l’indennizzo proposto dal Dunkerque non fu ritenuto sufficiente: all’epoca, infatti, le squadre che volevano tesserare un calciatore dovevano pagare una cifra alla squadra di provenienza anche se il suo contratto con quella squadra era scaduto. Il mancato accordo ebbe diverse importanti conseguenze: Bosman venne messo fuori squadra e gli fu ridotto l’ingaggio. Fece quindi causa al Liegi, alla Federazione calcistica belga e anche contro la UEFA; si rivolse alla Corte di giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo e la disputa si concluse definitivamente solo cinque anni dopo, il 15 dicembre del 1995, cambiando radicalmente una parte del calcio professionistico.
La corte diede ragione a Bosman e stabilì che le procedure usate fin lì dalle società di calcio per gestire la compravendita di giocatori e dei loro contratti costituivano una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori, prevista dall’articolo 39 del Trattato di Roma, che nel 1957 aveva istituito la Comunità Economica Europea. Da quel giorno a tutti i calciatori europei fu consentito trasferirsi liberamente da una squadra europea all’altra al termine del proprio contratto, e di firmare un pre-contratto con un altro club nei sei mesi precedenti la scadenza di quello ancora in vigore. La corte stabilì inoltre che il limite di giocatori stranieri ingaggiati da un club — restrizione all’epoca in vigore in molti paesi — avrebbe dovuto escludere i giocatori comunitari: non si sarebbe più potuto discriminare tra cittadini di paesi europei, insomma.
Le pratiche utilizzate oggi da calciatori e club sono una conseguenza di quella sentenza. Solo negli ultimi anni, alcuni dei più importanti trasferimenti hanno avuto luogo grazie alla sentenza Bosman, come il passaggio di Andrea Pirlo dal Milan alla Juventus, quello di Robert Lewandowski dal Borussia Dortmund al Bayern Monaco, o qualche anno fa il trasferimento di Esteban Cambiasso dal Real Madrid all’Inter. Sono quelli che comunemente vengono chiamati trasferimenti “a costo zero” o “a parametro zero”, perché le società si limitano a firmare un contratto con i calciatori, senza dover pagare le squadre di provenienza (se non con degli indennizzi secondari).
La sentenza Bosman è considerata generalmente uno sviluppo positivo del calcio, ma aumentando la libertà dei calciatori di scegliere dove andare a giocare ha portato anche instabilità e aumentato le disuguaglianze. Le squadre piccole oggi non hanno più la possibilità di trattenere a lungo i loro giocatori più promettenti, che possono aspettare la scadenza del proprio contratto e trasferirsi gratuitamente all’estero. Di conseguenza, per non perdere possibili ricavi, le squadre minori vendono molto presto – finché sono in tempo – i loro giocatori più promettenti alle squadre più grandi, indebolendo le proprie formazioni.
Le società più importanti, invece, possono far valere la propria forza economica e la loro immagine per ingaggiare senza troppe complicazioni i giocatori che desiderano, e questo genera una sorta di circolo vizioso per cui le società più forti e ricche lo saranno sempre di più e quelle più povere faticheranno sempre a colmare il divario economico e sportivo. Prima del 1995 non era raro che la Champions League venisse vinta anche da squadre meno ricche e “potenti”, come successe a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta con Steaua Bucarest, Stella Rossa, Marsiglia e Ajax. Oggi è molto più difficile che questo accada.
Data l’importanza del calcio in Europa e tutto il denaro che anche tra gli anni Ottanta e Novanta riusciva a far circolare, era però impensabile che il sistema rimanesse al riparo dalla modernità, mantenendo vecchi modelli contrattuali e limitando la libera circolazione dei giocatori, che dal punto di vista burocratico sono lavoratori come altri.
La sentenza aveva cambiato il calcio europeo ma per risollevare la carriera di Bosman era ormai troppo tardi. Scaduto il suo contratto con il Liegi, Bosman non fu in grado di trovare alcuna squadra in cui giocare, dato che nessuna società aveva intenzione di ingaggiarlo e di avere in qualche modo a che fare con lui, temendo che il suo caso potesse danneggiarla. Bosman decise quindi di trasferisi a La Réunion, un’isola al largo del Madagascar che ancora oggi costituisce un dipartimento d’oltremare della Francia.
Lì giocò prima con l’Olympique Saint-Quentin, poi con il Saint-Denis. Ancora nel mezzo della disputa legale, Bosman riuscì a tornare a giocare in Belgio e firmò un contratto con l’Olympic Charleroi, squadra di seconda divisione. Due anni più tardi arrivò la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea. Metà dei 16 milioni di franchi belgi (all’epoca circa mezzo milione di dollari) che la Federazione nazionale diede a Bosman come risarcimento vennero spesi per pagare tasse ed avvocati.
Bosman smise di giocare definitivamente nel 1996 e negli anni successivi ebbe diversi problemi personali. Sviluppò un dipendenza dall’alcool e cinque anni dopo fu condannato con la condizionale a un anno di carcere per violenze domestiche. Bosman ha vissuto fino a oggi lavorando saltuariamente, con l’aiuto del FIFPro — il sindacato mondiale dei calciatori — e grazie a un piccolo sussidio statale.
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