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  • Domenica 13 dicembre 2015

Cosa significa la tregua di Homs

In una delle città più colpite dalla guerra civile siriana i ribelli e il governo hanno firmato una tregua che può diventare un modello da applicare al resto del paese

Lyse Doucet, capo dei corrispondenti esteri di BBC, racconta che uno dei segni più tangibili della tregua cominciata la settimana scorsa nella città siriana di Homs è il fatto che in un bar del centro città il proprietario ha recentemente installato delle vetrate alte dal pavimento al soffitto. Non lo avrebbe fatto, spiega Doucet, se non fosse certo che i combattimenti non riprenderanno a breve.

Homs è stata una delle prime città siriane a ribellarsi contro il regime di Bashar al Assad nella primavera del 2011, e da allora è stata ribattezzata la “capitale della rivoluzione”. Insieme ad Aleppo, è la città dove i combattimenti della lunga guerra siriana sono stati più intensi e violenti, con bombardamenti, scontri casa per casa ed esplosioni di autobombe. Oggi, dopo quasi cinque anni e più di 200mila morti in tutta la Siria, la città è tranquilla, i negozi cominciano a riaprire e su alcune chiese sono persino comparse lucine di Natale.

La settimana scorsa, l’ONU è riuscito a fare da mediatore e a far stipulare una tregua tra il governo e i ribelli, che hanno quasi tutti accettato di deporre le armi. Gli uomini di al Nusra, una fazione affiliata ad al Qaida, non hanno accettato tutte le condizioni della tregua, ma hanno acconsentito a non ostacolare l’accordo. Il governo ha inviato dei bus nel quartiere di al Waer, l’ultimo in città controllato dai ribelli, e i 300 uomini di al Nusra sono stati portati fino alle linee ribelli poco fuori città, insieme alle loro famiglie.

Per chi resta, le condizioni sono semplici: i ribelli devono deporre le armi e accettare che la sicurezza ad al Waer e nel resto della città venga gestita dalla polizia civile. In cambio, riceveranno un’amnistia e saranno gradualmente coinvolti nel governo locale della città. Secondo alcuni, racconta Doucet, si tratta semplicemente di una resa: seguendo questo ragionamento, gli ex ribelli saranno presto arrestati e torturati, come è accaduto negli ultimi anni.

Secondo altri, quella di Homs – come molte altre tregue locali siglate tra ribelli e governo in varie parti della Siria negli ultimi mesi – potrebbe essere l’inizio di qualcosa di più significativo. «Tornerete a casa quando ci sarà un cessate il fuoco in tutta la Siria», ha detto un funzionario dell’ONU alla moglie di un miliziano di al Nusra costretta a lasciare la città, racconta Doucet. Secondo un alto funzionario dell’ONU che ha parlato con il New York Times, quello di Homs potrebbe però presto diventare il modello per un cessate il fuoco più ampio, sempre che il governo dimostri «di avere cura del suo popolo».

Qualcosa si sta muovendo anche sul fronte diplomatico. Lo scorso novembre a Vienna diciassette paesi con interessi nell’attuale crisi siriana – tra cui alleati dei ribelli, come l’Arabia Saudita, e sostenitori del regime, come Russia e Iran – si sono incontrati per discutere un piano di transizione politica. I delegati si sono divisi ancora una volta sul ruolo del presidente Bashar al Assad, ma si sono accordati per invitare regime e ribelli ai prossimi colloqui. Questa settimana, in Arabia Saudita, i ribelli hanno formato la delegazione che invieranno ai colloqui. Alcuni dei partecipanti hanno raccontato che si è trattato della più ampia riunione di oppositori politici del regime siriano avvenuta negli ultimi tempi: si sono messi a parlare capi e fazioni che fino a poco prima si erano guardati con sospetto e che non avevano mai collaborato. L’Arabia Saudita, che ha organizzato l’incontro, è uno dei principali finanziatori dei ribelli siriani. Dal gruppo sono rimaste escluse molte delle formazioni più radicali: l’ISIS, ovviamente, ma anche al Nusra e alcuni gruppi più piccoli.

Un accordo di pace in Siria è comunque ancora molto lontano e ci sono gruppi e fazioni che si oppongono ancora attivamente alla pace. Domenica, ad esempio, proprio a Homs l’ISIS ha rivendicato un attentato in cui 16 persone sono state uccise. Sabato, Assad ha dichiarato in un’intervista a proposito delle trattative che si stanno preparando dopo Vienna: «Non discuterò mai con i terroristi». Quando gli è stato chiesto chi intende con “terroristi”, Assad ha risposto: «Tutti coloro che impugnano le armi».